Stefano e Matteo raccontano la loro cucina, dove una foglia può spostare gli equilibri: “Codice della Strada? Siamo attrezzati per sbicchierare, abbiamo le mezze bottiglie e con il bar stiamo lavorando a una soluzione analcolica”
di Alessandra Meldolesi
“Fare della propria vita come si fa un’opera d’arte” era il mantra di Andrea Sperelli e Gabriele D’Annunzio. Lo chef Stefano Baiocco ha fatto del suo curriculum un capolavoro: i lunghi anni trascorsi all’Enoteca Pinchiorri, con Alain Ducasse e Pierre Gagnaire, Raymond Blanc e Pascal Barbot, Seiji Yamamoto e Yoshihiro Murata, Andoni Luis Aduriz, i fratelli Roca, Quique Dacosta e Ferran Adrià… li ha infilati nella valigia che ha posato nel 2004 sui pavimenti lucidati a puntino di Villa Feltrinelli, forse il ristorante più bello d’Italia, ospitato nella magione sulle rive del Garda che fu del duce in fuga e poi dell’irrequieto Giangiacomo. Qui nell’arco di un ventennio ha sviluppato una cucina colta ed eclettica ad alto tasso creativo, dove gli insegnamenti affluiscono nel mare magnum della personalità, forte di una location che oltre la bellezza mozzafiato, gli mette a disposizione un hortus conclusus per centinaia di sensibili aromatiche. Con lui in cantina scende il toscano Matteo Cecchi.

Baiocco: Sfortunatamente non sono astemio. Non sono un esperto, ma il vino mi piace e ho iniziato a berlo presto. Da quanto raccontano i miei genitori già a tre anni, con un po’ d’acqua. Essendo di Ancona, il Verdicchio mi ha svezzato e con esso intrattengo tuttora un rapporto forte, nel senso che mi lega alle origini. È ben presente nella cantina di Villa Feltrinelli, che per una politica precisa, per noi un plus, è sempre stata impostata sull’italianità, a parte lo Champagne, visto che gli ospiti sono in larga parte stranieri.
Cecchi: Io sono figlio d’arte, nel senso che mio nonno e mio padre erano entrambi maître, quindi sono cresciuto nella ristorazione. Dopo l’alberghiero e qualche stagione per alberghi all’antica, dove ancora si praticavano la lampada e il guéridon, lavorando in Inghilterra a The Bath Priory mi è stata offerta l’opportunità di frequentare i corsi WSET e sono entrato in sommellerie. Al mio rientro in Italia il primo e unico curriculum è stato spedito a Villa Feltrinelli, dove sono partito chef de rang e sono diventato sommelier nel 2021, dopo l’affiancamento di Tiziano Ghitti, oggi promosso maître, con cui prosegue un confronto quotidiano. Le referenze restano circa 500, anche per ragioni di spazio. Ma un tempo c’era una maggiore enfasi sulle etichette blasonate. Alcune sono rimaste, anche per la tipologia di clientela, ma con Tiziano e il restaurant manager Alessandro Bosco abbiamo deciso di rinfrescare la carta, divertendoci con piccoli produttori, etichette naturali e zone d’Italia meno battute, in modo da coprire tutte le regioni, non solo la Toscana, il Piemonte e l’Alto Adige.
Baiocco: Io e Matteo lavoriamo a stretto contatto ogni giorno. Agli esterni dal post covid serviamo solo un menu degustazione, che immagino il giorno prima per il giorno dopo. L’ossatura può essere abbastanza stabile, ma intervengono continue modifiche, subentra un piatto nuovo mentre ne cade uno vecchio. Noi tutti i giorni ne parliamo per trovare la quadra.
Cecchi: Come il menu, il pairing non è fisso, ma varia secondo il percorso, il cliente e la stagionalità. Su otto portate, più l’aperitivo di sei uscite, diversi stuzzichini e spesso qualche extra, predisponiamo un accompagnamento strutturato su cinque tipologie, di solito una bollicina, due bianchi, un rosso e un vino dolce. Il cliente ha l’ultima parola e può intervenire anche il bar, con un cocktail o un fortificato. Al momento, lavorando in gran parte con le camere, non abbiamo registrato una flessione nelle vendite. Siamo comunque attrezzati per sbicchierare, abbiamo una selezione di mezze bottiglie e in collaborazione con il bar stiamo lavorando a un pairing analcolico.
Baiocco: Puntiamo a un menu e un servizio sartoriali. Se già conosciamo il cliente, cerchiamo di entrare nella sua testa oltre la pancia. In caso contrario ci muoviamo con maggiore cautela.
Cecchi: Ogni pomeriggio, se c’è un piatto nuovo, io e Tiziano ci informiamo, assaggiamo e cerchiamo l’abbinamento; talvolta suggeriamo aggiustamenti, come può fare lo chef con noi. In generale la sua cucina ha bisogno di vini freschi con una bella acidità, non troppo strutturati; essendo molto vegetale e aromatica, richiede assiduità nella prova, perché una foglia può spostare gli equilibri.

Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.