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TORINO-ROMA

Torino-Roma, settori giovanili, promesse mancate e vini che sfidano il tempo

Tempo di lettura: 7 minuti

Mentre la Serie A è pronta per il finale di stagione, per noi appassionati eno-calcistici è tempo di scoprire nuove storie e, soprattutto, nuove bottiglie. Archiviata la prima sconfitta interna del Napoli (tifosi azzurri vi avevamo avvertito sugli scongiuri) per la giornata 29 Champions Wine torna in Piemonte, questa volta sponda granata, per un match che si gioca in un orario perfetto per un aperitivo: Torino-Roma. I calici sono pronti? E allora partiamo!

di Raffaele Cumani & Antonio Cardarelli

Il rosso unisce le due squadre, e questo dettaglio – lo confessiamo – ci piace già molto: riflessi granata ça va sans dir per il Torino, rosso intenso per la Roma, con un tocco di giallo che ci fa pensare anche a qualche ottimo vino bianco di buon corpo magari con un po’ di legno sulle spalle… Di questi tempi meglio non citare la Ferrari, ma il rosso è un colore che richiama la passione, esattamente quella che distingue le due tifoserie. Il mitico “cuore Toro”, superpotere di una squadra capace di andare oltre limiti tecnici e avversità, come la scomparsa del Grande Torino nel maggio del 1949. Per capire la passione del tifo romanista, bastano i brividi che mette l’inno cantato dall’Olimpico. 

E la passione non manca certamente ai due allenatori. Da una parte José Mourinho, lo Special One con la vocazione a farsi capopopolo, accolto come un salvatore a Roma. Dall’altra Ivan Juric, allievo di Gasperini con la passione per il metal e la tendenza a dire le cose in faccia. Negli ultimi decenni le due squadre hanno vinto poco, ma quando è successo il tutto ha assunto contorni epici, marchiando a fuoco la storia delle rispettive città. Insomma, calcisticamente parlando, i punti di contatto tra due città così diverse come Roma e Torino non mancano.

Ma ormai ci conoscete, a noi di Champions Wine le cose semplici non piacciono (a meno che non si parli di una bella visita in cantina già “apparecchiata”) e così siamo andati alla ricerca di un’altra cosa che unisce la storia calcistica di Roma e Torino: i settori giovanili. Queste due squadre, nel corso degli anni, sono state fucine di talenti. Per capire il peso di Granata e Giallorossi nel panorama del calcio giovanile italiano basta scorrere l’albo d’oro del campionato Primavera, che vede il Torino secondo solo all’Inter con 9 titoli (oltre al record di 8 Coppe Italia) e la Roma subito dietro con 8 trionfi. Giusto per dare un’idea, dai due settori giovanili nel corso degli anni sono usciti giocatori come Francesco Totti, Daniele De Rossi, Giuseppe Giannini, Angelo Peruzzi, Bruno Conti, Dino Baggio e Christian Vieri. Insomma, due società che hanno sempre puntato forte su quei vivai che oggi sono il tallone d’Achille del calcio italiano.

Come per un grande vino, anche per un giocatore delle giovanili maturare nel modo giusto è fondamentale. Purtroppo, in entrambi i casi non sempre accade. A volte i piccoli fenomeni mantengono le promesse, rimanendo in casa Roma il caso del precocissimo Totti – svezzato da Boskov, cresciuto da Mazzone, esploso con Zeman e consacrato da Capello – è emblematico. Altre volte, invece, qualcosa va storto. E se un vino a volte non mantiene le promesse e delude anche esperti winelover che avevano scommesso su quella bottiglia, un calciatore che non diventa ciò che tutti si aspettavano, semplicemente, finisce per giocare malinconicamente in categorie più modeste, accompagnato dai “ti ricordi che fenomeno era questo da ragazzo?”. 

Storie del genere, nel calcio, sono all’ordine del giorno. Ma spesso – e qui siamo un po’ sadici, ma più che altro nostalgici – da queste parabole di campioni mancati nascono delle storie con sfumature tutte da raccontare. Visto che oltre al vino e al calcio siamo anche grandi appassionati di cinema e musica, per riassumere questo concetto andiamo a ripescare la scena finale di uno dei film musicali più belli di sempre: The Commitments. Quella in cui Joey “Labbra” Fagan cerca di consolare Jimmy (manager del gruppo) dopo che la band si è sciolta miseramente (ma in modo molto pittoresco). “Il punto non è il successo, avremmo potuto fare dischi, tour e cose del genere… ma in questo modo è… poesia”, dice Joey poco prima dell’incontro tra Jimmy e Wilson Pickett.

