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Federico Pascoli con Studenti di Immaginazione e Lavoro

Educare il palato, coltivare la passione, l’importanza di investire nella formazione dei giovani secondo Federico Pascoli

Tempo di lettura: 6 minuti

Docente e sommelier, abbiamo parlato con Federico del ruolo cruciale della formazione dei giovani e delle sfide del futuro nel panorama della ristorazione tra enologia e sala

di Mattia Marzola

Nel contesto della crescente incertezza che circonda la professione del sommelier, una figura che da sempre incarna l’eleganza e la competenza nel mondo del vino, e in un periodo in cui molte realtà ristorative, soprattutto all’estero, sembrano voler abbandonare la figura del sommelier a vantaggio di una riorganizzazione post-pandemica, è cruciale interrogarsi sul futuro di questa professione (noi lo abbiamo già fatto con le nostre voci più autorevoli). Ma se è vero che oltreoceano si vive una crisi di questa figura, è altresì vero che gli Usa non sono l’Europa e l’Italia, patria indiscussa, insieme alla Francia, del vino, lo è ancora meno. E forse nel Bel Paese il problema non è la marginalità della figura ma anzi la sua mancanza e battersi per preservare e trasmettere i valori e le competenze che caratterizzano questa professione millenaria, passa anche dell’investire nella formazione dei giovani. Proprio per questo abbiamo deciso di parlarne con Federico Pascoli sommelier del ristorante Il Pascoli di Cusago (MI) e docente di enologia e sala presso la scuola Immaginazione e Lavoro all’interno del progetto Piazza dei Mestieri di Milano.

Federico, cresce tra la cucina e la cantina del ristorante di famiglia fino a quando, all’età di 14 anni, resterà affascinato dall’eleganza bucolica di una festa di fine vendemmia segnando giovanissimo la propria strada. Portando, inizialmente, avanti questa passione in parallelo agli studi accademici in Relazioni Internazionali per poi consacrare la sua passione, trasformandola in lavoro grazie ad importanti esperienze ristorative tra New York e Milano, dove collabora con il padiglione del vino ad Expo2015. La strada prediletta sarà poi quella della comunicazione enogastronomica, che sia tra i tavoli del ristorante, dove gestisce una cantina di circa 600 referenze, ad una platea di appassionati in Irlanda, dove ha diretto le masterclass al Dublin Wine Fest, o tra i banchi della scuola di Immaginazione e Lavoro di Milano dove insegna Enologia e Servizio di sala presso i corsi di Cucina e Sala Bar. Come ogni professionista sa che non si smette mai di apprendere e così, mentre trasmette con passione le sue conoscenze alle giovani leve, prosegue la sua formazione a Londra tramite il Diploma Wset che lo porterà a diventare Master of Wine Student.

Federico Pascoli

Ciao Federico, tu, di mestiere sommelier, insegni sia enologia che sala, quale può essere il valore aggiunto per chi si occupa di sala nel conoscere meglio il mondo vino?

Il vino, soprattutto nel nostro paese, è da sempre presente nella nostra cultura, parte della tavola, del convivio e della tradizione. Quindi così come la vera professionalità dell’operatore di sala passa, tra le altre competenze, attraverso la conoscenza del menù e del piatto servito, così la conoscenza del vino è un elemento imprescindibile sia per l’abbinamento adeguato sia per la comunicazione con il cliente e il compimento dell’esperienza enogastronomica.

Ma quindi questo non potrebbe spingere a pensare che sia sufficiente formare meglio i camerieri? Perché non è sufficiente?

La formazione dei camerieri è necessaria, ma non sufficiente. La parola d’ordine oggi in ogni lavoro è specializzazione: è giusto conoscere tutto, ma poi ogni figura intraprende un suo percorso. E le figure tecniche di sala, quelle vere, sono sparite, ad appannaggio di cuochi sempre più presenti al tavolo.

Tagliare la figura del sommelier davvero secondo te porterebbe un vantaggio in termini di costi? O è vero il contrario? in che modo la buona gestione di una carta potrebbe oggi rappresentare un vantaggio piuttosto che un costo per il ristoratore?

I dati della ristorazione parlano chiaro: da una parte la gestione di una cantina profonda e con molte referenze è un costo importante (basti pensare agli spazi e al blocco di capitali). Dall’altra, se il Sommelier crea una carta attrattiva, dinamica e in linea con la proposta gastronomica, il vino diventa una voce importante del fatturato, seconda o spesso pari a quella creata dalla cucina. Quindi i costi di questa professionalità sono ampiamente riassorbiti, contando anche che, contrariamente alla cucina, non serve una brigata di sommeliers.

Ma parliamo di trasmissione delle competenze. Com’è la situazione in termini di formazione dei più giovani? come si può introdurre il vino in modo adeguato nelle scuole? Cosa spinge un 14/15 enne a desiderare di diventare sommelier o comunque ad approfondire il mondo vino?

