Tra case, famiglie e cantine, uno straordinario percorso di storia, cultura, anfore e lavoro. Non senza qualche classica contraddizione della Campania…
di Nello Gatti
Siamo partiti per un viaggio in Campania, o meglio ce lo siamo auto-organizzati. La rotta girava attorno al Vesuvio come un compasso e, infuocati dai terreni vulcanici e i vitigni autoctoni che saremmo andati ad degustare, prepariamo scarpe comode e appunti per scoprire quanto c’è di vero nella leggenda del Lacryma Christi.
Arriviamo a Napoli, lo sguardo è subito lì: o’mare, o’Vesuvio… La propaganda regionale lo definisce “il vulcano più famoso al mondo”, ma tra il dire e il marketing c’è di mezzo il mercato, sicuramente più allineato a quello siciliano che vede sull’Etna grandi investimenti e una continua ricerca, dove le contrade sono lo strumento di lettura antagonista rispetto alle polemiche che persistono in Campania, in cui i produttori continuano a richiamare a sé tutti i principi e gli egocentrismi di una viticoltura unica e baciata dal destino, ma contraria a quella del vicino.
Incenerito dalla grande eruzione del 79 d.C. infatti, questo territorio non ha mai avuto grandi spazi nelle carte vino o nella critica internazionale, quella che invece potrebbe assolutamente premiare questa produzione assolutamente moderna, sostenuta nell’alcolicità e composta da vitigni super-autoctoni che tratteggiano una storia tanto affascinante quanto spendibile. Si vede però che nel Consorzio dominano ancora figure agnostiche.
Direzione Pompei, dove il cemento prende il posto della storia con sbuffate di brutalismo e abusivismo, raggiungiamo una vera e propria oasi che – nascosta all’interno di questo rocambolesco parco cittadino – riserva numerose sorprese: Bosco de’ Medici è un wine resort (sito a pochi metri da scavi quasi impossibile da raggiungere anche anche scavalcando), capace di fornirci più di un buon motivo per vivere un’esperienza di degustazione a tutto tondo: le camere, la piscina, i cavalli, il ristorante e la SPA…
Insomma il benessere qui non manca. E poi le anfore, il pergolato, i piccoli tini e le bottiglie esposte nel wine shop sono quel connubio funzionale-estetico che rende questa realtà uno dei complessi enoturistici meglio riusciti in regione.
Per l’accoglienza ci si affida ai tour operator e alle guide turistiche, per la consulenza enologica al “volante” Vincenzo Mercurio. Per non restare fermi sulle proprie rovine romane, la distribuzione è appaltata a un rinomato catalogo di portata nazionale, capace di diffondere queste etichette “made in Pompei” oltre il comprensorio vesuviano e – perché no? – oltre confine italiano.
Vini di buona sostanza tattile, dove le sperimentazioni e l’utilizzo di contenitori come l’anfora sono tutt’altro che concluse, il richiamo alla nota famiglia di mercanti fiorentini è quel blend utilissimo nel legare i vitigni autoctoni del territorio alle attività di qualche secolo fa, dove vino e caccia erano il vezzo delle famiglie che (prima della discutibile costruzione della 268bis) scorrazzavano tra i crateri di questa pineta.
La storia ha un altro checkpoint più a nord, a Boscotrecase, dove all’equivalente numero di case si sono aggiunte almeno una dozzina di ville per cerimonie: un vero e proprio atto di masochismo se consideriamo quest’area a ridosso di un pericoloso vulcano attivo, ma vuoi mettere l’ebrezza di morire e poi essere ricordati a distanza di 2000 anni come a Pompei…?
Detto ciò, tra salite, serpentine e più di una buca, una grande struttura in legno a ricordarci la casa sull’albero che sognavamo da bambini titola “Sorrentino”. È un’azienda familiare, nel vero senso della parola e nella sua concezione emotiva. Qui lavorano tutti, dall’accoglienza alla vigna, perché il contributo di ognuno è propedeutico all’enorme sviluppo che questa realtà ha portato prima a sè e all’intero territorio.
Vitigni autoctoni riscoperti e rivalutati, pietanze contadine e accoglienza “sul campo”, ecco la tripletta messo a segno dalla famiglia Sorrentino che nei decenni è riuscita a conquistarsi una posizione privilegiata sui mercati internazionali, oltre alla quota “Campania” nelle carte vino nazionali. Lavoro fatto su parcellari, valorizzazione degli storici Aglianico e Falanghina come scommessa su Caprettone e Piedirosso, attenzione alle escursioni come alla biodiversità locale.
Il risultato: vini veraci, toccano la lava con un dito e portano un pezzetto di accoglienza vesuviana a tavola senza retorica o desiderio di onnipotenza. Tangibile è anche il lavoro che di generazione in generazione hanno svolto le donne di casa Sorrentino, dalla Nonna alle due nipoti, oggi impiegate una nella sfera enologica e l’altra nell’accoglienza. Un rumoroso caso di successo silenzioso, perché in famiglia vige il valore dell’onestà e dell’impegno.
E ora ci spostiamo a Trecase dove il Comune perde il suo concetto di bosco, ma acquisisce tutto il bene di chi ci accoglie spalancando le porte della propria abitazione: Casa Setaro. Massimo, illuminato e instancabile promoter del suo concetto di viticoltura ragionata e sensibile, più che un wine garagista è riuscito a ritagliarsi la benevolenza dei colleghi e dei clienti con il suo concetto di Casa-Cantina. Uno dei primi ad aver creduto nell’anfora qui attorno al Vesuvio, è anche tra i pochissimi ad aver destinato ingenti studi e somme al comparto marketing. E i risultati si vedono.
Contrariamente alla quasi totalità della produzione locale infatti, la lacrima di Massimo è un accento su quei colori pastello che racchiudono il suo piccolo mondo, ricavandone una grafica tra Andy Warhol e il fumetto. Avanguardista nelle sperimentazioni sul vitigno Caprettone, è oggi uno dei pochissimi nomi spendibili nel comparto spumantistico regionale con il suo metodo classico Pietrafumante, riuscito talmente bene da terminarne ogni anno le scorte senza alcun regalo o scontistica, in pochi mesi.
E la leggenda del Lacryma Christi? Quella la trovate su Wikipedia, mentre qui si versano ancora lacrime amare quando – alla richiesta di far visita a una Cantina sul versante nord del Vesuvio – il titolare (nonché presidente del consorzio), apostrofa severo: “Dovevate venire prima da me che da loro!” Una sua personale visione del vulcano che, forse proprio per colpa di queste miopie, resta intrappolato nel proprio cono senza mai esplodere. Quanto a noi, provenienti un po’ da tutta Italia, chi giornalista, chi blogger e chi appassionato, dopo questo tour ci eravamo ripromessi di portare fuori quei racconti su scala nazionale ma, come canne al vento, ci siamo infine ritrovati con qualche foto ricordo e il rosso del pomodoro del piennolo.
Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all'estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.