DENIS PANTINI: “L’effetto dazi si vedrà a lungo termine. I consumi diminuiti per il nuovo codice della strada, ma anche per colpa dei ristoratori. I giovani bevono meno perché sono salutisti e perché … sono di meno”

Tempo di lettura: 3 minuti

Parla il Responsabile Agrifood e Wine Monitor di Nomisma: “Non è solo un cambiamento di gusti quello di Millennials e Gen Z: un calice costa come un cocktail…”

di R.V.

Dopo l’annuncio dell’ex presidente Trump di imporre dazi aggiuntivi del 20% sui beni importati, il comparto del vino italiano guarda con preoccupazione al futuro. Come cambiano gli scenari per l’export?

In parte ce lo aspettavamo: si sperava fino all’ultimo in una soluzione più bilanciata, ma la decisione è arrivata in modo netto, con un dazio universale che, fatte salve alternative costruite a tavolino, penalizzerà inevitabilmente il vino italiano. Siamo passati da una situazione in cui si pagava poco—1% per i vini fermi, 3,5% per le bollicine—a un’imposizione che supera il 20%.

Ci sono prodotti più esposti – penso ai bianchi del Trentino e ai rossi toscani, che contano sul mercato USA per oltre il 40% delle loro esportazioni –  che dovranno fare i conti con il posizionamento di prezzo: vini già più costosi rispetto a quelli domestici, come i californiani, rischiano di diventare poco competitivi, almeno nel canale off-premise, ovvero quello del consumo domestico.
Diversa la situazione nella ristorazione: un ristorante italiano negli Stati Uniti continuerà a offrire vini nostrani. Tuttalpiù, potranno fare scelte diverse all’interno della stessa denominazione; ad esempio chi vende Chianti Classico, Chianti o altri rossi toscani, magari sceglierà etichette meno costose, ma restando nel solco della denominazione.

È possibile già stimare una perdita in termini di volumi o fatturato?

Difficile fare previsioni ora. Negli ultimi due mesi, gli importatori hanno accelerato gli acquisti per riempire i magazzini in attesa del provvedimento, falsando così i dati di mercato. I veri effetti li vedremo nei prossimi mesi.

La speranza è che la situazione non si incancrenisca: uno scontro frontale con Trump non gioverebbe a nessuno. Tuttavia, il fatto che abbia scelto dazi universali può anche essere interpretato come una porta aperta a negoziati specifici. È importante muoversi sul piano diplomatico. E non dimentichiamo che, in alcuni casi, questi costi aggiuntivi potrebbero essere in parte ammortizzati.

 

Durante l’evento per i 35 anni del Consorzio Franciacorta avete presentato una ricerca che fotografa il cambiamento nei consumi di vino. Che scenario emerge?

Al di là della questione USA, i macro trend sono chiari: crescono gli spumanti e gli sparkling, i bianchi tengono, mentre i rossi calano. Sono dinamiche di lungo periodo, già in atto da oltre dieci anni, ma che negli ultimi due hanno accelerato.

Il calo dei rossi è legato soprattutto alla diminuzione del consumo di vino durante i pasti. Va però fatta una distinzione: i rossi premium mantengono una posizione stabile. Un Ornellaia non ha visto cali significativi, mentre chi produce Primitivo, ad esempio, ha registrato un rallentamento. Alcuni rossi hanno cercato di adattarsi a trend spinti anche dagli americani in termini organolettici, ma con risultati altalenanti.

Un altro tema caldo riguarda l’impatto delle nuove norme del Codice della Strada sul mondo Horeca. Che effetti si stanno vedendo?

Le sanzioni annunciate a fine anno, sicuramente inasprite, hanno avuto un effetto più forte del previsto, ma ritengo che i cali dei consumi fuori casa siano generati dal concorso di almeno due fattori: un nuovo codice della strada comunicato in un periodo di consumo importante come quello delle Festività natalizie e del Capodanno che ha generato terrorismo psicologico nei consumatori e un comportamento errato da parte di molti ristoratori che hanno reagito al calo delle vendite alzando ulteriormente i prezzi, che hanno ulteriormente allontanato gli avventori.

Servirebbe una politica di avvicinamento, magari rivedendo il posizionamento dei prezzi e rendendo il vino al ristorante più accessibile, per recuperare la fiducia e stimolare il consumo consapevole.

Infine, uno sguardo ai consumatori più giovani. Una recente ricerca di Unione Italiana Vini indica un dato in contrasto con un immaginario comune che vede le nuove generazioni di consumo lontano dai vini.

La ricerca di UIV, anche se considera un target dai 21 ai 44 anni (quindi include i Millennials oltre alla Gen Z), è molto interessante. Negli USA, questa fascia sostiene ancora i volumi, anche più dei Boomers, ma in Italia la situazione è diversa: Millennials e Gen Z sono meno numerosi e, di conseguenza, incidono meno.

Tuttavia, non è che i giovani non bevano vino. Ci sono due fattori principali che influenzano il loro comportamento. In primis, il prezzo: spesso, soprattutto in mercati come quello Statunitense, un calice di vino costa quanto un cocktail. Se un giovane ha una capacità di spesa ridotta, la scelta spesso ricade sul drink.. C’è poi un tema legato alla salute: la Gen Z mostra una crescente attenzione alla componente salutistica e al consumo moderato.

Al prossimo Vinitaly Nomisma presenterà una ricerca comparativa tra USA, UK, Germania, Francia e Italia che mostra come il tasso di penetrazione del vino tra i giovani sia simile in tutti i Paesi. Cresce il numero dei bevitori occasionali, non quelli quotidiani. In sintesi, non è disinteresse, ma un cambiamento di approccio, in cui anche la componente economica gioca una parte fondamentale. Ovviamente per avvicinare ulteriormente  le nuove generazioni di consumo serve un nuovo linguaggio comunicativo, più in sintonia con i loro valori e le loro aspettative.

Facebook
Twitter
LinkedIn
TS Poll - Loading poll ...