di Emma Pagano
Era il 1998 quando Jacques Herzog e Pierre de Meuron progettarono per primi nella Napa Valley la nuova sede della cantina Dominus: un lungo parallelepipedo costituito da gabbie metalliche piene di pietre basaltiche che, ancora oggi, continua ad essere un punto di riferimento per tutti i progettisti e produttori che si sono avvicinati a questo tema
Visto dall’autostrada che costeggia parallelamente il perimetro della tenuta, l’edificio sembra un grande muretto a secco i cui confini si perdono nel verde dei filari. Avvicinandosi, le proporzioni sembrano cambiare: da vicino la struttura sovrasta, monumentale, il paesaggio, riflesso del mutevole rapporto tra uomo e natura.

Sono passati venticinque anni; da allora, in ogni angolo del pianeta, l’architettura e il settore vinicolo hanno continuato a dialogare in un percorso di ringiovanimento, aggiornamento e valorizzazione delle cantine volto non solo ad adempiere alle funzioni proprie della produzione vinicola, ma anche per trarre vantaggio dal valore dell’architettura e dalla visibilità degli architetti al fine di aumentare le visite e le vendite: è l’era dell’architettura che qualifica, distingue, incuriosisce.
Tra cantine-cattedrale che attirano i visitatori per le sorprese architettoniche, cantine-industria che mettono in scena i processi di lavorazione dell’uva, e le cantine-paesaggio che si integrano nel territorio, aumentandone il valore topografico, culturale e storico, sono tantissime le ‘case del vino’ che oggi si distinguono dal punto di vista architettonico.
In Italia la Toscana è stata apripista con Mario Botta per Petra (2003), Renzo Piano per Rocca di Frassinello (2007), Tobia Scarpa all’Elba per la Tenuta delle Ripalte (2010). Anche l’Alto Adige ha una storia ormai quasi ventennale: la cantina di Caldaro di Walter Angonese è del 2004.
Per valorizzarle, proprio in Toscana è nato il progetto Wine Architecture: un circuito di 14 cantine d’autore e di design, firmate dai grandi maestri dell’architettura contemporanea, che mira ad estendersi a livello nazionale. Non mancano naturalmente anche i progetti editoriali e di formazione dedicati al legame tra vino e design, come il volume “Nuove Cantine Italiane. Architetture e Territori” (2022). Nato in continuità con l’omonima mostra fotografica, il progetto – realizzato dalla rivista «Casabella» in collaborazione con ProViaggiArchitettura e con il supporto di Draco – ha dato vita anche al ciclo di incontri “L’osteria dell’architetto”, dove gli ospiti si confrontano su vino, architettura e turismo, accompagnati dalla degustazione di vini selezionati da Partesa e di prodotti locali.
La più recente tappa, che si è svolta a Firenze e che sarà seguita da tanti altri appuntamenti in tutta Italia, è stata anche occasione per una riflessione fondamentale, imprescindibile sia che si parli di viticoltura che di architettura: quella legata alla sfida posta dal cambiamento climatico, le cui conseguenze – e il modo in cui risponderemo ad esse – detteranno il futuro del settore vinicolo e non solo.

Galileo Galilei descriveva il vino come “la luce del sole, tenuta insieme dall’acqua”; i viticoltori odierni ne sanno qualcosa. La vite è molto sensibile al clima: troppo calore e accumula zucchero in eccesso, producendo vini eccessivamente alcolici. Troppo freddo e il frutto si trasforma in un liquore aspro e acido. Per questo, la maggior parte delle regioni vinicole si trova in aree in cui le temperature medie scendono tra 12°C e 22°C durante la stagione di crescita (da aprile a ottobre nell’emisfero settentrionale; da ottobre ad aprile nel sud), a una latitudine compresa tra i 30° e 50°. Con l’innalzarsi delle temperature globali, tuttavia, queste fasce si spostano verso i poli. Uno studio recente stima che la frontiera settentrionale della coltivazione della vite in Europa potrebbe avanzare di 20-60 km ogni decennio da qui al 2050: in Italia significherebbe assistere alla scomparsa del 58% delle superfici attualmente vitate.
Ciò ha portato alcuni scienziati a prevedere l’estinzione di alcuni dei vini più iconici del mondo, come quelli della Borgogna o della zona di Bordeaux. Al contrario, c’è chi attende una nuova ondata di grands cru da terroir precedentemente improbabili come il Sussex e la Scandinavia.
Moltissime cantine oggi sono già sotto pressione: in media i viticoltori raccolgono le uve tre settimane prima rispetto agli anni ’60. Molti di loro sono costretti a vendemmiare di notte, per evitare che il caldo delle giornate provochi l’ossidazione dell’uva.
Dalla vinificazione per gravità che riduce consumi ed impatto, al mantenimento della temperatura ideale sfruttando l’acqua di sottosuolo; dall’utilizzo di materiali naturali al recupero delle acque piovane, fino alle energie rinnovabili e i giardini verticali, l’eco-sostenibilità si riflette su ogni passaggio produttivo del vino. Non a caso molte cantine scelgono di svilupparsi sottoterra, dove le temperature fresche permettono di conservare al meglio il vino e abbassare i costi energetici: ne è un esempio recente la Cantina Lunae di Sarzana (SP) di cui abbiamo parlato in occasione della sua inaugurazione a inizio 2023.

Sempre più sostenibili, tecnologiche e – perché no? – belle: sono le cantine d’autore che si stanno diffondendo in tutto il mondo. Sostenibili, perché in esse è la natura la materia vera e propria della costruzione, elemento sostanziale del progetto che ne condiziona il design e le funzionalità. Tecnologiche, perché incorporano strumenti, tecniche e approcci pensati per far fronte alle sfide poste dal cambiamento climatico, ridurre gli sprechi e impattare positivamente il paesaggio. Belle, infine, non solo per volontà di aumentare visite, vendite e, quindi, profitti, ma anche per celebrare il ricco patrimonio culturale del mondo del vino, la meraviglia dei suoi paesaggi e il millenario rapporto tra uomo e Natura che ne ha permesso lo sviluppo. Con l’auspicio di stimolare un rinnovato impegno nella sua salvaguardia. Dopotutto, per ritornare a Herzog e alle sue parole, “l’eternità dipende da quanto le persone sono disposte a prendersi cura di qualcosa”.