Nella millenaria storia tra clima e agricoltura, il capitolo più recente si sta scrivendo con l’ausilio della tecnologia. La parola d’ordine, secondo l’agronomo Gennaro Giliberti, è “reagire, non subire”. Tra sfide e progresso, senza cadere negli allarmismi
di Emma Pagano
Culla della viticoltura, l’area mediterranea è da sempre nota per la biodiversità, le temperature miti e la fertilità delle proprie terre. Un equilibrio quasi miracoloso che ha portato alla fioritura di coltivazioni che da sempre arricchiscono la vita e le tradizioni del nostro Paese. Oggi tuttavia sembra infrangersi contro una realtà sempre più incandescente, colpita da fenomeni atmosferici di intensità e frequenza imprevedibili: dalla siccità alle “bombe d’acqua”, passando per temperature medie che, negli ultimi due anni, sono state le più calde di sempre. Anche a causa della minor influenza mitigante esercitata proprio dal mare nostrum: “Ricorda i vecchi termosifoni in ghisa? – spiega il dottor Gennaro Giliberti, Direttore dell’Area Agricoltura e Sviluppo Rurale della Regione Toscana – “Quando li accendevi ci mettevano parecchio a scaldarsi, ma dopo che li spegnevi continuavano a emettere calore a lungo”. Questa metafora dal tocco nostalgico, che riporta alla mente i meccanismi più lenti e comprensibili di una volta, ci aiuta a capire l’effetto mitigante del mare, che agisce allo stesso modo: “Il Mediterraneo d’inverno si raffredda e, quando le temperature esterne salgono, quelle più fresche del mare ne riducono l’effetto. Viceversa, quando l’atmosfera si raffredda, il mare, ancora saturo del calore estivo, ne addolcisce l’impatto. Oggi però il mare ha raggiunto temperature senza precedenti e quell’effetto mitigante è solo un ricordo”.
E le piogge? Secondo i dati presentati dal Consorzio LaMMA (Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale) in occasione di PrimAnteprima 2024, i modelli climatici non registrano variazioni nelle medie stagionali delle precipitazioni, ma evidenziano come a cambiare sia l’intensità e il numero di giorni con piogge forti, responsabili delle alluvioni sempre più frequenti. Il risvolto della medaglia è la siccità: dal 2000 a oggi si è verificata almeno ogni 5 anni una condizione di siccità persistente.
Sono dati preoccupanti, ma non devono paralizzarci. Secondo Giliberti i media enfatizzano gli effetti scioccanti dei cambiamenti climatici, distraendo dalle soluzioni pratiche: “Corriamo il rischio che questa drammaturgia della comunicazione sul climate change irretisca il cittadino, portandolo a vivere il cambiamento climatico come qualcosa di passivo”.
L’invito, invece, è a trasformare la sfida in opportunità: “L’agricoltura, con i suoi 15.000 anni di storia, ha sempre saputo adattarsi. Oggi, con la scienza e l’innovazione, possiamo esplorare soluzioni audaci che non avremmo mai considerato prima”.
L’innalzamento delle temperature ha già iniziato a condizionare l’agricoltura italiana: le coltivazioni di frutti tropicali in Italia sono triplicate, con banane, avocado e mango che sfidano i confini geografici, spostando l’asse agricolo da Nord a Sud. Aumentano il frumento duro o il pomodoro da industria nel Nord Italia, mentre i vigneti sono arrivati oltre i 1000 metri di altezza, e in Valtellina crescono oggi 10mila olivi.
C’è chi sposta le vigne in altitudine e sperimenta la coltivazione di varietà inedite: “Potremmo assistere alla nascita di prodotti che fino a non molto tempo fa sarebbero stati risibili, come il Pinot nero del Mugello”, suggerisce, a metà tra il serio e il faceto, il dottor Giliberti. Del resto, gli appezzamenti che 10 anni fa arrivavano a toccare i 30° d’estate oggi ne raggiungono anche 42, “ma non è detto che la temperatura sia uniforme in tutto il vigneto: in certi punti potrebbe essere inferiore, per esempio sui versanti più ombreggiati. Molti viticoltori per questo stanno sperimentando la possibilità di spostare le vigne proprio nei luoghi che un tempo sarebbero stati meno vocati alla coltivazione dell’uva”.
Intere filiere “traslocano” verso habitat più accoglienti, insomma, ma la “migrazione” delle colture non è l’unica via percorribile. Grazie alla tecnologia la partita si gioca sempre più spesso nell’area circoscritta del campo – inteso proprio come l’appezzamento di terreno coltivato – dove le antiche tecniche di miglioramento genetico oggi mettono il turbo, grazie all’innovazione.
“Prendiamo ad esempio uno dei nemici più temuti della vite, la flavescenza dorata – spiega il dottor Giliberti – Quando colpisce è capace di sterminare tutto il vigneto, o quasi. Ma se qualche esemplare sopravvive, allora l’agricoltore può selezionare quella vite superstite, tagliarne i rametti, e innestarli su dei portainnesto da cui cresceranno delle copie geneticamente esatte della pianta originale”. Mentre parla, il dottor Giliberti accompagna le parole a gesti delle dita che imitano lo sbocciare delle piante in un campo: è evidente il suo coinvolgimento capillare, che diventa entusiasmo quando entra nel dettaglio delle tecniche d’avanguardia che stanno riscrivendo il futuro dell’agricoltura. “Questa tecnica è detta ‘selezione clonale‘ e permette di sviluppare una ‘cartucciera’ di esemplari dotati di particolare resilienza rispetto alle minacce più frequenti alla vite, dalle malattie a quelle climatiche, a cui attingere in base all’esigenza”.
Ma non solo: se per vincere la partita è necessario conoscere in profondità le carte in tavola, oggi ci sono strumenti nuovi per intervenire con precisione millimetrica all’interno del vigneto. Con satelliti e droni, la tecnologia diventa la nostra guida nel comprendere il terreno: “Attraverso tecniche di telerilevamento siamo in grado di ‘leggere’ le condizioni del suolo, che può essere variegato anche all’interno dello stesso campo. Grazie a sistemi informatici che comunicano direttamente con i macchinari agricoli – dalla concimazione ai trattamenti antiparassitari, dalla potatura alla raccolta – ogni fase produttiva può essere svolta su misura per le specifiche condizioni in ogni parte della vigna. I telerilevamenti restituiscono una vera e propria mappa che, di giorno in giorno, permette di conoscere le condizioni di ogni singolo centimetro del terreno, e di agire di conseguenza scegliendo l’approccio giusto”.
Ma se la tecnologia entra in scena come una guida preziosa, l’umanità rimane il cardine: l’enoturismo, secondo il dottor Giliberti, è il ponte che invita tutti a toccare con mano la natura e a comprendere il lavoro degli agricoltori. “L’enoturismo è uno degli strumenti più efficaci a disposizione per portare la gente a vivere il contatto diretto con il territorio”.
Proprio le persone nel quotidiano che cosa possono fare? “Basta questo”, dice il dottor Giliberti, simulando il gesto di afferrare un oggetto da uno scaffale. “Ogni scelta di acquisto che compiamo può essere un atto di consapevolezza, un gesto che protegge la natura e supporta la sostenibilità”.
Per esempio favorendo il biologico? “Qui in Toscana crediamo talmente tanto nel biologico che siamo la prima regione d’Italia per superfici coltivate con questo metodo”.
Teniamolo dunque a mente prossima volta che facciamo un acquisto: prima di afferrare un oggetto dallo scaffale, diamo prima uno sguardo ideale al cielo, uno alla terra, uno al futuro.