Mario Lambrughi: “Un allenatore sommelier mi ha fatto amare il Barolo”

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L’atleta azzurro di atletica e ora di bob racconta la sua avventura verso Milano-Cortina 2026: “Inseguo un sogno sfumato troppe volte… Nei tanti viaggi per lo sport ho imparato a conoscere il vino e la buona cucina”

di Mattia Marzola

Da rappresentante di punta dell’atletica italiana a nuovo volto della Nazionale di bob: la parabola di Mario Lambrughi è di quelle che sorprendono e affascinano. Dopo aver sfiorato la qualificazione olimpica nei 400 metri ostacoli, il 33enne brianzolo ha scelto di reinventarsi, accettando la proposta dell’ex astista Elena Scarpellini e diventando frenatore nel bob a 2 e a 4. Un salto coraggioso, che in pochi mesi lo ha già visto competere nei circuiti internazionali, dalla Coppa Europa alla Coppa del Mondo, con prestazioni sempre più convincenti.

Dalla pista al ghiaccio, la sua transizione è stata rapida ma non priva di sacrifici: otto chili di massa muscolare in più, allenamenti intensi tra sprint, forza e tecnica di spinta, trasferte continue tra Bergamo, Innsbruck e Altenberg. Eppure, per Lambrughi la motivazione è chiara: rincorrere quel sogno olimpico sfumato a Rio 2016 e a Parigi 2024 e riprovarci a Milano-Cortina 2026.

Ma cosa significa davvero passare dall’atletica al bob? Quali sono le difficoltà, le sfide e le soddisfazioni di questa nuova avventura? In questa intervista, Mario Lambrughi racconta il suo percorso, le sue ambizioni e le emozioni di un atleta che non ha mai smesso di inseguire nuovi traguardi.

Mario, la tua carriera nell’atletica è stata lunga e ricca di successi, ma ora ti trovi nel mondo del bob. Cosa ti ha spinto a fare questo cambiamento?

Il sogno olimpico è sempre stato un obiettivo centrale per me, ma in atletica l’ho sfiorato più volte senza mai riuscire a realizzarlo, sempre per pochi centesimi o pochi posti. Sapevo che arrivare a Los Angeles 2028 a 36 anni sarebbe stato complicato: quattro anni in più di allenamenti senza nuovi stimoli sarebbero stati difficili da affrontare.

Quando ho ricevuto la proposta di provare il bob da Elena Scarpellini, ho riflettuto e ho deciso di mettermi in gioco. Mi piaceva l’idea di una sfida nuova, di un’Olimpiade vicina nel tempo e anche “in casa”, a Milano, la mia città. Inoltre, negli ultimi anni ero diventato sempre più veloce nelle distanze brevi, e il bob mi permetteva di sfruttare al meglio la combinazione di velocità e forza.

Dopo i campionati italiani di spinta a Cortina, sono stato chiamato per le selezioni ufficiali in Germania e le ho superate. Da lì è iniziata questa avventura, che mi sta dando nuovi stimoli e nuove motivazioni, proprio quello che cercavo.

Come ti sei preparato fisicamente per il passaggio dal mondo dell’atletica a quello del bob? Ci sono delle similitudini tra le due discipline?

Le due discipline sono molto simili, soprattutto per quanto riguarda l’allenamento: sprint, traino, forza e salite sono elementi comuni. La principale differenza è il peso.

Nell’atletica cercavo di mantenere un peso più basso per essere più veloce, mentre nel bob è l’opposto: più peso significa poter togliere zavorre dal mezzo e spingerne uno più leggero, ottenendo un vantaggio in fase di accelerazione. Per questo ho dovuto lavorare per aumentare la massa muscolare, senza perdere esplosività e velocità.

 

Dopo aver mancato la qualificazione alle Olimpiadi nel 2016, come hai affrontato quella delusione e cosa ti ha motivato a non mollare?

In realtà, nel 2016 non è stata una grande delusione, perché non mi aspettavo davvero di poter centrare il minimo olimpico. Le vere difficoltà sono arrivate dopo, nei quattro anni successivi, quando invece puntavo a migliorare ma gli infortuni, alcune scelte sbagliate e forse un po’ di inesperienza hanno reso il percorso molto complicato.

Dal 2018 al 2021, tra alti e bassi e poi il Covid, è stato un periodo davvero difficile. Però la passione per l’atletica è sempre stata più forte di tutto. È qualcosa che avrei fatto comunque, indipendentemente dai risultati o dai guadagni, ed è stata proprio questa passione a spingermi a non mollare.

Il passaggio dallo sprint sulla pista al bob sul ghiaccio è radicale. Qual è la sfida più grande che stai affrontando in questa nuova carriera?

Più che la differenza tra pista e ghiaccio, la sfida più grande è tutto ciò che ruota attorno al mondo del bob. Oltre agli allenamenti, bisogna gestire la logistica: trasportare i bob, montare e regolare i pattini, controllare ogni dettaglio tecnico. Un bob pesa circa 250 kg e va spostato continuamente dentro e fuori dalla pista, con tutte le cure necessarie perché è un mezzo prezioso, di cui l’equipaggio è direttamente responsabile.

Un altro aspetto impegnativo è il clima. Se in atletica gareggiavo con 20 gradi, qui si arriva anche a -10 o -15. Bisogna sapersi scaldare e correre al massimo anche in condizioni estreme, adattandosi a un ambiente completamente diverso.

