Iacobucci e Carducci dall’orto al vino: “Il nonno lo faceva in casa, oggi abbiamo 700 referenze”

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Agostino e Giorgio raccontano la loro cucina fusion tra nord e sud: “Le nuove norme sul consumo? Stiamo studiando un percorso di degustazione analcolico, ma la strada è servire meno e alzare la qualità”

di Alessandra Meldolesi

Sarà bellissima e vivace, Bologna, ma di certo non è la capitale del fine dining. Il campano Agostino Iacobucci ne ha fatto comunque la scena della sua cucina fin dal 2012, accendendovi una stella che negli anni si è spostata dai Portici al ristorante eponimo di cui è chef patron. Formatosi perlopiù nel Napoletano, da La Sonrisa di Andrea Cannavacciuolo, padre del più celebre Antonino, a O’ Saracino, fianco a fianco di Gennarino Esposito, senza grossi nomi sul cv, esprime una cucina personale ispirata alla fusion nord-sud, che sta ficcando radici sempre più profonde nell’orto. “Perché proprio Bologna? Negli anni avrei potuto compiere altre scelte: Milano, Napoli, la Puglia. Ma mi sono innamorato di una città a passo d’uomo, delle persone accoglienti e dei portici”. Con lui da sei mesi c’è un sommelier bolognese doc, Giorgio Carducci, che ha lavorato per diversi anni in Irlanda, con Paolo Griffa e Quique Dacosta.

 

Iacobucci: Parlando di vino, non posso fare a meno di pensare a mio nonno Pasquale, che a Lettere lo ha sempre fatto in casa. Con lui ho ricevuto il primo imprinting, dalla vendemmia alla pigiatura con i piedi da bambino. Per me un’avventura. Poi crescendo mi sono appassionato sempre più e ho conosciuto i grandi bianchi, le bollicine e i vini del resto d’Italia e del mondo. Ma personalmente continuo a prediligere i rossi. Mi piace tantissimo il Taurasi, adoro la Toscana, il Barolo e l’Amarone. Quando sono partito nel 2019 a Villa Zarri, ho dovuto fondare la cantina da zero. Ai professionisti che mi affiancavano, ho chiesto una carta giovane, bella, che coprisse tutte le regioni italiane e un po’ di estero, compresi i naturali approcciati più tardi. Ma i nostri mezzi erano ridotti. Oggi abbiamo verticali di Sassicaia, Solaia, Tignanello, Barolo Mascarello e Conterno. I sommelier mi hanno fatto degustare nuove cose, allargando i miei orizzonti. Serve avere di tutto, per accontentare un pubblico in cerca di prodotti diversi e piccoli vigneron.

Carducci: Direi che attualmente disponiamo di un bell’arsenale, dalle Dolomiti alle isole del Mediterraneo, dalle etichette imprescindibili alle bevute più particolari. In tutto superiamo le 700 referenze, ma io vorrei ampliare ancora un po’ l’estero, in particolare la Mosella e l’Austria, oltre a migliorare la Borgogna per i conoscitori. La cucina dello chef tende al Pinot nero e al Riesling, è delicata, quindi serve intensità aromatica e leggerezza. Sulle carni invece chiama i grandi rossi.

Iacobucci: Noi abbiamo tre menu degustazione: il carta bianca Esplorando, il Vegetariano con i prodotti dell’orto e lo Storico con i signature dei miei ultimi 14 anni a Bologna, rinforzati e perfezionati. Piatti come Napoli incontra l’Emilia, la seppia con spuma d’aglio e olio alla ‘nduja, il totano con patate e dragoncello, il babà a tripla lievitazione. Con Giorgio abbiamo composto un pairing in grado di esaltarli, per esempio all’anguilla di Comacchio, un pesce grasso lavorato con suggestioni orientali, servito con agrumi e misticanza alcolica, abbiniamo una Vitovska slovena macerata, che prolunga il viaggio. Su 10 portate sono 5 o 6 calici, che scegliamo a tavola col maître. Allora Giorgio fa le sue proposte, assaggiamo tutti insieme e lui decide.

Carducci: Nei miei pairing cerco sempre soluzioni creative, a volte per concordanza, altre volte per contrasto, considerando sempre il cliente che ho di fronte. Di solito metto in sequenza una bollicina, un paio di bianchi e un rosso, ma tutto può cambiare secondo l’ospite e la cantina ruota tanto, in modo che le bottiglie non muoiano sugli scaffali. Tanti si vergognano del rosso sul pesce, non hanno il coraggio di chiederlo, ma se è poco tannico e viene servito alla giusta temperatura, perché no. Non c’è una grande richiesta di vini emiliani, e me ne dispiaccio, perché nel nostro Appennino il Sangiovese può offrire risultati apprezzabili, che magari non vanno tanto d’accordo con la cucina dello chef. Invece serviamo spesso vini campani, da Luigi Moio a Marisa Cuomo.

Iacobucci: Ogni tanto usciamo anche a mangiar fuori dai nostri colleghi più bravi e ci confrontiamo per crescere e riuscire a emozionare. È un’altra occasione per bere insieme. Io scelgo solo i rossi, al resto pensa Giorgio.

Carducci: Purtroppo il recente inasprimento del codice della strada si è fatto sentire, tanto che stiamo studiando un percorso di degustazione analcolico a base di infusi ed estratti. Sul fronte vino pensiamo all’upgrade di un pairing premium, che oltre l’effetto di intimidazione psicologia, possa rientrare nei nuovi limiti.

Iacobucci: Penso che la strada sia vendere meno e alzare la qualità, servendo al calice anche un Quintarelli o un grand cru di Chablis.

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Piselli quasi scapece
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Alessandra Meldolesi

Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.

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