Consorzio di Tutela Moscato di Scanzo

Lombardia, crogiolo di habitat viticoli e interpretazioni enoiche

Tempo di lettura: 6 minuti

di Alessandra Piubello

Nell’immaginario collettivo la “regione della rosa camuna” evoca subito l’industria, il commercio, la finanza, il settore terziario, gli affari, la moda. La regione più popolosa e tra le più ricche dello stivale, non è certo la prima che ci viene in mente quando pensiamo al vino. Forse neppure immagineremmo che proprio nel suo territorio siano raggruppati la maggior parte dei siti Unesco italiani. Eppure la Lombardia nel suo mosaico enoico ha molto da raccontarci: l’eterogeneità di territori, climi, vitigni, stili di vinificazione e connessioni recenti o datate con la storia. È proprio dietro a questa variabilità e all’impossibilità di delineare un’unica identità regionale che risiedono la bellezza e l’originalità del vino lombardo. Rappresenta un antidoto all’omologazione. Ci troviamo di fronte a un variegato e cesellato panorama produttivo che coinvolge sostanzialmente ogni provincia. Rileviamo i connotati di una viticoltura alpina in Valtellina, collinare in Oltrepò e in Franciacorta, mediterranea sul lago di Garda e di pianura nel Mantovano. Un incontro di pluralità ed eterogeneità da una parte e di scambio e collegamento dall’altra. Una regione senza confini rigidi che è sempre stata un luogo di migrazioni, interazioni, contrasti, conflitti. Non dimentichiamo che il suo nome deriva dalle popolazioni germaniche, quei longobardi che stabilirono a Pavia la capitale del loro regno.

Storicamente, la vite veniva coltivata già dalla preistoria (come risulta dai ritrovamenti sulle rive del Lago di Garda e di quello d’Iseo). Poi le popolazioni Retiche, Etrusche e Liguri portarono, a partire dal VII secolo a.C. le prime tecniche di vinificazione, che con la dominazione Romana si evolsero e consolidarono ulteriormente.

Giusto qualche numero, prima di partire per il nostro viaggio: 22.000 ettari vitati (ultima fonte ISTAT) di cui il 41% in montagna, 12% in collina, 47% in pianura. Il ventaglio delle denominazioni si apre su 5 Docg, 21 Doc, 15 Igt.

Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina
Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina

Al nord, la Valtellina

“Chi non è mai stato in Valtellina, ci vada. E ci vada subito, prima che sia troppo tardi. La bellezza è così straordinaria e così incredibilmente intatta che mi pare difficile possa durare ancora a lungo”. Così scriveva Mario Soldati nel suo “Vino al vino” nel 1977. Le vigne magiche, sospese tra cielo e terra, riparate dalle Alpi Retiche, sono a tutt’oggi un panorama unico. Quest’eroica viticoltura di montagna, contraddistinta da tanti piccoli vigneti e percorsa da duemilacinquecento chilometri di muretti a secco che recintano piccoli vigneti, raggiungibili da scalini di pietra che arrivano lassù, quasi a toccare il cielo… esiste ancora. Grazie ai viticoltori, fedeli custodi del territorio, possiamo ammirare il più esteso vigneto terrazzato d’Italia, nel quale la roccia sostiene il terrazzo e la vite sostiene la roccia, intrecciati e accuditi da mani sapienti. La vite, allignata sul lato destro del fiume Adda, orientata a sud-ovest, ha trovato posto sulle pendici scoscese della montagna, quasi fino a mille metri. Su queste montagne, il vitigno principe è il Nebbiolo (localmente chiamato Chiavennasca) che affonda le sue radici sui terreni magri e rocciosi, captando il calore dei muretti incamerato durante le ore di sole e, allo stesso tempo, rinfrescato dalla brezza proveniente dal lago di Como, la Breva.
Quelli che ne scaturiscono sono vini ricchi di personalità, freschezza e finezza di gusto; il Nebbiolo riesce a essere un autentico interprete del territorio. E’ questa l’area di produzione della Docg Valtellina Superiore, nella quale si distinguono cinque sottozone (da ovest a est, Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno, Valgella). In Valtellina si produce anche lo Sforzato Docg, un vino particolare ottenuto dalla selezione manuale delle migliori uve raccolte a ottobre e lasciate appassire su graticci in locali asciutti e ben areati dal naturale clima della valle.

In questa Valtellina d’altura, che genera vini di peculiare personalità, sta crescendo un fermento di giovani che scelgono di lavorare la terra, affiancati da aziende storiche virtuose, sempre più indirizzate a investire su acquisizioni di vigneti. Si percepisce un forte senso di squadra che gravita con positività tra i produttori.