Il bombardamento mediatico del mondo della cucina ha messo in ombra quello della sala, così anche la formazione, in termini di interesse, ne ha risentito. E questa generazione non è cresciuta con il vino a tavola (contrariamente alla nostra, dove il bicchiere di vino era un alimento. In Italia infatti si beve sempre di meno, ma meglio. Evviva! Mi rendo conto che, oltre a non sapere cosa sia, i miei studenti danno spesso una connotazione negativa al vino, ad eccezione dello Champagne, più come status symbol ovviamente.

È impossibile quindi accendere interesse ed entusiasmo attraverso la chimica o l’enologia. Ciò che vedo che funziona è mostrar loro la bellezza delle vigne, dei paesaggi e delle cantine. E, perché no, farli passare attraverso la fatica e la festa di una vendemmia. Il fatto invece di non poter ancora bere il vino perché minorenni, può esser sopperito con esercizi di analisi sensoriale, dal banco degli odori all’analisi gustativa di frutta e verdura.

Davvero interessante, raccontaci di più riguardo questi esercizi sensoriali. Come funzionano e in che modo si possono scoprire analogie con il vino senza assaggiarlo direttamente?

I profumi del vino non sono altro che molecole frutto di trasformazioni chimiche: il nostro cervello riconduce quello stimolo olfattivo a qualcosa di noto e familiare, dirò che sento un profumo di banana, non di acetato di isoamile. Ma se non si riconosce quell’odore, l’associazione non avviene.

A scuola l’esperimento è questo: assegno l’analisi olfattiva di un vino e poi allestisco un banco di erbe aromatiche e spezie. Poi gli studenti tornano con il naso nel calice e qui moltissimi riescono a ricondurre aromi che prima non avevano identificato. In fondo olfatto e palato migliorano solo con l’esercizio e il processo si basi neuro scientifiche. Con la sola differenza che siamo sempre meno portati ad usare l’olfatto rispetto al palato. Il gusto infatti lo faccio allenare con assaggi alla cieca di frutta e verdura e i risultati son sempre più incoraggianti rispetto al primo esperimento.

A questo punto siamo curiosi, raccontaci un po’ del programma di formazione che segui a scuola per preparare gli studenti a un mondo come quello del vino spesso distante e di difficile comprensione per i più giovani.

Mi ricollego alla risposta precedente: si parte dall’accendere l’interesse attraverso storie del mondo vino, aneddoti, a 14 anni giustamente ignorano che il “Dompe” come lo chiamo loro, fosse un monaco benedettino, dal mostrare loro il fascino dei vigneti e la fatica di produrre un buon vino con la collaborazione, o meno, della natura. Per i miei studenti è fuori logica che l’uva venga raccolta proprio quando loro iniziano il primo anno di scuola e il vino verrà messo sul mercato al loro esame del terzo anno. Cambia il senso del tempo. Le competenze tecniche, sia teoriche che pratiche, sono certo fondamentali. Ma arrivano in un secondo momento. Il Sommelier non potrà mai smettere di studiare, partendo solo dal fatto che le variabili naturali giocano un ruolo importante ad ogni vendemmia. Io stesso sono alle prese con la conclusione del Diploma Wset, che presto mi porterà ad essere un Master of Wine Student.

Quali tendenze nel mondo del vino ritieni più interessanti o significative per i futuri sommelier ma non solo, diciamo per i giovani che si affacciano al lavoro di sala?

Molte tendenze oggi son veicolate dai social networks, quindi saperle interpretare in modo professionale, senza esserne vittime, è fondamentale sia per noi che per i sommeliers più giovani. Temi attuali, come la sostenibilità ambientale e il cambiamento climatico, passano anche attraverso il vino, ma non possiamo solo assecondare mode o richieste, ci vuole un taglio critico; i miei clienti sono per me fonte di confronto e crescita: investire sulla comunicazione e sulla cultura al tavolo è, oggi più che mai, importante. La figura del sommelier saccente, stile parodia di Albanese, è fuori moda.

Quali sono le competenze e le conoscenze fondamentali che ritieni indispensabili per un (aspirante) sommelier?

Il bravo sommelier oggi è quello che comprende le necessità del cliente, che fa bere bene al giusto prezzo, che propone prodotti non banali, che conosce la storia del prodotto, l’obiettivo e lo stile di quel produttore, magari comparato anche a più annate della medesima referenza, legato sempre alla cultura enoica di quella zona specifica. Abbiamo la grande fortuna di esser nel paese più importante al mondo per la produzione vinicola: studiarla significa conoscere il patrimonio storico italiano. Sempre con un occhio, o meglio un calice, puntato all’estero, se no rischiamo di esser troppo autoreferenziali.

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Mattia Marzola

Giocoliere di parole, voracissimo lettore, buona forchetta (e buon bicchiere) ha deciso di unire le sue inclinazioni, diventando così appassionato docente di lettere ed entusiasta giornalista enogastronomico, anche se poi scrive di tutto.

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