Il nostro piccolo, grande laboratorio stellato

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di Alessandra Meldolesi

Al ristorante “Casa Mazzucchelli” di Sasso Marconi, la tradizione di famiglia continua con il sommelier Massimo e la cuoca Aurora: “Non smettiamo mai di lavorare sulla fantasia e sugli errori”

A “Casa Mazzucchelli” la dialettica cuoco-sommelier è nel sangue: Massimo e Aurora sono fratelli e insieme hanno costruito un’identità e un metodo di lavoro quotidiano, trasformando più volte il ristorante dei genitori a Sasso Marconi sempre con esiti sorprendenti. Stellati dal 2008, hanno poi aperto il forno Mollica nel 2016 e studiato il mondo pizza, per approdare a una formula originale – nuovamente stellata – che prevede l’inserimento di carboidrati quale filo conduttore del pasto.

Massimo: “Diciamo che tutto è partito in maniera naturale, molto spontanea. Io, che sono maggiore di 5 anni, nel 1983 ho iniziato a dare una mano ai miei genitori, nonostante mi fossi iscritto a odontoiatria. E sono sempre rimasto in sala. Aurora è arrivata dopo, ha finito la scuola e frequentato un corso professionale di cucina. Ma nessuno dei due ha mai dubitato di voler portare avanti il ristorante. Più o meno sono 35 anni che collaboriamo. Abbiamo litigato? Quasi mai. Come? Anche violentemente, perché siamo due testardi. Ma dopo le poche discussioni, che sono state contate, siamo sempre riusciti a migliorare in qualche cosa, quindi sono state costruttive. Dove poi ci siamo collocati, è stata un’esigenza di famiglia. Nostro padre stava invecchiando, Aurora lavorava in sala con me, un giorno ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso chi doveva prendere le redini della cucina”.

Massimo Mazzucchelli

Aurora: “La scelta è stata facile. Io avevo fatto la scuola alberghiera, lui era già diplomato sommelier e svolgeva il lavoro a diretto contatto col cliente, mentre personalmente mi occupavo di… quello che non si nota, come l’organizzazione delle comande. Quindi – avendo studiato per quello – mi sono detta: passo in cucina”.

Massimo: “Era il ’97-98 e da lì abbiamo cambiato formule e concetti, conquistando e riconquistando la stella Michelin. A muoverci è stata l’esigenza di crescere culturalmente e confrontarci, oltre naturalmente alla passione per lil mondo della cucina e della ristorazione”.

Aurora: “L’amore per il bello ci ha sempre affascinato. Vedere colleghi che magari avevano già raggiunto altri obiettivi. La bella sala, il bel servizio, il bel piatto, la cura e l’attenzione , sono elementi che spiccano, che si notano sempre, di conseguenza cercavamo costantemente di arrivare a quel punto, di toccare quei vertici. Il primo è stato Alajmo nel 2000”.

Aurora Mazzucchelli

M. “In quel momento abbiamo capito la differenza, cioé quanto fosse lontana da noi l’alta cucina. C’era un abisso, pur proponendo un buon menù. A quei tempi eravamo però ancora un ibrido, spaziando dai piatti dei nostri genitori (come il branzino al sale) a qualche rivisitazione.  Abbiamo pensato di raggiungere i nostri obiettivi lavorando. Ci consideriamo persone molto semplici, abbiamo lavorato sui nostri errori: questa è la ricetta della famiglia Mazzucchelli. Ai fornelli portiamo i ricordi storici e la crescita nel tempo, grazie alla continua esigenza di formarci e raccontarci. È una cucina in movimento, frutto dell’esperienza acquisita. Sarebbe stato più comodo avere un’attività tradizionale nel miglior modo possibile, ma le nostre esigenze erano altre: dovevamo creare per crescere, senza avere forti basi o appartenenze. Quindi abbiamo attuato un nuovo inizio, come è oggi ‘Casa Mazzucchelli’: uno stimolo per metterci in discussione e per non smettere di imparare, di salire”.

A. “Io ho iniziato a fare degli stage, quindi Arnolfo, Lopriore, Herbert Hintner, un po’ di Spagna. Col fatto che già lavoravamo tanto, lo scarso tempo che rimaneva cercavo di impiegarlo in qualche posto che potesse fungere da step nel nostro percorso, cambiando stile ogni volta, poco o tanto che fosse”.