Franciacorta, foto crediti Aldo Padovan
Franciacorta, foto crediti Aldo Padovan

Più a sud e a est del Lago d’Iseo: la Franciacorta

La Franciacorta emana un fascino paesaggistico, con quelle dolci colline moreniche sorvegliate dal Monte Orfano, dal lago d’Iseo e dal fiume Oglio. A completare l’affresco, piccoli borghi dalle mura in pietra, con torri e castelli medievali, ma anche palazzi e ville antiche, abbazie e monasteri che si alternano ai filari di viti. L’origine del nome ci riporta ai monaci, grandi custodi delle vigne: la presenza autorevole di monasteri cluniacensi e cistercensi che amministravano questi territori, ottenne attorno al 1100 l’esenzione dal pagamento del dazio. Queste zone divennero delle Francae Curtes, cioè delle corti libere dalle tasse. Da qui nacque il toponimo “Franzacurta”, apparso per la prima volta negli annali del Comune di Brescia già nel 1277. 

Eccoci in Franciacorta, probabilmente il nome più famoso della regione, e in ogni caso il primo spumante italiano metodo classico ad aver ottenuto la classificazione Docg. Una denominazione che conferma il suo prestigio in termini non solo d’identità espressiva, con esempi sempre più ai vertici, ma anche nel ruolo di territorio che probabilmente più di tutti investe in ricerca e studio. E’ un sistema forte, che fa rete seriamente, con lo sguardo al futuro.

In Franciacorta si producono anche vini fermi, bianchi e rossi, della Doc Curtefranca (non dimentichiamo che qui si coltivava uva da sempre, ma si produceva vino fermo e rosso, prima dell’exploit delle bollicine negli anni Sessanta).

Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese
Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese

Oltrepò Pavese, la fascia a sud est

Siamo nella culla italiana del pinot nero, (circa 2.800 ettari) un polo tra i primi al mondo per estensione. L’Oltrepò sorprende per la sua bellezza intatta e per la variabilità dei suoi paesaggi: colline che raggiungono i 500 metri d’altezza, verdi filari di viti che si rincorrono spezzati da campi dorati di grano maturo e altri fioriti. Il susseguirsi cromatico che assomiglia a una trapunta che copre i colli, in cima ai quali castelli e piccoli borghi controllano come vedette le vallette sottostanti. 

Siamo nella punta più a sud-ovest della regione, un territorio attraversato dal 45° parallelo nord, il parallelo del vino, che percorre le zone vocate alla viticultura. Un’areale che non trova pace, spesso scosso da scandali, traumatizzato da occasioni perdute, fucina di contrasti e contraddizioni. Fa montare la rabbia a ogni appassionato di vino, perché gode di una potenzialità immensa, ancora non valorizzata. Alcuni importanti produttori ultimamente hanno deciso di investirci e speriamo che insieme ai piccoli e medi produttori che stanno già lavorando per la qualità (menzioniamo anche il lavoro di Oltrepò Terra di pinot nero, associazione che sta lavorando per mettere in luce i pregi del territorio), riescano a dare la svolta. Riteniamo che l’Oltrepò sia particolarmente vocato per il metodo classico a base di pinot nero, con alcune produzioni che se la giocano in nazionale. 

L’Oltrepò tuttavia non è solo pinot nero, si produce anche un ottimo riesling, e poi barbera, bonarda, (vino vivace vinificato da uve croatina principalmente, eventualmente con saldo di barbera, vespolina e uva rara), Sangue di Giuda, da uve barbera, croatina, uva rara, vespolina e pinot nero e Casteggio (con le stesse uve). Non dimentichiamo lo storico Buttafuoco, dalle vigne eroiche fra i torrenti Scuropasso e Versa.

Consorzio Tutela Lugana DOC
Consorzio Tutela Lugana DOC

Le Doc del Lago di Garda

Attraenti i vini rosa della Valtènesi, da uve groppello, marzemino, barbera e sangiovese, che si stanno guadagnando l’attenzione per il loro profilo sapido e piacevolmente beverino, un po’ meno sull’onda i rossi (con le stesse uve). 

Nell’anfiteatro morenico a sud del Lago, ecco il Lugana (Doc interregionale), il bianco delle argille. Un vino che mostra una spiccata personalità, caratterizzata da grinta salina, vigore e morbidezza. Il Lugana è capace di sfidare gli attacchi del tempo, trovando nella maturità degli anni una nobiltà impressiva. 

Più a est, il Garda Colli Mantovani, che delimita il lago e apre a un ventaglio di innumerevoli vitigni. 

Altre denominazioni

Da segnalare nel bresciano: San Martino della Battaglia, nella stessa zona del Lugana con il suo vitigno tuchì, Botticino, tra cave di marmo e boschi, Capriano del Colle con le sue argille rosse; nella bergamasca, Valcalepio con i suoi rossi bordolesi e il raro passito Moscato di Scanzo, seconda Docg più piccola in Italia. E poi San Colombano al Lambro, noto come il vino di Milano (anche se in realtà comprende anche dei comuni di Pavia e Lodi) e citato dal trio Monelli-Soldati-Veronelli. In pianura, nel sud-est, domina il Lambrusco mantovano.

Foto copertina: Consorzio di Tutela Moscato di Scanzo

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