di Camilla Rocca
Figlia d’arte, cura il marketing e l’hospitality delle Cantine Fina: “Ci rivolgiamo ai giovani e lavoriamo con loro, insegnando il rispetto per l’ambiente come regola primaria”. Il vero innovatore “è mio padre, ma la parola chiave è squadra”
Federica (Kika per tutti) Fina è una donna vulcanica. Da quando ha 24 anni segue l’azienda di famiglia, le “Cantine Fina“, ricoprendo il ruolo di marketing & hospitality manager in una splendida sede affacciata sulle isole Egadi. A lei è stato dedicato uno dei vini dell’azienda, il Kikè, modo vezzeggiativo con cui è chiamata: un blend di Traminer e Sauvignon Blanc. Porta avanti una filosofia che è in netta controtendenza con quella di altre cantine, ma valorizza i vitigni internazionali in Sicilia partendo da una realtà abbastanza recente: era il 2005 quando il padre e enologo Bruno Fina, insieme con la moglie Mariella si buttano nell’attività che oggi vede all’opera i figli Marco, Sergio e Kika ovviamente. Classe 1990, è sicuramente una dei rappresentanti della next generation.

Cos’è per te la Next Generation nel mondo del vino? E perché pensi sia un tema così forte in questo momento storico?
La cosiddetta “next generation” rappresenta un passaggio di testimone, all’interno delle aziende sta avvenendo un cambio generazionale, soprattutto in quelle a conduzione familiare. Siamo giovani cresciuti all’interno delle nostre realtà agricole e imprenditoriali, stiamo accogliendo questo passaggio con l’entusiasmo e la passione che fin da piccoli ci sono stati trasmessi. Più che cambio generazionale, amo chiamarlo dialogo tra generazioni: veniamo da realtà familiari che ci hanno sempre resi partecipi, siamo gli eredi del nostro territorio e abbiamo la responsabilità di proseguire il cammino con cura e dedizione, sono i nostri valori e sarà nostra missione dare il nostro contributo sfruttando gli strumenti che il progresso ci ha donato.
Ti occupi sia del marketing che dell’hospitality: quanto sono importanti all’interno di una cantina? Punti molto sull’esperienza nelle visite e quali sono i segni che vi distinguono, i tocchi unici insomma?
Trovo l’hospitality il fulcro della comunicazione, l’enoturismo concede l’opportunità di rivolgersi direttamente al consumatore finale, colui che poi girando per i ristoranti richiede la sua bottiglia preferita. In questi anni ho strutturato il mio enoturismo concentrandomi sullo storytelling. L’enoturista non è alla ricerca di tecnicismi, è in esplorazione di una storia: in quel momento viene a contatto con il produttore e bisogna concedergli il privilegio di raccontare ciò che il calice non può dirti, ma che ti ricorderà in futuro. Da quel momento in poi lo stesso calice avrà maggiore sapore, rimanderà all’esperienza completa. Oltre all’enoturismo, con i miei fratelli organizziamo degli eventi in cantina, tra questi il più importante è il Kebrillerá, una rassegna musicale che organizziamo tutti gli anni, abbiamo organizzato concerti con protagonisti del calibro di Ron, Vinicio Capossela, Saturnino, Ballo, Roy Paci, Lello Analfino. Stiamo già lavorando alla prossima stagione ed è già in corso il totonomi.
Sostenibilità nel vino: un modo per riempirsi la bocca o importa davvero alla Next Generation?
Lavoriamo con “Madre Natura”, siamo cresciuti nel suo rispetto e in quello del Pianeta: temi come la sostenibilità per noi sono l’essenza di tutto, per noi è una questione primaria e ci impegneremo affinché il suo rispetto diventi abitudine e normalità.
Quanto è importante, oggi, avere un volto in azienda che racconti il suo brand?
Lo ritengo importantissimo, credo molto nel ruolo del brand ambassador come punto di riferimento da parte del consumatore e non solo. Viaggio molto all’estero ed ogni mia visita in giro per clienti mi conferma l’importanza di questo ruolo. Trovo meraviglioso che loro si ricordino di me e dell’azienda a distanza di tempo.
C’è stato qualche “scontro generazionale” da quando sei entrata in azienda?
Assolutamente no, anzi nostro padre spesso è quello che ha le idee più innovative. Io e miei fratelli siamo molto fortunati, si fida tantissimo di noi e ci lascia carta bianca. Ovviamente poi ci si confronta e le decisioni si prendono insieme. Lavorare in famiglia ha i suoi pro e i suoi contro, non c’è un confine netto tra tempo libero e lavoro, ma ci divertiamo, c’è armonia e confronto continuo, al massimo discutiamo su quale bottiglia aprire per il pranzo della domenica, ma nulla che non si possa risolvere davanti a buon calice di vino.
Importatori, commerciali, ti hanno mai “considerato meno” in quanto giovane? E… donna?
Puó darsi, ma non mi importa. La mattina mi sveglio sapendo già ciò che devo fare, non penso mai, prima dell’incontro con un importatore: “Chissà se mi prenderà sul serio in quanto donna”. Io mi preparo, vado e faccio, se l’altro non si è preparato adeguatamente all’incontro perché mi ha sottovalutato in quanto donna, sarà un suo problema, l’incontro andrà male a lui non a me. Purtroppo però devo dire che viaggiare da sola non è semplice, noi donne non possiamo concederci il privilegio della libertà di passeggiare dopo una certa ora e non vi nascondo che penso bene ai vestiti che metto in valigia prima di un viaggio. Ecco io lavorerei su questo, aiutateci a conquistare questo tipo di libertà, è frustrante viaggiare con la costante paura.
Cosa vorresti dire agli altri vignaioli? un consiglio su come migliorare che noti spesso nei colleghi?
La parola chiave per me è squadra. Mettere da parte le invidie e iniziare a praticare l’ammirazione, prendere spunto e riconoscere se qualcuno sta facendo bene, secondo me sta tutto lì. Ispirarci e sostenerci a vicenda.