Vale per vini bianchi e per gli spumanti. È una tecnica che dona ai vini una caratteristica sensazione di cremosità
L’invecchiamento sulle fecce, noto anche come sur lie – che in francese significa per l’appunto “sulle fecce” – è il processo di maturazione e invecchiamento dei vini bianchi e spumanti sopra i lieviti esausti e altre particelle. Sottoprodotto sedimentario della fermentazione, le fecce hanno un aspetto lattiginoso e una consistenza liscia. Mentre il contatto prolungato con le fecce può avere un impatto negativo sul gusto di alcuni vini, in altri la loro presenza fornisce caratteristiche riconoscibili e apprezzate.
Attraverso questo processo, i vini sviluppano una sensazione di cremosità e note di lievito, simili a quelle del pane. Questo metodo di vinificazione trova l’esempio più calzante nello Champagne che deve essere invecchiato sui propri lieviti dai 12 mesi ai 36 mesi, a seconda dell’annata e della tipologia. È usato anche in Borgogna e in Loira, in particolare su uve come Chardonnay e Muscadet. Questo stile di vinificazione viene utilizzato anche negli Stati Uniti, spesso con lo Chardonnay californiano invecchiato in rovere, per dare a questo vino le iconiche note calde, burrose e cremose.
Ma in che modo un vino che invecchia e riposa sulle fecce fini crea questi sapori e queste sensazioni in bocca?
Dopo che il lievito ha consumato e convertito lo zucchero in vino, muore. All’interno delle cellule morte del lievito sono presenti una pletora di importanti composti, proteine e molecole come mannoproteine, polisaccaridi, acidi grassi e amminoacidi.
Le mannoproteine sono gruppi proteici che aggiungono aromi, sapori e sensazioni morbide, rendendo meno astringenti i tannini. I polisaccaridi, gruppi legati alle molecole di zucchero, fanno più o meno la stessa cosa, soprattutto rendendo meno spigolosi i tannini e lavorando sull’equilibrio del corpo del vino. Gli acidi grassi, che sono contenuti nelle pareti cellulari del lievito, aiutano a potenziare diversi gusti e odori, lavoro che svolgono anche gli amminoacidi.
Durante le prime fasi, solitamente i primi mesi, il principale vantaggio dell’affinamento sulle fecce è di prevenire ossidazioni indesiderate. Qui agiscono le mannoproteine che assorbono l’ossigeno residuo scongiurando così i tipici difetti di perdita di colore e sapore (la sensazione di vino marsalato).
Dopo i primi mesi, le cellule morte del lievito si decompongono per autolisi (processo biologico attraverso il quale una cellula si autodistrugge, cioè “digerisce” se stessa, a causa di certi enzimi), e iniziano a rilasciare i loro composti nel vino. È qui che avviene la “magia” ed è quando si può iniziare a utilizzare le fecce per modellare il carattere del vino. Ciò viene fatto attraverso il bâtonnage, un movimento di rimescolamento eseguito con un bastone all’interno della botte, che permette di agitare la massa liquida e far risalire le fecce nobili presenti sul fondo del recipiente. Nel caso dello Champagne, che conosce una seconda rifermentazione in bottiglia, le fecce rimarranno in vetro e saranno messe in moto tramite la tecnica del remuage, una rotazione effettuate sulle bottiglie che consente di spostare i sedimenti nel loro collo per poi eliminarli in seguito con il dégorgement (sboccatura).