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Vini dealcolati: nuove regole per l’Italia, più trasparenza, ma la disputa resta accesa

Tempo di lettura: 3 minuti

Il nuovo decreto apre ulteriormente dibattito tra chi vede nel no/low alcol il futuro e chi lo considera un tradimento della tradizione, nel frattempo emergono i limiti delle normative

di Camilla Rocca

L’Italia ha approvato un decreto che, finalmente, allinea il settore vitivinicolo nazionale alle normative europee sui vini dealcolati e parzialmente dealcolati, ponendo fine a una lunga fase di incertezza normativa. L’iniziativa, che si ispira al Regolamento UE 2021/2117, ha generato ampio dibattito tra gli operatori del settore, bilanciando la necessità di innovare con la tutela della tradizione enologica.

Cosa stabilisce il nuovo decreto

Il decreto prevede la possibilità di produrre in Italia vini con una ridotta gradazione alcolica. “Un grande passo avanti anche in termini di sostenibilità ambientale oltre che di costi” sottolinea Marzia Varvaglione, Presidente Agivi e Responsabile Marketing di Varvaglione1921. “Per esempio per la nostra nuova linea dealcolati, che comprende lo Sparkling no alcol (blend di vini dealcolati a bacca bianca, Chardonnay,Trebbiano, Malvasia) e lo Spritz No Alcol (ottenuto da succo di uva a bacca bianca infuso di erbe, vaniglia e note più amare tipiche del chinino) prima dell’applicazione di questa direttiva europea erano prodotti in Spagna. Immaginate il costo economico e ambientale di mandare del vino, su ruote, da Taranto alla Spagna, e ritorno, per farlo imbottigliare in una cantina in Emilia Romagna, dato che ci vogliono dei permessi ben specifici. Senza calcolare il costo di acqua e corrente per la dealcolizzazione” dichiara Marzia Varvaglione.

“Al momento abbiamo iniziato a importare nel mercato Ue in particolare Polonia e Finlandia. Gli Stati Uniti invece sono fermi, non hanno ancora una legislazione specifica sui vini dealcolati, non sono stati ancora classificati” racconta Marzia Varvaglione.

Due le categorie di vini alcol free

  • Vini dealcolati, con una gradazione inferiore allo 0,5%.
  • Vini parzialmente dealcolati, con alcol ridotto rispetto ai livelli minimi previsti per i vini tradizionali (8,5%-9%).

Le norme obbligano i produttori a indicare chiaramente la categoria di appartenenza sull’etichetta, per garantire la massima trasparenza ai consumatori. Tuttavia, il decreto limita l’applicazione ai vini senza certificazioni DOP o IGP, per preservare il legame dei vini di qualità con il territorio di origine e la tradizione vinicola. 

Un altro aspetto tecnico è legato ai processi di dealcolizzazione, che dovranno avvenire in impianti separati da quelli per la vinificazione tradizionale e sotto il controllo dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Questa misura è stata oggetto di critiche, perché potrebbe scoraggiare le piccole aziende vinicole a investire in questo segmento.

Tecniche di produzione dei vini dealcolati

I vini dealcolati vengono ottenuti da un prodotto già fermentato attraverso processi come:

  • Osmosi inversa, che filtra le molecole di alcol senza alterare eccessivamente le altre componenti del vino.
  • Distillazione sottovuoto, una tecnica che riduce l’alcol sfruttando basse temperature per evitare di danneggiare aromi e sapori.
  • Trattamenti termici controllati, utili per rimuovere selettivamente l’etanolo.

Questi processi, già diffusi in paesi come Francia e Spagna, permettono di mantenere alcune caratteristiche distintive del vino, come i polifenoli, ma inevitabilmente riducono la componente aromatica, responsabile del bouquet caratteristico.

Un mercato in crescita, ma con ostacoli

Il mercato dei vini a bassa gradazione o senza alcol è in espansione, alimentato da un cambiamento nelle preferenze dei consumatori, che cercano alternative più salutari o adatte a chi non può consumare alcol. In Europa, il segmento ha già preso piede, con paesi come Spagna e Germania che ne guidano la produzione. Tuttavia, in Italia, il contesto culturale e le normative fiscali potrebbero rallentare la diffusione.

Un elemento critico riguarda il regime fiscale. Il decreto stabilisce che l’alcol estratto durante la dealcolizzazione venga raccolto e sottoposto ad accisa. Secondo alcuni rappresentanti del settore, questa disposizione, insieme alla necessità di adeguare gli impianti, rischia di creare un carico burocratico tale da scoraggiare le aziende italiane ad adottare queste innovazioni.

Implicazioni culturali ed economiche

Un altro aspetto controverso riguarda l’identità stessa del prodotto. Mentre l’UE considera i vini dealcolati una categoria all’interno del comparto vinicolo, in Italia il dibattito è acceso. Il Ministro Francesco Lollobrigida ha più volte sottolineato l’importanza di non chiamarli “vino” per non confondere i consumatori e per tutelare la tradizione vinicola italiana. Molti produttori condividono questa posizione, temendo che la diffusione dei vini dealcolati possa compromettere la reputazione del vino italiano come simbolo di qualità e autenticità.

Al contempo, vi sono voci che vedono nei vini dealcolati un’opportunità per innovare e diversificare l’offerta. L’Unione Italiana Vini (UIV), pur accogliendo positivamente il decreto, ha richiesto semplificazioni per facilitare la produzione e incentivare gli investimenti in questo nuovo segmento di mercato.

 

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Camilla Rocca

Una passione per il mondo del vino che parte dalle origini, si è allargata all’enoturismo e ai racconti delle persone, di quei volti, quelle mani, delle storie che sono dietro alla vigna

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