Ciro Scamardella e Achille Sardiello raccontano la cucina del ristorante della Capitale dove collaborazione, e differenze, sono il motore delle cose
di Alessandra Meldolesi
Un tempo era usuale, che il ristorante portasse il nome del patron. Dopo l’avvento degli star chef, c’è voluto il carisma scanzonato di Alessandro Pipero, peraltro grande conoscitore di vino e sommelier, per riportare la sala al centro della mischia. Succede dal 2017 in Corso Vittorio Emanuele II a Roma, dove sono sopraggiunti lo chef Ciro Scamardella, che ha preso il posto di Luciano Monosilio, e un sommelier plenipotenziario in cantina, Achille Sardiello. “Io sono proprietario, loro sono executive chef e direttore, ma oltre i ruoli c’è chimica fra noi”, spiega Pipero. “Come in tutti i campi, se ce l’hai duri nel tempo, altrimenti il giocattolo si rompe. Poi magari uno dice A, l’altro B e il terzo C, ma vincono sempre il rispetto e la passione per il lavoro: siamo tre Re Magi”.
Scamardella: Io sono arrivato quasi subito, il 1 agosto del 2017. Venivo da esperienze varie, ero stato sous-chef di Roy Caceres per 4 anni, dopo un anno e mezzo come capopartita da Anthony Genovese. Ma avevo girato anche la Spagna, fermandomi da Martin Berasategui a San Sebastian. A preparare il terreno erano stati incontri notturni con Alessandro e Achille. Venivamo da esperienze che si stavano chiudendo e in loro ho trovato grandi spalle, che mi hanno consentito di fermarmi dietro il pass, senza dovermi preoccupare di quanto potesse accadere in sala. Il servizio qui è un orologio svizzero, perché Achille e Pipero lavorano insieme da tanti anni. Per me è stata una grande responsabilità, stavo entrando in un ristorante già avviato ed ero al mio primo incarico da chef, ma abbiamo subito registrato un grande riscontro. Tanto che abbiamo iniziato anche l’esperienza dei pop-up estivi, quest’anno a Follonica. Poi con gli anni si matura e i piatti cambiano. Ora non si tratta più di esercizi di stile, volti a dimostrare quanto si è bravi, ma di sviluppare un’idea.
Sardiello: Io arrivo da un paesino di 200 anime nel Casertano, dove quasi tutti vivono di agricoltura. Ho frequentato l’alberghiero per lavorare subito nelle stagioni estive, poi sono arrivato da Antonello Colonna a Labico, dove nel 2002 ho conosciuto Alessandro Pipero, che faceva il sommelier, mentre io ero commis ai vini. È stato un incontro bellissimo, perché è una persona empatica e simpatica, con cui è piacevole lavorare. Dopo qualche anno mi sono spostato al nord per alberghi e nel 2011 sono entrato da Pipero al Rex. Caratterialmente siamo due persone opposte, lui prende tutto alla leggera, io sono molto più serio. E questo forse ci aiuta. Quando Luciano Monosilio è partito, c’è stata subito sintonia anche con Ciro. È una squadra che funziona, compresi i ragazzi, perché da soli non si va da nessuna parte.
Scamardella: Inizialmente è stata dura, perché il ristorante che porta il nome del patron può mettere in difficoltà. Ci abbiamo impiegato un po’ per allinearci sulle cose. Anche noi siamo molto diversi, caratterialmente e nella visione del piatto. Il ristorante Pipero ha una clientela composta in gran parte di stranieri, ma ci sono anche tanti romani che ritornano, qualcosa che facilita, perché possono perdonare piccole sbavature, ma obbliga a mantenere sempre l’asticella sullo stesso livello. La mia cucina è istintiva, diretta, voglio che arrivi a tutti. Ci piace divertirci e anche un elemento esotico può aiutare, perché no. All’inizio soffrivo un po’ il richiamo della carbonara, tanto che l’abbiamo tolta e poi rimessa a grande richiesta. È un piatto che non sento mio, estremamente tradizionale. Ci ho fatto pace solo quando è passato a cena Oldani, mi sono confidato e lui mi ha detto: “Devi usarla come un cavallo di Troia, che ti consente di fare tutto il resto”.
Sardiello: Pipero è stato il mio maestro e ancora adesso dice la sua sul vino. La carta però l’ho fatta io. Dico sempre che in questi casi occorre un bel budget, ma non si può nemmeno far fallire il ristorante. Quindi bisogna lavorare in base alla clientela e alla cucina dello chef. Noi abbiamo in prevalenza bollicine, ma anche bianchi e grandi rossi. La cucina di Ciro si abbina preferibilmente con bianchi sapidi, freschi e strutturati, ma ci piace anche sparigliare, per esempio mettendo un muffato sulla carbonara. Il contrasto dolce/salato è molto divertente, poi magari non piace a tutti. Quando lo servo, l’ospite resta un po’ interdetto, poi spesso ci fa i complimenti. Va a spezzare la sequenza, ma nel nostro menu è il penultimo piatto salato, quindi dopo c’è un rosso. Ovviamente abbiamo tanti francesi, che sono la passione di tutti, soprattutto Borgogna, i più richiesti dalla clientela. Anche se le grandi bottiglie non si vendono più come una volta al ristorante, tanti preferiscono acquistarle online. Abbiamo anche un po’ di etichette laziali, non tantissime, spesso richieste dai turisti. Il pairing non è fisso, magari il cliente chiede di diminuire il numero di calici oppure qualche variazione.
Scamardella: Spesso quando lavoriamo ai nuovi piatti, ci troviamo a partire da un pensiero, mettiamo giù una traccia, iniziamo a provarla con diverse forme e consistenze, magari passiamo una salsa da una pasta a una proteina. Con il mio sous-chef Vittorio Giannola due mesi fa abbiamo realizzato all’uopo un vero e proprio laboratorio, spazio neutro che ci serve da palestra per la cucina con diversi macchinari. Poi quando siamo pronti, ci confrontiamo con Pipero su gusti, sensazioni, idee, pensieri. Ed entra in campo Achille per l’abbinamento. Ma è un gioco continuo, non esiste una cattedra fra noi.
Sardiello: Cerco di capire cosa può accompagnare meglio il piatto per acidità, freschezza, ingredienti. Quasi sempre assaggiando mi viene subito in mente un vino, altre volte compiamo qualche prova. Poi c’è anche una componente soggettiva, se un bicchiere non ha il consenso di tutti, ci ragioniamo un po’ e magari il tribunale finale diventa il cliente, senza che lo sappia.
Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.