Chiare, fresche e dolci acque (de)cantava il poeta, ma durante un momento di meditazione dedicato alla degustazione di un cioccolato, un raro insaccato o un formaggio pregiato, nel calice si preferisce sorbire decisamente altro che acqua fresca.
di Maria Luisa Basile
Nuovi orizzonti su come gustare i sapori intensi e profondi dei formaggi in abbinamenti insoliti sono stati esplorati nell’edizione appena conclusa di Cheese, la rassegna internazionale dedicata a formaggi prodotti con metodi artigianali e di antica memoria legata ai luoghi di origine proposta da Slow Food nella cittadina di Bra, a pochi chilometri da Alba, in Piemonte.
Iniziamo con il vino. Il panorama dei formaggi è talmente ampio che difficilmente un unico vino risulta adatto ad accompagnarli tutti e tanto meno deve essere per forza un rosso. I formaggi artigianali sono molto esigenti in fatto di abbinamento e il divertimento consiste nell’esplorazione, anche quando riporta nel luogo da cui si è partiti. Così la Robiola di Roccaverano, prodotta in Piemonte con latte crudo intero di capra in purezza, accosta senza ritrosia il proprio temperamento a vini bianchi leggeri di ogni dove, ma è con il Moscato d’Asti che va in sollucchero, a conferma che formaggi e vini della stessa zona in generale vanno d’accordo. Abbracciata al Moscato sprigiona tutta la gamma di note lattiche vellutate che la caratterizzano quando è fresca per poi arricchirsi di sentori di nocciola e frutta secca nelle stagionature.
Un altro riuscito abbinamento formaggio-vino è quello che nel calice vede brillare i riflessi ambrati intensi dello Sciacchetrà, vino passito di carattere e dalla storia millenaria prodotto da uve dei vitigni Albarola, Bosco e Vermentino che fa correre il pensiero alle Cinque Terre, quella smerlata linea di costa ligure nella Riviera di Levante coronata dai suggestivi borghi di Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola, Riomaggiore, dove i vigneti coltivati con il metodo dei terrazzamenti sono talmente ripidi da definire “eroici” i viticoltori. Sciacchetrà e formaggio è un accostamento tanto desiderabile sulla carta quanto inconsueto nelle famiglie liguri che, data la laboriosità richiesta dalla produzione con la raccolta a mano di ogni chicco sui grappoli appassiti e la bassa resa, lo riservano a festività o avvenimenti importanti come nascite e matrimoni, gustato insieme al pandolce genovese, mentre l’accostamento ai prodotti caseari è una scoperta dei giovani e dei turisti francesi innamorati delle Cinque Terre. Ogni vigna è una storia di famiglia, ogni bottiglia una personalità, raccontata per esempio da Cantina Possa e Cantina Cinque Terre nell’accostamento al formaggio ‘U Cabanin prodotto da latte crudo di vacca Cabannina, antica razza tipica dell’Appennino Ligure, rustica nella capacità di resistere a clima, terreni scoscesi e magro nutrimento offerto dalle cime. Più volte a rischio di estinzione per la bassa resa, si è sempre salvata, per l’elevata qualità dei prodotti che se ne ricavano e grazie alla resistenza di alcuni allevatori della Val d’Aveto e agli sforzi dell’Associazione Produttori e Allevatori Razza Cabannina, fra i quali l’azienda agricola Il Filo di Paglia, in Val di Vara, che con sprezzo delle scorciatoie e amore per le proprie bestiole, lascia le mucche libere di pascolare nella proprietà, brucando a sazietà erbe aromatiche, foglie, ghiande, piccoli arbusti, frutta e nocciole. Una dieta aromatica che si riflette nei profumi e sapori de ‘U Cabanin, formaggio semi-stagionato denso, dal sapore sapido e robusto, con sentori di fieno, prato fiorito, erba e nocciola, perfetto con la carezzevole setosità dello Sciacchetrà che con indulgenza rinnova l’alleanza tra uva e latte. Nel Ruzzese diciassettemaggio cantina Ca’ du Ferrà lo Sciacchetrà effonde staffilate iodate e complesse note di miele d’acacia, fiori gialli, fruttato maturo e sbuffi di albicocca candita, tenendo testa senza svenevolezze allo Spussun de Paveu, un formaggio semi-stagionato (almeno 2 mesi e mezzo) di forma quadrata, a crosta lavata e pasta compatta con occhiatura voluta, che già nel nome rivela fierezza e personalità, aromi intensi con tracce di pascoli, erba, frutta secca, nocciola e un congedo piacevolmente amarognolo.
