La prima regione del vino italiano per produzione, con circa 11mila ettolitri, 14 DOCG e 29 DOC e la prima per superficie vitata con circa 100mila ettari.
di Alessandra Piubello
Territorio del vino articolato e variegato, il Veneto mostra un quadro complessivo solido e vivace che ruota attorno ai due principali poli regionali: quello trevigiano, con il prosecco superiore e quello veronese con l’Amarone. Ma il successo del prosecco o dell’Amarone non è sufficiente a sintetizzare la ricchezza di una terra enoica di secolare tradizione e dalla bellezza ancora poco conosciuta, con un patrimonio artistico e paesaggistico sorprendente. Uno scrigno di opere dalle vene tipiche, pulsante di panorami che variano dalle cime innevate delle Dolomiti all’azzurro del mare Adriatico. Siamo nella prima regione del vino italiano per produzione, con circa 11mila ettolitri, di cui il 68% a denominazione di origine (14 Docg e 29 Doc) e prima per superficie vitata con circa 100mila ettari (dati Istat 2021).
I veneti sono un popolo orgoglioso, operoso, instancabile e risoluto, capace di impegnarsi con tenace costanza nell’ottenimento dei massimi risultati, senza dimenticare mai le proprie origini, legate alla terra.
Vino – Veneto è diventato nei secoli un binomio inscindibile,
a dimostrazione del forte legame
che è sempre esistito tra le genti venete e la vigna.
La regione ha visto da sempre nella vitivinicoltura
un settore economico strategico fondamentale.
Dal lago di Garda al fiume Piave e alla laguna veneziana il vino veneto offre un paesaggio molteplice di territori, suoli, stili e metodi che abbracciano l’intero spettro enologico, dal frizzante allo spumante, dal bianco (morenico o vulcanico) al rosato, dal rosso fragrante e longilineo a quello possente e strutturato, senza dimenticare una serie di passiti da autoctoni presenti nell’intera regione.

Potremmo affermare che la viticoltura veneta ha tutto, nel senso che si è sviluppata sia attorno ai vitigni autoctoni sia a quelli internazionali; il suo orizzonte geografico comprende montagna, collina, pianura, mare, lago; il profilo pedologico varia enormemente, dalle argille alle piane ghiaiose che lambiscono il corso del Piave o del Livenza, dai suoli vulcanici dei Colli Euganei e del Soave a quelli basaltici del Gambellara, dal calcare della Valpolicella, ai depositi morenici del Bardolino. Dal punto di vista produttivo sono presenti in modo piuttosto equilibrato sia le grandi strutture produttive (cooperative e private) sia le medie e le piccole aziende vitivinicole.

Il Veronese è rimasto profondamente legato ai suoi vitigni tradizionali. Uve che spesso sono utilizzate in denominazioni vicine con risultati molto diversi tra loro, pensiamo ai quattro “fratelli” della Valpolicella e al Bardolino sulle sponde del lago di Garda. La Valpolicella, con il suo poker d’assi a base di Corvina, Corvinone e Rondinella, ossia l’Amarone (dalle uve messe a riposo nei fruttai, con la tecnica dell’appassimento), il Valpolicella (che sta recuperando il suo passo leggero e fresco, anche nel Superiore), il Valpolicella Ripasso (rinforzato con il passaggio sulle vinacce dell’Amarone o del Recioto) e il Recioto (il vino dolce simbolo della tradizione valpollicellese), sta interpretando i suoi vini con uno stile più agile e slanciato, meno concentrato e più in sottrazione.

Il Bardolino con le tre sottozone (Montebaldo, La Rocca e Sommacampagna) inserite nel disciplinare, frutto di un grande lavoro portato avanti negli ultimi anni, sta dando risultati convincenti, precisando le identità del rosso rubino del Lago di Garda che nell’Ottocento godeva di notorietà pari alla Borgogna o al Beaujolais. Il Chiaretto di Bardolino, il rosato gardesano, si caratterizza per vivacità e sapidità, accompagnate da tonica struttura.