Hai un obiettivo preciso per le Olimpiadi di Milano-Cortina, ma quali sono i tuoi sogni a lungo termine nel bob?

In questo momento, il mio unico obiettivo è Milano-Cortina 2026. È il motivo per cui ho scelto di intraprendere questa nuova avventura e tutto il mio impegno è rivolto a quel traguardo. Sto vivendo questa esperienza con grande entusiasmo, cercando di migliorarmi ogni giorno e di capire fino a dove posso arrivare in questa disciplina.

Per il futuro, vedremo. Non mi pongo limiti, ma nemmeno faccio programmi troppo lontani. Il bob è uno sport affascinante e impegnativo, e chissà cosa potrà riservarmi dopo le Olimpiadi. Allo stesso tempo, l’atletica resta la mia prima grande passione, quella che mi ha formato come atleta e come persona. Se dovessi riuscire a realizzare il sogno olimpico con il bob, non escludo la possibilità di tornare in pista.

Durante la tua carriera da atleta, l’alimentazione è sempre stata una parte fondamentale del tuo allenamento. Come gestivi la dieta e in che modo è cambiata ora che ti prepari per il bob?

Negli anni da sportivo ho imparato molto sull’alimentazione, soprattutto sull’importanza di eliminare ciò che è davvero dannoso, piuttosto che seguire diete troppo rigide. Credo che avere equilibrio sia fondamentale: mangiare bene fa la differenza nelle prestazioni, ma è altrettanto importante non essere ossessionati dal controllo e concedersi qualche sgarro quando serve.

Con il bob, la principale differenza è l’apporto calorico. L’obiettivo è aumentare la massa muscolare, quindi le quantità sono cresciute, ma la qualità dell’alimentazione è rimasta la stessa. Le proporzioni dei macronutrienti non cambiano molto rispetto all’atletica, ma semplicemente bisogna mangiare di più per sostenere il diverso tipo di sforzo fisico.

Viaggiando per competizioni in giro per il mondo, quali sono stati i piatti più interessanti o sorprendenti che hai assaggiato durante la tua carriera? C’è qualche cucina che ti ha particolarmente colpito?

Durante la mia carriera, essendo spesso in viaggio per gare di pochi giorni, non ho avuto molte occasioni di assaporare la cucina locale, ma ci sono stati alcuni momenti culinariamente molto interessanti. Ricordo ad esempio il mese passato in Oregon, dove la cucina tipica americana mi ha sorpreso. Le porzioni erano enormi, come nei film, ma cose che avrei considerato solo junk food, in realtà si sono rivelate buone e le ho rivalutate.

A Monaco di Baviera, invece, mi è piaciuto tantissimo il classico stinco di maiale con i crauti. Ho anche provato gli spätzle, un tipo di pasta tipica, e naturalmente la birra, che è fenomenale. Tanto che poi ho voluto tornarci per l’Oktoberfest. Un’altra prelibatezza che mi è rimasta impressa è il Kaiserschmarrn, un dolce tipico di Monaco, una sorta di frittata dolce che mi è piaciuta talmente tanto che tornerei lì solo per mangiarla. Ma, in tutto ciò, la cucina italiana per me rimane imbattibile. Alcune delle città dove ho mangiato meglio Rieti, Roma, Firenze e Grosseto, dove abbiamo mangiato delle fiorentine da leccarsi i baffi.

In giro per il mondo hai avuto l’opportunità di provare vini esteri? Oltre ai famosi vini italiani e francesi, c’è qualche vino che ti ha sorpreso o che ti è rimasto impresso?

Sì, tra i vini esteri uno che mi ha colpito particolarmente è il Porto. Non posso non essere legato a questo vino, soprattutto perché ho avuto l’occasione di trascorrere del tempo in Portogallo, anche grazie a un mio amico che viveva lì. Mi ricordo di averlo bevuto con piacere in diverse occasioni, magari dopo una giornata di surf. Mi ha sempre sorpreso il suo sapore così particolare e il fatto che sia un vino davvero beverino. È una tipologia di vino che mi è rimasta impressa e che continuo ad apprezzare ogni volta che lo assaggio.

A questo punto non ci resta che chiederti se hai un vino preferito, qual è e perché?

Il mio vino preferito è sicuramente il Barolo, soprattutto per una questione legata anche al lato sentimentale. Ho vissuto a Torino per più di un anno e durante quel periodo avevo un allenatore che era sommelier ed esperto di vini. È stato lui a trasmettermi la passione per il Barolo e per tutte le sue declinazioni. È un vino che mi è rimasto nel cuore e che continuo ad apprezzare, soprattutto durante cene in famiglia o occasioni speciali al ristorante.

Tuttavia, un altro vino che mi è molto caro è l’Inferno, un vino valtellinese che ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. Oltre al gusto, che trovo davvero interessante, sono legato alla Valtellina, dove ho parenti e una casa, e dove ho trascorso molte estati. Il colore del vino, un rosso rubino acceso, mi ha sempre impressionato. È un Nebbiolo al 90%, quindi pur essendo un vino diverso, ha comunque delle caratteristiche che lo legano al Barolo. Se dovessi scegliere, il Barolo è in cima, ma subito dopo viene l’Inferno, un vino che mi rappresenta anche per la sua connessione con le mie radici.

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Mattia Marzola

Giocoliere di parole, voracissimo lettore, buona forchetta (e buon bicchiere) ha deciso di unire le sue inclinazioni, diventando così appassionato docente di lettere ed entusiasta giornalista enogastronomico, anche se poi scrive di tutto.

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