Beh, nel caso di molti calciatori non si tratta sempre di poesia, spesso sono solamente storie di talenti che sfioriscono a causa di mancanza di tenuta mentale, infortuni o scelte di carriera sbagliate. Rimanendo in casa Roma, ci viene in mente, per esempio, la parabola di Antonio Cassano. Fantantonio si presenta al mondo con un controllo di tacco al volo e un gol da predestinato, la sua carriera parte alla grande, passa alla Roma e trova Totti a fargli da chioccia. Tutto sembra andare per il meglio, ma alla fine c’è sempre qualcosa che manca e pian piano la carriera di Cassano prende una china inaspettata: arrivano le “cassanate”, il passaggio al Real con look inguardabile e poi tante rinascite con la Samp e anche con la Nazionale, in coppia con un’altra promessa non mantenuta, Mario Balotelli. Ma ora, guardando alla carriera di Antonio Cassano, possiamo dire che ha fatto molto, ma poteva fare certamente di più. Però… che grandi momenti ci ha regalato il talento di Bari Vecchia!

Ma c’è un’altra storia meno conosciuta che ci riporta a quel Bari-Inter del 1999. Si può essere così “sfigati” da segnare il gol della vita, a 18 anni, nella serata in cui il tuo compagno di squadra di 17 ne fa uno ancora più bello? È esattamente quello che è successo a Hugo Enyinnaya, attaccante nigeriano classe 1981, che contro l’Inter di Lippi aprì le marcature con un siluro da 40 metri. Senza la prodezza di Cassano i titoli del giorno dopo sarebbero stati tutti per lui… e invece per il buon Hugo cominciò un calvario di prestiti e infortuni a corollario di una carriera sotto le aspettative. Ecco la sintesi di quella serata che resta comunque indimenticabile.

Ma noi a Hugo Enninaya vogliamo così bene da volergli dedicare un video tutto suo (notare il mancamento post-gol, troppe emozioni per un ragazzo di 18 anni!).

Se parliamo di giovani promesse non mantenute, non possiamo non citare un giocatore che per molti è diventato ormai una figura mitologica: Freddy Adu. Noto agli appassionati del gioco manageriale Football Manager come “il calciatore che aveva sempre 15 anni”, Adu guadagnava un milione di dollari all’anno a soli 13 anni grazie alla Nike. Esordio nel campionato americano a 14 anni, a 16 il debutto con la Nazionale Usa: il prodigio Adu brucia le tappe, ma forse brucia anche la sua carriera, che non decollerà mai. Da nuovo Pelé a ex ragazzo prodigio il passo è breve, e oggi Adu arranca nella terza divisione svedese. In questa pubblicità di una bibita O Rey lo lascia vincere di proposito… e forse al buon Freddy qualche dubbio, già all’epoca, doveva venire…

Quando si parla di promesse mancate, nel calcio esiste una categoria a parte: quella dei nuovi Maradona. Un’etichetta che ha bruciato fior di talenti, e che fino all’ultimo mondiale vinto rappresentava un fardello anche per un campionissimo come Leo Messi. L’elenco dei giocatori accolti dalla critica come nuovo Maradona è sterminato, ma tra i più noti ricordiamo Andres D’Alessandro, “el Burrito” Ortega, Pablo Aimar, “el Mudo” Riquelme, Javier Saviola e Diego Buonanotte, altro idolo degli appassionati di Football Manager. Tra gli italiani fortissimi nelle giovanili, ma poi deludenti da professionisti possiamo citare Filippo Savi del Parma, Hachim Mastour del Milan, Alberto Paloschi sempre del Milan e Vincenzo Sarno, pagato proprio dal Torino ben 120 milioni di lire nel 1999. L’allora bambino prodigio ha solo 11 anni quando viene travolto da uno tsunami mediatico che lo porta anche a palleggiare con Roberto Mancini nello studio di Porta a Porta. Ma la sua carriera non matura con la giusta pazienza, le promesse rimangono tali e Sarno dovrà accontentarsi al massimo della Serie B.