Il Soave, pioniere dell’enologia italiana nel mondo, dopo un lungo processo di zonazione, è arrivato qualche anno fa al riconoscimento delle trentaquattro Unità Geografiche Aggiuntive. I terreni vulcanici e calcarei su cui cresce la garganega garantiscono vini dallo spettro aromatico intenso e mostrano un profilo energico e teso, eppure adatto all’invecchiamento. La versione dolce, il Recioto di Soave, si fa ricordare per eleganza ed equilibrio.
Sempre nel Veronese, non dimentichiamo il Custoza, con il suo paesaggio morenico e il blend di vitigni (principalmente garganega, trebbianello e bianca fernanda), capace di donare profumi fragranti e un racconto di sapida verve e immediatezza di beva, adatto a evolvere nel tempo. La Lessinia con il durello metodo classico prosegue nell’affermazione della propria caratteriale identità, dimostrandosi capace di stare a testa alta fra i metodo classici italiani.

Spostandoci nel Trevigiano, nelle colline di Conegliano e Valdobbiadene, proclamate Patrimonio Universale Unesco, la viticoltura è eroica e quasi esclusivamente svolta a mano, a causa delle forti pendenze. Il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, attraverso una storia unica, ha costruito nel tempo il successo del Prosecco, creando uno stile italiano del bere moderno, informale e allegro, amato in tutto il mondo. Sottolineiamo che a Conegliano nel 1876 fu fondata la prima Scuola Enologica d’Italia.

Tuttavia il “fenomeno Prosecco” è legato – nei numeri – soprattutto alla produzione targata Doc, la cui area di riferimento abbraccia cinque province del Veneto (Treviso, Belluno, Padova, Venezia e Vicenza) più quattro in Friuli. Restando sul pianeta “bolle”, citiamo il trend del Prosecco Colfondo, ovvero il rifermentato in bottiglia sui lieviti, il metodo di più antica tradizione da queste parti, e le buone performance dell’Asolo Prosecco.
Ancora, tra i bianchi vanno annotati: nell’area vicentina il Gambellara (sempre da garganega) e anche la sua versione dolce, il Recioto di Gambellara; lo strutturato e profondo Lugana (da uva Turbiana), una denominazione condivisa tra la sponda veronese e quella bresciana del lago di Garda; e nel padovano nei vulcanici Colli Euganei il moscato giallo che confluisce nell’aromatico e poliedrico Fior d’Arancio. Tra le colline marnose e basaltiche di Breganze, nel Vicentino, l’autoctona vespaiola genera un bianco affilato e un nobile passito, il Torcolato. Nel Piave spicca l’anima irruenta del sanguigno raboso, che la Docg Malanotte disciplina con l’appassimento delle uve.

Le varietà bordolesi presenti in regione da oltre un secolo esprimono stili molto differenti a seconda del territorio di provenienza, siano sui Colli Euganei, sui Colli Berici (patria del Tai Rosso, variante locale del grenache francese e del canonau sardo, per citare le più note) o sul Montello o i Colli Asolani. Non siamo nel trend degli autoctoni ma questo è un altro polo qualitativo veronese: è ormai conclamata la potenzialità che Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot dimostrano di avere in queste terre.

Il Veneto sta in parte ridefinendo una propria fisionomia. In linea generale l’approccio ai vini con maggior facilità di beva e snellezza, senza essere vuoti o troppo magri, sta cominciando a riscuotere attenzione da parte dei produttori, come il mercato stesso sta richiedendo.
Una regione che sta dimostrando sempre più al pubblico degli esperti e dei bevitori più attenti l’impressionante ricchezza di valori che sa offrire, anche grazie alle nuove generazioni che si sono impegnate ad accentuare le caratteristiche enoiche territoriali.
Foto Copertina: Le colline del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, crediti Arcangelo Piai