M. “Anche perché erano stage abbastanza brevi, di due o tre settimane. Aurora è fondamentalmente autodidatta. Io invece mi sono formato andando in giro per fiere e cantine. La mia filosofia, quindi la ricerca del vino più sano possibile, si è formata frequentando i ristoranti. Nel 1999, iniziando i corsi da sommelier, mi sono reso conto che esistevano le guide dei ristoranti, ho cominciato a fare tappa nei posti importanti dove mi parlavano di artigiani, casari o allevatori. Da lì la mia ricerca sul vino, le prime fiere dei vignaioli naturali, le visite in cantina, gli assaggi, la scoperta dell’esistenza di un altro mercato e un’esigenza diversa (come consumatore e non solo da imprenditore) di trovare qualcosa che mi creasse lo stesso stimolo di quando cercavo la carne buona, il pesce buono, le verdure buone, le farine buone. Così è partito il percorso di ricerca sui vini che adesso sembra normale, ma vent’anni fa era leggermente fuori dagli schemi classici, perché le carte dei ristoranti non erano quelle attuali. C’erano grandi vini italiani e grandi vini francesi. Io non credo nei vini naturali: esistono i vini buoni e quelli cattivi, come non c’è gerarchia fra alta cucina e trattoria ben fatta”.

Casa Mazzucchelli

A. “Non sono una grande bevitrice, quindi fondamentalmente mi sono affidata a lui: ancora oggi Massimo arriva spesso con bottiglie da assaggiare e lo facciamo con entusiasmo la sera, in famiglia”. 

M. “Invece la passione per la cucina era comune, a entrambi piaceva stare con mio padre tra pentole, padelle e mestoli…”. 

A. “E’ ‘sul piatto’ che ci ritroviamo. Ricorriamo a vari sistemi di lavoro, ma alla fine di questi processi c’è sempre un grande confronto fra me e lui, basato anche solo su pensiero – che potrebbe apparire banale – di usare un tipo di ingrediente o un altro, anche in rapporto alla stagionalità e ai fornitori”.

M. “Parlerei di un piccolo laboratorio. Ci sediamo come fanno tanti colleghi e analizziamo il menu, i nostri classici attuali e potenziali, i piatti che hanno avuto il loro percorso, magari solo stagionale. Da lì iniziamo a fare le nostre valutazioni sul cambiamento. Ci sono temi come i fornitori e il periodo su cui ci soffermiamo spesso: cominciano le prove e gli assaggi, ragioniamo sull’equilibrio, sull’idea del piatto. Non sono ingredienti messi insieme, ma un percorso”.

"Artico", uno dei piatti proposti a Casa Mazzucchelli (ricetta al link a fondo pagina)

A. “In questo percorso c’è la voglia di raccontare il territorio, le materie prime, ma anche quello che un po’ siamo noi, la nostra crescita, quello che abbiamo vissuto. Mi accorgo che casco molto sulla canocchia, sul granchio, per l’eredità di mio padre. Siamo siciliani di origine, ma abbiamo passato molte estati sull’Adriatico. Questa doppia valenza esce regolarmente ed è bello raccontare un vissuto che conferisce identità”.

M. “Il vino in tutto questo può essere un accompagnamento, magari elegante, o un ingrediente. Arriva insieme all’emozione del piatto. Se è nelle mie corde, deve esserci una conseguenza fra le due idee. Per esempio nel maccherone con l’anguilla affumicata e le ostriche aggiungo il whisky, perché ci sono la nota iodata che riporta l’ostrica e la nota fumé per l’anguilla: mi serve per aumentare la persistenza retronasale dei motivi del piatto, grazie all’alcol”. 

A. “Al primo assaggio di cibo capita che Massimo si alzi e prenda una bottiglia. E a volte mi sorprende, per esempio il vermouth sul cervo… Ma sono prove che facciamo piatto per piatto, difficilmente testiamo i menu completi”. 

M. “La carta dei vini si è sviluppata in funzione di questa ricerca, il filo conduttore è quello dei vignaioli artigiani, la conoscenza degli uomini ha portato all’inserimento in carta. I carboidrati non hanno cambiato la filosofia, sono solo un elemento supplementare per raggiungere l’equilibrio. Avendo le due attività collegate, siamo semplicemente andati a sviluppare l’ingrediente grano come parte della ricetta.  In tutto questo la scelta dei vini al calice è strutturata in funzione della carta: la degustazione è libera, non c’è un pairing definito ma in movimento, secondo la composizione del tavolo o le variazioni. Lavoro sulla struttura, pensando anche alla successione. Ci ragiono molto, per questo gioco più sull’emozione che sull’abbinamento classico”.

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