Lasciato l’abbraccio con il divino sottoprodotto dell’uva, tanto vale uscire del tutto dai canoni classici e gustare Tequila o Whisky sposati al Parmigiano Reggiano. Il noto formaggio legato alle zone di produzione dell’Emilia Romagna fra Parma e Modena dalla ricetta secolare semplicissima (latte, sale, caglio) il cui sapore vira dal dolce al salato sempre più accentuato con la stagionatura, è il più eclettico e versatile quando si tratta di scegliere abbinamenti inconsueti. Un volo transoceanico verso il Messico sulle note di Paolo Conte porta al sodalizio fra il Parmigiano Reggiano e il distillato messicano ottenuto dalla fermentazione e distillazione dell’agave blu, combinato in un cocktail Paloma a base di Tequila in variante sapida, classica e affumicata gemellata a stagionature di diciotto, trentasei o sessanta mesi delle forme. Anche lo scettico apprezza la cremosità e le note vegetali e di frutta secca della morbida scaglia affinata diciotto mesi esaltata nel sorso iodato del cocktail Paloma Sapido (a base di Tequila Curado Cupreta, soda al pompelmo e lime), in un paring di buon equilibrio che si perfeziona nella stagionatura di trentasei mesi dove i morbidi e articolati sentori di burro fuso, frutta secca come nocciola, mandorla, noce e una affiorante nota umami animale di brodo di carne del formaggio, sono accesi dall’aromaticità del cocktail Paloma Affumicato, piacevole cavaliere anche di una tortilla di crema di Parmigiano Reggiano, barbabietola, avocado e manzo marinato nel Tequila (eh si, è maschile, dallo spagnolo el Tequila). Il Parmigiano Reggiano di lunga stagionatura, dai quarantotto ai novanta mesi, sprigiona aromi sempre più complessi e profondi di noce moscata, spezie, cuoio, note affumicate e torbate che attirano a sé Whisky invecchiati. Le affinità non mancano, a partire dall’origine delle materie prime legate ai luoghi, l’acqua da fonti locali per il whisky delle piccole distillerie e il latte vaccino territoriale per il Parmigiano Reggiano. Anche la stagionatura è un punto di incontro e le proteine del Parmigiano Reggiano sviluppano parti aromatiche che sembrano darsi convegno con l’orzo maltato e il tannino del whisky. Accompagnano il morso sorsi dai profili eleganti e aromatici, sempre più morbidi e rotondi con l’invecchiamento, sprigionando effluvi di miele, pasticceria, frutti di bosco, lunghi anche sul palato.
L’abbinamento forse più estremo per i novizi è quello tra formaggi e Grappe, una strana coppia nella quale la spiritosa bevanda comunemente sorseggiata alla fine del convivio accompagna un altro fine pasto per eccellenza. Le grappe, giovani o invecchiate, ottenute da vinacce autoctone e poco note di piccole aziende piemontesi e degustate insieme a formaggi della Fattoria Gallina Golosa, a Cheese hanno rivelato a chi scrive come il vivace accostamento sembri più adatto allo stato mentale dilatato della meditazione in cui si mettono magari a fuoco una poesia, un volto amato o un futuro proposito che non alla torpida chiusura del desinare. Un incontro di sapori nel quale non è facile trovare l’equilibrio fra contrasti e armonia, ma che merita di essere approfondito. Nell’accostamento al Testun di Alta Langa è il fluire di profumi floreali della grappa giovane di Arneis a soccombere al sapore pronunciato del formaggio prodotto nella Valle Erro, mentre appare più centrato e giocoso il dialogo tra il formaggio Toma D’Vutignasc da latte crudo misto mucca razza Jersey e capra, stagionato almeno quattro mesi su assi di abete rosso e una grappa giovane di Erbaluce che irradia sentori di pino, resina, bosco ombroso. La grappa di Timorasso invecchiata diciotto mesi regala sentori balsamici di liquirizia all’accostamento con la grana friabile, piccola e persistente del formaggio Castelgersey di Casorzo realizzato impiegando l’antica tecnica di lavorazione del Castelmagno e stagionato in grotta prodiga di muffe e spore; ma l’incontro più felice è forse quello fra l’odorosa grappa invecchiata di Malvasia affinata sei mesi nelle barrique di rovere dove è passato il Timorasso e il Blu Vej, un erborinato parente di Roquefort, Stilton e Gorgonzola piccante, affinato almeno centoventi giorni in cantina naturale con intensa nuance che va a sciogliersi sul palato; un testa a testa garbato, nel quale carattere e armonia tendono a incontrarsi con gentilezza.
Tante altre strane coppie potrebbero qui essere evocate, in un girotondo di formaggi allacciati a rum, tè, tisane, vermouth… ma queste sono altre inebrianti storie, che racconteremo un’altra volta.