Dopo la lunga esperienza al “Cavallini”, Joseph Ghapios apre nella leggendaria via Gluck cantata da Celentano: “La fiamma si è riaccesa grazie a mio figlio Karym, ma tornare in cucina è entusiasmante e adesso mi sono innamorato anche del vino”
di Luca Serafini
“La cosa più bella che hanno scritto di me in questi 30 anni di carriera? L’hai firmata tu: mi chiamasti ‘il milanesissimo Joseph’ in un’intervista di tanto tempo fa. Questa definizione mi esalta più di tutti i complimenti che fanno per il mio lavoro, perché io mi sento davvero milanese”.
È fatto così, Joseph Ghapios. Non rinnega le sue origini egiziane, tutt’altro: appena è possibile torna al Cairo, a Sharm el-Sheikh, nei luoghi natii del suo Egitto, ma sta in Italia (a Milano) dal 1990, aveva 22 anni quando è arrivato, da allora questa è casa sua. Aveva concluso gli studi, il che non gli impedì una rifinitura eccellente dai Salesiani prima di iniziare a lavorare.
“Facevo il lavapiatti al circolo bocciofilo di via Ferrante Aporti, nei pressi della Stazione Centrale. Nel giorno di riposo andavo a cucinare per una squadra di rugby e iniziò il ‘7 su 7’ che è stato il ritmo di tutta la vita, salvo qualche pausa…”.
La gavetta è lunga, dura: 15 ristoranti diversi come cuoco, aiuto cuoco, capo partita finalmente a 26 anni quando approda al “Sambuco”, eccellenza meneghina frequentata – tra gli altri – dai Berlusconi.
“Il primo grande salto è l’acquisto del ‘Santa Marta’ in società con un collega, pochi risparmi e un lungo piagnisteo in banca per un finanziamento da 50 milioni di lire. Il ‘Santa Marta’ è un altro marchio storico della città: andò benissimo, dopo un anno e mezzo cedetti le mie quote al socio e andai a prendermi il ‘Coriandolo’ (si chiamava ‘La stagione dei sapori’) in via Dell’Orso”.
Ride di gusto, Joseph: “Uno dei motivi per cui mi hanno sempre dato del pazzo quando ho rilevato i locali storici di Milano, è che – oltre ad essere un’incognita – non avevano parcheggio. Il ‘Santa Marta’ nell’omonima stretta perpendicolare a via San Maurilio, il ‘Coriandolo’ dietro alla Scala, il ‘Giannino’ in via Vittor Pisani e poi il ‘Cavallini’ che forse era il più problematico. Ho sempre avuto il parcheggiatore, si faceva dare le chiavi e risolveva il problema, però a parte questo venivano comunque perché avevo creato un mood che si sposava con l’epoca glamour che stava vivendo la città”.
Eppure, il primo segreto fu tenere aperto in agosto…
“Si creano rapporti stretti, le relazioni sono diverse dal solito. All’epoca, nei 2 primi anni ’99 e 2000, erano pochissimi i locali aperti in quel mese, oggi è diverso”.
Al ‘Coriandolo’ la vera svolta professionale: calciatori, la moda, musica, feste dopo cena che nascevano spontaneamente.
“L’ambiente era particolare, molto allegro, elegante, si trasformava fino a tarda notte senza eccessi, senza sfarzo. Marco Trabucchi mi portò Shevchenko appena arrivato al Milan, diventammo amici, era assiduo. A sua volta Sheva mi presentò Kaladze che più tardi divenne mio socio al ‘Giannino’ con Lorenzo Tonetti. La clientela del ‘Coriandolo’ era elevata (anche a pranzo): Luis Figo, il giudice Guariniello, giornalisti, Messina (il presidente di Banca Intesa)…”.
Il calcio è stata una componente importante.
“Funzionava, ma non era voluto: era una combinazione naturale. Si mischiavano giocatori, dirigenti, procuratori, a volte persino allenatori. Piaceva il mood: finiva sempre in festa, si ballava, si cantava, si passava la serata. Fui uno dei primi a impostare incontri di calciomercato”.
