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L’invisibile connessione tra api e viti, circolo virtuoso di biodiversità ed equilibrio naturale

Tempo di lettura: 3 minuti

Ecco come la simbiosi tra viticoltura biologica e apicoltura può migliorare gli ecosistemi agricoli

di Raffaela Cuccu

Verrebbe da dire che la relazione tra la vite e il regno delle api sia apparentemente inesistente. La prima non è infatti una pianta nettarifera. Il suo fiore è perfetto e contiene al suo interno entrambi i suoi organi riproduttivi. La pianta della vite viene definita cleistogama, parola che deriva dal greco “kléstos gamos”, ossia nozze nascoste, un’espressione meravigliosa che si riferisce all’impollinazione a fiore chiuso.

 

Di fatto, anche l’attività di questi laboriosi insetti viene svolta in tutta segretezza: nonostante i telai degli alveari siano ispezionabili dagli apicoltori, il lavoro delle api e dei fuchi rimane ai più misterioso.
All’interno delle arnie le operaie sfarfallano, puliscono le celle, nutrono a pappa reale le larve. Quest’ultime diventano poi, col passare del tempo, ceraiole, magazziniere, guardiane, e infine esploratrici. La loro natura è selvatica: un tempo gli sciami eleggevano a dimora i tronchi degli alberi e le cavità delle rocce. La loro addomesticazione avviene invece intorno al 10.000 a.C., se non prima, e questa sembra essere un’ulteriore analogia con la pianta della vite, un tempo sylvestris e solo in seguito ricondotta ai luoghi più antropizzati.

Seppur le api non siano indispensabili alla vite in quanto impollinatori di vitis vinifera, hanno sicuramente un forte impatto sulla biodiversità dei filari coltivati in biologico, dove spesso le erbe selvatiche non vengono eliminate, ma utilizzate per il sovescio e per la seguente pacciamatura. Tra queste erbe mellifere ve ne sono alcune leguminose, come l’acacia, altre composite come il tarassaco e il cardo, e tutte contribuiscono all’apporto di sostanze organiche e sono in grado di nutrire il suolo.

La fioritura nei campi vitati dura una ventina di giorni e quando le api si posano sugli stami molte tra di esse sono già al termine del loro ciclo di vita. Questi insetti impollinatori sono cellule di un organismo sociale complesso che prevede l’esistenza di più gerarchie, l’assolvimento di ruoli specifici e l’adempienza a chiare regole collettive. Come scrisse il filosofo empirista Sir Francis Bacon, “l’ape raccoglie il suo materiale dai fiori, ma lo trasforma e digerisce con una capacità tutta propria”. Le sue zampette raccolgono e lavorano il polline in maniera del tutto mirabile.

Alcuni agricoltori poco attenti sostengono che il pungiglione sia la causa della rottura e del marciume degli acini durante i giorni che anticipano la vendemmia. Ma questo è un mito da sfatare una volta per tutte: a differenza delle vespe, le api non hanno le mandibole e quello che possono fare è casomai cicatrizzare le ferite causate da grandini, uccelli o insetti parassiti. La dolcezza degli acini ampiamente maturi attrae invece le vespe le quali, spostandosi da un grappolo all’altro, trasferiscono alcuni microrganismi, contribuendo in maniera partecipe all’apporto naturale di lieviti che convogliano in cantina e inducono la fermentazione.

L’inquinamento, i pesticidi, i fitofarmaci e gli antiparassitari stanno minando significativamente l’integrità dell’ecosistema e le api sono indicatori di questi cambiamenti. La produzione di miele è in forte calo e il sistema immunitario degli alveari risulta indebolito. A dire di molti apicoltori alcune sementi, tra cui ad esempio il girasole, non producono più grandi quantità di miele ed è per questo che alcuni tra loro stanno investendo nella valutazione di un approccio rigenerativo che consiste nell’assecondare la convivenza con i patogeni. Tale approccio prevede l’abbandono dell’utilizzo vizioso ed esasperato di principi attivi che alterano il loro DNA, dando maggiore fiducia alla capacità rigenerativa delle caratteristiche naturali dell’ambiente e nella loro innata capacità di resistenza.

Tra i prodotti direttamente elaborati dalle piccole protagoniste di questo articolo vi è la propoli che è uno tra gli antibiotici naturali più efficaci. Molti viticoltori, consapevoli del suo potere rinvigorente, e della sua efficacia in quanto cicatrizzante, lo applicano alla vigna, sia in fase di germogliamento, sia a seguito della potatura. L’apporto delle api è dunque realmente significativo per il ripristino di un equilibrio naturale ed ha un forte risvolto etico. Ciò che esse estraggono dalla madre terra, restituiscono in un secondo tempo alla vigna, portando a compimento il circolo virtuoso della natura.

 

photo credit: Stefano Amadeo agronomo per Vitenova e Diversity Ark
Alcune letture di approfondimento consigliate:

“La democrazia delle api” di Thomas D. Seeley

“Il ritorno della regina” di Goulson Dave

“La via della permapicoltua. Scritti, manuali ed esperienze sul metodo Oscar Perrone” di Gabriele Primavera

 “La vita delle api” di Maurice Maeterlinck

Picture of Raffaela Cuccu

Raffaela Cuccu

Laurea in Scienze dei Beni Culturali, Master in Comunicazione per il Settore enologico e il Territorio, Sommelier. Lavora nel cuore della Valpolicella presso l’ufficio marketing di una cantina vitivinicola.

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