Gianfranco Vissani scherza: “Abbinamenti? Li creo la mattina con il cuore. Poi il sommelier si attacca al tram…”

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Il figlio Luca: “Il calo dei consumi? La soluzione sono i dealcolati parziali”

di Alessandra Meldolesi

“Gianfranco Vissani è lo chef più sottovalutato d’Italia”. Non aveva dubbi Bon Noto, il più grande gourmet del XX secolo, a proposito del cuoco di Baschi. Uno che ha iniziato a rigurgitare eccellenza nel lontano 1973, quando la ristorazione italiana era ben poca cosa. In questo mezzo secolo il ristorante che porta il suo nome, nonostante il mal di mare delle guide, ha sempre mantenuto altissima l’asticella grazie al contributo di tutta la famiglia, cominciando dal figlio Luca, che guida la cantina insieme al sommelier Fabrizio d’Eustachio. “La vita sono due cosce aperte e un mozzico di brioche”, vagheggia.

Gianfranco: Personalmente intrattengo un rapporto ottimo col vino, ma bevo solo grandi bottiglie: Caprai, Ornellaia, Gaja, Antinori; fra i bianchi Marisa Cuomo, Jermann, Ca’ del Bosco per le bollicine. Qualche anfora, come Argillae, e i migliori francesi: Cos d’Estournel, La Tâche, Pétrus, Margaux… Per me Lafite è il più grande vino del mondo. Stappo nelle grandi occasioni. Una volta mio figlio ha avuto un incidente in macchina e ho saccheggiato la cantina per festeggiarlo. Ma prima che mi affiancasse, ho avuto tanti sommelier. Sono partito con un collaboratore che aveva il camioncino scoperto, di quelli con cui si trasporta la terra. Ricordo che insieme ci recammo da Guido Alciati e comprammo sessanta milioni di lire in vino. Praticamente un appartamento. Rientrando caricammo anche le farine buone. Sopra c’erano i rami di acacia, che innaffiavamo con la brocca per rinfrescare la temperatura. Per me un investimento, giacché i vini locali non erano ancora all’altezza. Volevo il meglio, poi è arrivato Luca che ha cominciato a capire meglio la zona e tuttora fa un grande lavoro in questo senso.

Luca: Io sono entrato in sala a 14 anni, perché a scuola non ero proprio brillante. Nei fine settimana cercavo di dare una mano a papà, all’inizio mi pesava, poi ho deciso di professionalizzarmi. Ma ho cominciato in cucina, perché un cameriere deve conoscere i piatti; poi mi sono perfezionato all’Ais, dove ho ricevuto il diploma dalle mani di Franco Ricci. La cantina l’abbiamo rifatta nel 2007, insieme alle camere, al laboratorio di pasticceria e di panificazione. L’impronta iniziale era faraonica, c’erano solo grandi bottiglie. Ma la zona stava fiorendo, l’enologia umbra era cresciuta moltissimo e aveva iniziato a produrre i suoi frutti grazie a Lungarotti, che aveva insegnato a tutti a tenere i vini in cantina contro la consuetudine della pronta beva e la massimizzazione del profitto. Oggi l’enologia ha fatto tanti passi avanti, ci sono grandi vini “contemporanei”, ma quando ne beviamo uno appena uscito sul mercato, siamo sicuri che valga quanto i suoi nonni e i suoi bisnonni? Io sinceramente ne dubito. Ci sono bottiglie toscane e piemontesi che dopo 30 anni sembrano bambini. Ancora oggi ti aprono la mente. Le celebriamo in serate di degustazione chiamate “Vertical Chic”, che sono l’equivalente di un museo.

Gianfranco: Alcune cantine sono cresciute con noi, penso a Banfi e Muratori, alla cui apertura intervenne il Presidente del Senato Pera.

Luca: Attualmente la nostra carta comprende circa 900 referenze, inclusi i distillati, che rappresentano un capitolo importante, come le bollicine. Da Territori, il nostro format casual, abbiamo una selezione di calici che facciamo girare. Mentre nel gourmet sui tre percorsi, Volare alla carta, Volare in piccolo e Volare in grande, dedicati a Domenico Modugno, proponiamo un pairing di vini italiani e internazionali chiamato Cristalli da bere, che varia secondo l’ospite. La stessa cucina cambia in fretta e bisogna starle dietro.

Gianfranco: Io creo i piatti alla mattina presto, con la mente sgombra, in base a quel che sento nel cuore. E il sommelier si attacca al tram! Poi oggi è tutto cambiato. Lo stesso Gaja dice di mettere nel ghiaccio il Sorì Tildin, il pesce può sposare i vini rossi, insomma c’è stata una grande evoluzione nel bere, oltre che nel mangiare.

Luca: L’abbinamento lo decido io, ma normalmente lo condividiamo, per quanto mio padre si tenga un po’ distante. Spesso non è facile, perché gli ingredienti sono molti e catturare tutte le sensazioni richiede caratteristiche complesse. Anche noi stiamo registrando qualche calo nel pubblico che non pernotta nelle camere, ma invito il personale di sala a ricordare che due o tre calici rientrano nei limiti e vanno bevuti per il piacere di gustarsi la serata. Il trucco è concedersi del tempo prima di andar via, mentre i superalcolici forse è meglio berli a casa. Sto ancora studiando i dealcolati e mi vado convincendo che quelli parziali, fra 8 e 10 gradi, siano il futuro, sebbene la tendenza penalizzi l’Italia, dove il vino ha sempre un certo grado.

Scopri l'abbinamento

Cappelletti di pappa al pomodoro con caprino e basilico
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Alessandra Meldolesi

Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.

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