Dry January: senza alcol per un mese, ma è una buona idea…?

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L’astinenza a tempo non basta e non serve: la vera consapevolezza si raggiunge con equilibrio e costanza

di Mattia Marzola

Negli ultimi anni, la categoria di coloro che si occupano in qualche modo di alcol, siano essi giornalisti, ma anche critici, sommelier, bartender e tanti altri, ha visto prendere sempre più piede, fino a diventare “pop”, uno strano fenomeno, un’isteria collettiva che spinge all’estrema morigeratezza coloro che solitamente non ne sono particolarmente inclini. L’idea è semplice: rinunciare all’alcol per tutto il mese di gennaio, prendendosi una pausa e, allo stesso tempo, dimostrando una presunta, e ferrea, forza di volontà.

Il Dry January nasce ufficialmente nel 2013 grazie all’organizzazione britannica Alcohol Change UK. L’obiettivo iniziale era quello di sensibilizzare le persone sui rischi legati all’alcol e promuovere uno stile di vita più sano.

Da allora, il fenomeno, ha visto una crescita esponenziale, arrivando a coinvolgere milioni di partecipanti in tutto il mondo, persino con app e community online dedicate, che offrono supporto e motivazione. Negli ultimi anni, accanto a questa, si sono affacciate altre iniziative simili, come il Sober October, che promuove un mese di astinenza dall’alcol durante l’autunno. Due mesi interi dedicati alla sobrietà, ma per chi sono davvero queste sfide? E soprattutto, cosa spinge le persone a parteciparvi?

Siamo davvero sicuri che dietro la facciata virtuosa di questa sfida, come in tante altre simili, non si nasconda un problema culturale più profondo? Viviamo ormai in un’epoca dominata dal concetto di detox, un ciclo ripetitivo di eccessi e rinunce: si esagera, ci si “disintossica”, solo per poter esagerare nuovamente, e poi si ricomincia. Insomma uno schema in cui si prova a mettere a tacere il senso di colpa accumulato nel corso dell’anno, ma le cui rinunce non rappresentano una presa di coscienza reale ma una mera strategia cosmetica, un lavaggio di facciata che rischia di banalizzare temi importanti come il consumo consapevole e l’alcolismo.

Nessuno può davvero pensare che smettere di bere per 31 giorni equivalga a risolvere il problema del consumo eccessivo di alcol. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’alcol è responsabile di oltre 3 milioni di morti ogni anno a livello globale, una cifra che rappresenta il 5,3% di tutte le cause di morte. L’abuso di alcol è una questione complessa che richiede interventi a lungo termine, educazione e supporto, non un gesto temporaneo.

Certo studi pubblicati su riviste scientifiche evidenziano che eventi come il Dry January o il Sober October, possono avere benefici a breve termine, come un miglioramento della qualità del sonno o una riduzione della pressione sanguigna. Tuttavia, senza un cambiamento strutturale nelle abitudini, i partecipanti tendono a tornare alle vecchie routine una volta concluso il mese. In altre parole, il Dry January non affronta le radici del problema, ma si limita a mettere una toppa, una sfida da condividere sui social per guadagnare approvazione. Ma quanto di questa scelta è motivato da un reale desiderio di cambiamento e quanto, invece, dall’esigenza di seguire una tendenza? Il rischio è che l’iniziativa perda il suo significato originario, trasformandosi in un gesto vuoto che banalizza temi come l’alcolismo e il benessere personale.

Chiariamoci, il problema non sono il Dry January o il Sober October in sé ma la mentalità che li accompagna. Bere con moderazione tutto l’anno, invece di alternare eccessi e privazioni, sarebbe una strategia più efficace e sostenibile. La vera consapevolezza non si raggiunge con un hashtag o una sfida di 31 giorni, ma con un cambiamento continuo e autentico. L’equilibrio, anche se meno spettacolare, è il miglior antidoto agli eccessi. E forse, più che un mese “asciutto”, dovremmo imparare a vivere in modo consapevole ogni giorno dell’anno.

Un paragone interessante potrebbe essere quello con il Veganuary, il mese dedicato al veganismo. A differenza del Dry January, quest’ultimo sembra andare oltre il semplice concetto di detox: si propone come un’occasione per esplorare uno stile di vita diverso, potenzialmente più etico e sostenibile. Questo perché l’astinenza dall’alcol è spesso vissuta come una pausa temporanea, il non consumo di carne può essere interpretato come un tentativo di adottare un cambiamento più profondo e duraturo, che tocca temi etici, ambientali e di salute.

Ed è proprio da qui che bisognerebbe far partire una riflessione più profonda che dovrebbe trasformare l’eccezione in abitudine e lo sforzo temporaneo in un percorso di consapevolezza a lungo termine. Forse, allora, non è importante quanto siano utili o inutili Dry January o Sober October; la vera sfida è andare oltre il calendario e scegliere ogni giorno, con coerenza, uno stile di vita più equilibrato e consapevole.

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Mattia Marzola

Giocoliere di parole, voracissimo lettore, buona forchetta (e buon bicchiere) ha deciso di unire le sue inclinazioni, diventando così appassionato docente di lettere ed entusiasta giornalista enogastronomico, anche se poi scrive di tutto.

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