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Roberto Anesi Credits Pierluigi Orler

Quattro chiacchiere con Roberto Anesi, Miglior Sommelier d’Italia 2017 e proprietario del ristorante El Pael di Canazei

Tempo di lettura: 5 minuti

El Pael in ladino significa “il paiolo”. Uno dei pochi oggetti che il nonno è riuscito a portare a casa dalla campagna di Russia. Roberto ci racconta un po’ di sé e del suo ristorante, che, come potrete immaginare, ha una magnifica carta vini.

di Maddalena Peruzzi

Roberto Anesi è tantissime cose, sicuramente più di quelle che si possano raccontare nello spazio di un’intervista. Ex giocatore di hockey su ghiaccio ad alti livelli, Sommelier e relatore nei corsi AIS, comunicatore di successo, ha vinto molti concorsi, aggiudicandosi anche il titolo di Miglior Sommelier d’Italia nel 2017. Da trent’anni porta avanti in prima persona, insieme alla moglie Manuela, il ristorante El Pael.

Quanto è stato difficile conquistare il titolo di Miglior Sommelier d’Italia? 

Molto più di quanto immagini. Nel 2008 ho vinto il titolo di Miglior Sommelier del Trentino e successivamente anche altri concorsi. Per alcuni anni non ho potuto partecipare alle selezioni per il Miglior Sommelier d’Italia per via del limite di età fissato a 38 anni dal regolamento. Quando finalmente hanno tolto questo limite, ho avuto un grave incidente in bicicletta. Per recuperare ho dovuto attingere a tutta la mia forza fisica e mentale, con determinazione e autodisciplina. Le stesse che poi mi sono servite per vincere il concorso nel 2017, studiando e lavorando insieme. Dopo quello che avevo passato non avevo più paura di niente.

Parlaci del ristorante El Pael…

Esiste dal 1972, ma prima aveva un altro nome. Noi l’abbiamo preso ufficialmente in mano nel 1994. Proponiamo una cucina locale e poi, come specialità, una decina di anni fa abbiamo introdotto la carne alla griglia. Dopo la grossa ristrutturazione del 2021 il locale è più grande, ma abbiamo scelto di ridurre i coperti che ora sono una settantina. Come fascia di prezzo siamo sui 60 euro a persona, vini inclusi. 

El Pael

Che tipo di clientela avete?

Canazei è una meta turistica, abbiamo una clientela internazionale. In inverno gli stranieri raggiungono anche il 70%. Ci sono giorni in cui non ci capita mai di parlare italiano in sala. 

La tua carta vini com’è?

Sono circa 400 etichette. Ho tanti vini rossi perché si sposano bene con la nostra cucina di montagna e anche perché i clienti stranieri prediligono i rossi. Poi ho anche molti bianchi del territorio e una bella selezione di bollicine. 

Dai ampio spazio ai vini locali?

Trentino e Alto Adige occupano almeno il 50% della carta. Diciamo che i turisti italiani amano bere vini di questo territorio, mentre gli stranieri, oltre ai vini locali, vogliono assaggiare anche le altre regioni italiane. Ho tanto Veneto, ma sono ben rappresentate anche Sicilia, Puglia, Marche, Lombardia e altre regioni. 

E per quanto riguarda i vini esteri?

Ne ho parecchi, soprattutto di Germania (Mosella, Rheingau ecc.) e Francia (Borgogna, Bordeaux, Loira, Champagne, un paio di etichette del Rodano a rotazione e anche altre zone). Non ho vini del Nuovo Mondo, non ufficialmente in carta, quantomeno. 

Le bollicine rimangono un trend?

Sì, soprattutto per la clientela italiana. Poi sai, da buon Trentino adoro le bollicine! Negli ultimi anni sto creando una cantina nella cantina, dove tengo anche più annate. Mi piace poter proporre anche bolle più mature. Per quanto riguarda il Trento DOC, ad esempio, ho messo via qualche bottiglia di Giulio Ferrari Riserva del Fondatore e di Ferrari Perlè. Non ho Franciacorta, non li ho mai avuti in carta, perché preferisco valorizzare il mio territorio. Per lo stesso motivo è dal 1998 che non ho Prosecco. Una scelta a dir poco pionieristica, all’epoca (Ride, ndr).

