Napoli-Lazio: sarrismo e rivoluzione, il Barbacarlo di Lino Maga.

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di Raffaele Cumani & Antonio Cardarelli

Dopo la sbornia dei vini piemontesi della scorsa giornata, per Champions Wine è tempo di ricominciare il giro d’Italia dei vini e del calcio. Per motivi che sfuggono ai più quest’anno le squadre italiane stanno macinando turni nelle coppe europee (sarà il nostro nettare divino a fare la differenza?!). Ecco allora che anche il calendario del nostro massimo campionato ne risente e vede Napoli-Lazio in programma venerdì sera.

Il motivo è presto detto ed è molto italiano, come direbbe Stanis La Rochelle. Lazio e Roma devono giocare gli ottavi di finale di Conference ed Europa League in casa, ma condividendo molto italianamente lo stesso stadio, ecco che Lazio-Az Alkmaar è stata spostata a martedì. Da qui la necessità di anticipare Napoli-Lazio a venerdì. È un po’ la faccenda del battito di ali in Amazzonia eccetera eccetera… o forse semplicemente e come sempre un’altra storia…

Bene, sbrogliata la matassa burocratica passiamo ai fatti e alle storie eno-calcistiche che tanto amiamo. Come raccontare Napoli contro Lazio? Questa volta abbiamo scelto di raccontare la partita attraverso un personaggio e tutto quello che ci evoca… e che personaggio. Esatto, proprio lui: Maurizio Sarri, il Comandante, l’inventore a sua insaputa della corrente rivoluzionaria definita “sarrismo”, finita anche sulla Treccani. Nato a Napoli da papà operaio all’Italsider di Bagnoli, ma cresciuto in Toscana, Sarri è uno di quegli allenatori che hanno l’urgenza di modellare le squadre secondo il proprio pensiero. E le squadre allenate da Sarri, almeno quelle che hanno deciso di seguirlo, si riconoscono subito da come stanno in campo, da come difendono e da come trattano il pallone.

Amante delle osterie e del vino rosso – che dice di bere anche con il pesce! – Sarri ha dichiarato di avere un debole per il Carmignano di Piaggia. Motivo in più, per noi appassionati eno-calcistici, per raccontare Napoli-Lazio attraverso la storia di questo allenatore mai banale. E come un ottimo rosso, anche il Maurizio Sarri tecnico di calcio è maturato tardi. Dopo una carriera in banca, decide di mollare tutto per fare “l’unico mestiere che avrei fatto gratis”. E piano piano, partendo dalla Seconda Categoria, inizia la scalata che lo porta prima a Empoli e poi a Napoli, nel calcio che conta. L’utopia calcistica di Sarri, la volontà di imporre sempre e comunque il proprio gioco, l’idea impossibile di avere il 100% del possesso palla nella metà campo avversaria, dominare la partita contro qualsiasi squadra. Queste sono alcune delle caratteristiche del “sarrismo”, che proprio a Napoli ha toccato il suo picco massimo, confortato dalle mille sigarette, dalle tute acetate sdoganate e dai caffè serviti direttamente dalla moka durante gli allenamenti. Poi, come il Comandante vero – Ernesto Che Guevara – Sarri ha cominciato ad esportare la sua rivoluzione in giro per il mondo, raccogliendo però accuse di tradimento dai suoi ex seguaci. Al Chelsea ha vinto il suo primo trofeo, ma viene ricordato dai tifosi Blues solo per la litigata con il portiere Kepa che si rifiuta di uscire dal campo. Alla Juventus ha vinto lo scudetto meno festeggiato di sempre, con Sarri ingabbiato nel completo d’ordinanza e indispettito dalla mancanza di sigarette… un’esperienza che ricorda per certi versi quella di Brian Clough nel Leeds United, raccontata magistralmente nel film “Il maledetto United”.

Il calcio di Sarri ha ruoli “simbolo” imprescindibili, come ogni amante del vino custodisce in cantina certe bottiglie che non possono mancare. Il primo e fondamentale ruolo nel sarrismo è quello del regista alla Jorginho (o alla Valdifiori per il periodo empolese), centrocampista dall’intelligenza tattica sopraffina, poco appariscente ma vero equilibratore della squadra, emanazione diretta dell’allenatore in campo. Il regista nel calcio di Sarri muove la palla velocemente senza prendere troppi rischi, passaggi corti per chiamare fuori il pressing avversario e cercare l’imbucata al momento giusto. 