Quanti ricordi…
“Al ‘Coriandolo’ Naomi Campbell una sera dopo cena si addormentò sul divanetto, era sfinita dopo l’ennesima sfilata. Da me fecero le prime uscite publiche Belen e Borriello, poi Shevchenko e Kristen. E poi il mio amico Piero Gaiardelli, un grande agente di abbigliamento sportivo griffato, che praticamente viveva lì… Però vorrei fermarmi qui con i nomi, perché potrei fare un elenco di centinaia di persone. Ricordo con affetto particolare Denny De Vito, Shakira, Justin Timberlake… Sono stati anni di grande lavoro, ma anche enormi soddisfazioni”.
Dopo di che arriva il “Giannino”.
“Fu una intuizione. Era un locale iconico, nato nel 1899. Avevo lavorato lì qualche tempo come cuoco, ero affascinato da quell’ambiente. Un giorno venne al ‘Coriandolo’ uno che vendeva le cucine, il marchio e… le piastrelle al muro del ‘Giannino’: erano preziosissime, antiche, fatte a mano, finirono nella villa di Prada. Acquistai il marchio, presi il ‘Grattacielo’ in via Vittor Pisani e lo ribattezzai ‘Giannino’. Gli amici mi dicevano ancora una volta: ma cosa fai? Non c’è parcheggio, è una zona depressa, non potrà funzionare. Invece feci ripartire la giostra, mi ricaricai, diventò il ristorante più famoso d’Italia”.
Come si fa a stare al passo? Centinaia di abitudini, gusti, orari sballati, esigenze diverse… La clientela glamour qualche volta è molto viziata.
“E’ una questione di ricerca e fatica: da tempo ero uscito dalla cucina, dopo aver impostato la mia linea molto mediterranea, e mi occupavo più del servizio, della sala, stando attento al cliente e al personale”.
Dopo 5 anni lasci il “Giannino” a Lorenzo Tonetti e via, un altro marchio storico: l’Antica Osteria Cavallini di via Mauro Macchi.
“Dev’essere nel mio dna rilanciare marchi, togliere la polvere, ridare vita alla storia. Anche qui molto scetticismo: apro in una via secondaria, sempre nei pressi della stazione centrale. Nel frattempo erano cambiati i tempi, i costumi: il glamour si era affievolito, sono tornato in cucina…”.
Già, perché nell’intervallo tra Giannino e Cavallini ti rimetti in gioco e vai a fare addirittura due corsi a Roma e Lione.
“Esatto, quello in Francia era 2 stelle Michelin, sentivo la necessità di tornare a lavorare tra pentole e fornelli, rifare pratica. Il ‘Cavallini’ è sempre stato meno glamour: è diventato l’epicentro del calciomercato e del giornalismo, erano assidui Feltri, Belpietro e tanti altri. Si abbassa la festa e si rialza la cucina… Sono stato benissimo al ‘Cavallini’, pensa: 11 anni. Era una splendida situazione sia estiva che invernale, 200 coperti all’interno e 100 in giardino. Poi ho preso una pausa, mi sono occupato di mercato immobiliare, mi son preso una bella casa a Pantelleria, mi sono dovuto riposare”.
Si riaccende la fiamma grazie a tuo figlio Karym.
“Ha preso una magistrale di economia alla Cattolica, 24 anni, innamorato della ristorazione, dei vini e dello champagne. Io non sono mai stato un forte bevitore, nemmeno un bevitore, ma adesso amo il vino buono: mi stupiscono in particolare i vini dell’Oltrepò”.
Ed eccoci alla notizia, che andrebbe in testa ma che per una volta mettiamo in fondo: la “Locanda Cuoco di Bordo” in quella via Gluck cantata da Adriano Celentano, di nuovo nei pressi della stazione centrale. Apertura il prossimo 2 settembre.
“Affiancherò mio figlio e avrò come socio il grande chef Anis Ammar, italiano di origine tunisina. Questo posto fu uno dei primi a cucinare grande pesce nella vecchia Milano, il migliore nel preparare l’aragosta alla catalana con le chele e il guscio. Riproporremo questo piatto, con la prima grande novità: è arrivata l’ora di servirla sgusciata, l’aragosta…”.
Luca Serafini
Dal 1° febbraio 2024 direttore responsabile di Vendemmie, giornalista e scrittore, ha una lunga carriera televisiva alle spalle ed è tuttora opinionista sportivo tra i più apprezzati. Ha pubblicato saggi e romanzi, con “Il cuore di un uomo” (Rizzoli, 2022) ha vinto il premio letterario “Zanibelli Sanofi, la parola che cura”.