Cantina El Pael Credits MoniQue Foto
Cantina El Pael: Credits MoniQue

Hai anche bottiglie super costose?

Ho quattro, cinque annate di Barolo Monfortino Riserva di Roberto Conterno e anche qualche Champagne importante. Per dire, l’anno scorso ho venduto la mia ultima magnum di Sir Winston Churchill 1996 di Pol Roger, ho alcune bottiglie di Cristal di Louis Roederer e altri. Non puoi non avere Champagne in carta! 

Un aspetto che ti piace particolarmente del mondo del vino?

I vini spesso sono come chi li fa, alcuni produttori li ritrovi proprio nel calice. Ti faccio alcuni esempi, senza fare nomi. Mi viene in mente una produttrice di Pinot Nero, giovane e timida, che fa vini simili a lei, vini che hanno bisogno di un attimo di tempo per esprimersi. Poi un vignaiolo trentino rustico, diretto e spiccio che fa un Teroldego esattamente così, con il suo stesso carattere. Infine, ci sono quei produttori estremamente raffinati che fanno vini in cui ritrovi il loro pensiero. Mi capita spesso di notarlo, nelle aziende piccole dove l’impronta di chi fa il vino è forte. Bellissimo!

Quali caratteristiche deve assolutamente avere un vino per stare nella tua cantina?

L’eleganza è la cifra della mia carta. Prediligo la raffinatezza alla struttura: è proprio uno dei miei canoni. Poi, che siano grandi o piccoli produttori, naturali o no, a me piacciono i vini con una storia da raccontare, fatti da persone che dal punto di vista umano mi abbiano lasciato qualcosa. Perché così anch’io riesco a trasmettere qualcosa al cliente. Se un vino non mi emoziona non ha senso né per me che per la mia carta.

La scelta dei calici conta nel servizio del vino?

Moltissimo! Non puoi fare il figo con la carta vini e poi avere i calici da due euro e cinquanta. Sono uno strumento che permette al cliente di apprezzare il vino al meglio. Personalmente uso Riedel, ho diverse linee che utilizzo a seconda della tipologia di calice che mi serve per il vino che sto servendo. 

E la temperatura di servizio dei vini?

Anche quella è fondamentale! Per dire, i vini rossi li tengo tutti a 16/16,5 gradi, ma ci sono locali in cui vengono serviti alla cosiddetta “temperatura ambiente”, che magari in luglio è di 28 gradi. Quella è una temperatura da vin brulè! (Ride, ndr) 

I tuoi clienti si arrangiano nella scelta del vino o li guidi tu? 

Almeno l’80% di loro si fa consigliare da me. 

E qual è il loro livello di conoscenza del vino?

Trent’anni fa ci si limitava a bianco o rosso, poco di più. Ma negli ultimi anni il livello medio è notevolmente aumentato, in particolare quello dei clienti stranieri. 

Tu sei anche un comunicatore, molto attivo sui social. Come dev’essere, secondo te la comunicazione del vino?

Concisa e diretta, accessibile per chiunque. Sono contrario alle grandi complicazioni, a quelle degustazioni che diventano un monologo del Sommelier. Questo crea un ostacolo. A me piace utilizzare esempi facili, rimandi pratici alla vita quotidiana: l’altro giorno stavo raccontando un Lagrein e ho fanno notare al cliente quanto ricordasse l’After Eight, per le sensazioni di cioccolato e la sua freschezza balsamica. In generale, quando si parla di vino è meglio una parola in meno che una in più. 

Per concludere, ci dici una cosa che proprio non sopporti?

Chi non ha voglia di fare bene e chi pensa di essere arrivato. Lavoro in sala da più di trent’anni, ma qualche errore lo faccio ancora. E la possibilità di imparare non me la sono mai negata.

Foto copertina: Roberto Anesi, credits Pierluigi Orler

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