Lo scudiero del regista sarriano è quello che una volta veniva definito il “cagnaccio” di centrocampo. Giocatore tutta grinta, copre praticamente ogni zona del campo comprese le bandierine dei calci d’angolo: nelle squadre di Sarri si ricordano un Allan strepitoso ai tempi del Napoli e un altrettanto efficace Kanté nel Chelsea.

Ma, come suggerito da un amico amante del sarrismo e del buon vino, le squadre di Sarri possono contare anche su una fase difensiva di prim’ordine, spesso sottovalutata “per colpa” del bel gioco espresso in attacco. E in effetti la difesa a 4 super organizzata di Sarri ha valorizzato giocatori come Koulibaly e, nella Lazio, ha fatto rinascere un centrale difensivo come Romagnoli che nel Milan da capitano era finito in panchina. Anche qui l’intelligenza degli interpreti fa la differenza, perché i movimenti nelle squadre di Sarri sono tutto. E in questa organizzazione ha un ruolo fondamentale anche un terzino che non spinge troppo, ruolo impersonato alla perfezione da un vero giocatore feticcio di Sarri, fin dai tempi di Empoli: Elseid Hysaj. Il terzino albanese, che si è presentato alla Lazio scegliendo di cantare “Bella Ciao” (forse un omaggio al credo politico del suo allenatore, che vanta un nonno partigiano), è un altro giocatore che si vede poco, ma che dà alla squadra l’equilibrio chiesto da Sarri. 

E a proposito di sarrismo vediamolo calarsi dall’iperuranio al mondo reale con una carrellata di gol e geometrie!

Ma ci stiamo allontanando troppo dal nostro amato vino. Sarà l’amore per le sigarette, l’utopismo, la maniacalità e la passione applicate al lavoro, ma a noi di Champions Wine, Maurizio Sarri fa venire immediatamente in mente un grande produttore lombardo, uno di quelli che ha fatto la storia del vino pavese, e la sua tenace lotta al sistema. I più perspicaci appassionati eno-calcistici avranno già capito di chi parliamo. Lino Maga da Broni. Iconico produttore artigiano del Barbacarlo, “contadino” amico di penne sublimi come Brera (che oggi si fregerebbe del titolo indiscusso di presidente ad honorem dell’eno-calcismo) e Veronelli. Scomparso all’inizio del 2022, Lino Maga ha segnato un’epoca con la sua lotta ventennale contro il mondo perché il nome Barbacarlo potesse essere utilizzato solo per il vino prodotto quella specifica collina e vigna, dedicata allo Zio Carlo (Barba Carlo in dialetto). Un inno alla terra: una menzione, un cru, un vino. Lotta e rivoluzione, insomma. Croatina, uva rara e ughetta, la tipicità del pavese dal potenziale di invecchiamento infinito, l’ossessione uguale e inversa a quella sarriana, ogni bottiglia deve esprimere il territorio nella specificità dell’annata vissuta. Un vino, un manifesto di territorio e identità, diverso in ogni annata che Maga sciorinava a memoria. Vini inossidabili come la forza dell’idea, goduriosi e veri come nell’accezione più gioiosa e diretta del sarrismo (non a caso esiste una pagina Facebook che si chiama proprio “sarrismo – gioia e rivoluzione” facendo il verso al grande pezzo degli Area dell’indimenticabile Demetrio Stratos).

Direzioni ostinate e contrarie citando il Faber (altro grande fumatore ça va sans dire), caratteri schivi ma focosi, il sapere antico della cultura contadina ed operaia e la tenacia nell’affermare le proprie idee, che travalicano le mode. Perché ogni momento, ogni annata, ogni fase di gioco è unicità, attenzione ai dettagli, scontro con il mondo intero per difendere ed affermare le bottiglie che hai prodotto con le tue due mani o i soliti 11 che mandi in campo sotto il sole o la pioggia. E in fondo è tutto qui, calcio e vino, estasi e fatica, “materie”, ragioni del cuore, che “colorano” la vita, rendendola un po’ più appassionante.

Non abbiamo forse iniziato così il nostro primo appuntamento?

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