Per molti predestinati che non ce l’hanno fatta ce ne sono altri che invece le carte in regola non ce le avevano ma con abnegazione, furore agonistico e tanta tanta volontà si sono fatti strada dalle serie minori fino alla Nazionale. Jamie Vardy, protagonista assoluto della favola del Leicester di Ranieri, raggiunge la nazionale inglese a suon di gol partendo a 20 anni da una fabbrica di fibra ottica dove lavora 12 ore al giorno. Moreno Torricelli, falegname in una fabbrica di mobili brianzola, diventa azzurro e giocatore totem del Trap a suon di prestazioni generosissime. Solo per citarne due. Favole scolpite sui volti spessi incartapecoriti di questi campioni di volontà. Già perché i giocatori si giudicano sulla distanza, “non è mica da certi particolari che si giudica un giocatore” direbbe il Principe (non il capitano Giannini) De Gregori. 

Insomma, amici eno-calcistici, avete già capito dove vogliamo andare a parare? Anche il vino, materia viva e talentuosa per eccellenza, si giudica sulla distanza. Ci sono vini buoni subito, e vini che migliorano con il tempo.
Vini che promettono e non mantengono alla prova degli anni e bottiglie dimenticate in cantina che stappiamo e assaggiamo per caso e…
wow, scatta la scintilla!
Questa sì che è poesia: il tempo che nutre, la classe che si affina, gli spigoli che si smussano a ricomporre l’armonia.
Parliamo di calici o giocate?
Decidete voi.

Ci sono vini poi che hanno proprio bisogno di tempo per diventare grandi, ne scegliamo due su tutti e, visto che siamo partiti da Torino-Roma, uno del Nord e uno del Centro. Per gli appassionati eno-calcistici Buttafuoco non è un noto opinionista ma un grande rosso dell’Oltrepò pavese. Si dice che il poeta dialettale Carlo Porta esclamasse buta me al feug alludendo al calore dell’assaggio e inquadrando subito la potenza di questo vino. Prevalentemente Croatina, che regala intensità, grande corpo, tannino, colore e pronunciati sentori di frutta rossa, Barbera che conferisce spinta acida, Ughetta e Uva Rara che possono arricchirlo con note aromatiche varietali, è un vino di gran corpo, come suggerisce il nome. Ma anche di una straordinaria capacità evolutiva verso sensazioni di sempre maggior complessità e finezza. Provate a tenere da parte qualche bottiglia, noi vi consigliamo il Bricco Riva Bianca di Andrea Picchioni, grande rosso dalle sensazioni potenti di frutto, spezie e dalla bevuta robusta. Fidatevi, aspettatelo anche 10 anni, e non ve ne pentirete di certo.

Bricco Riva Bianca di Andrea Picchioni
Carapace Lunga Attesa di Tenute Lunelli
Valdimaggio Arnaldo Caprai

Sempre a proposito di vini da aspettare, chi non conosce il Sagrantino di Montefalco? Grande rosso essenza dell’enologia umbra che fa della complessità e della potenza la sua bandiera. Un vino che tuona in bocca per potenza, ricchezza e complessità e cui il tempo regala grandissima armonia e tenuta. Il Carapace Lunga Attesa di Tenute Lunelli – quelli delle bollicine Ferrari – è un grandissimo rosso dalle note complesse, fruttate e speziata. Vino poderoso, da conservare gelosamente per anni per cogliere il massimo dell’eleganza. Se si parla di Sagrantino non si può non citare i maestri, la cantina Arnaldo Caprai. Il Valdimaggio è un altro rosso di concentrazione e potenza ma anche di finezza, da riassaggiare assolutamente fra un po’ di tempo!

Viene quasi voglia di fare un “elogio dell’invecchiamento” per usare le parole di Andrea Scanzi, o forse di viaggiare avanti e indietro negli anni. Diciamocelo chiaramente, calcio e vino sono vere e proprie macchine del tempo che ci riportano alla stagione in cui quel ragazzo, quella promessa, stava sbocciando e a quel momento in cui abbiamo comprato quella specifica bottiglia ritrovata impolverata in cantina. Torino-Roma sarà l’ennesima sfida di questo campionato, speriamo che il futuro riporti in quei settori giovanili tanti piccoli talenti da crescere e da far esplodere! Ad majora!

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