L’ultimo decennio registra ancora una crescita dovuta a un lavoro sempre più coerente e rigoroso dei produttori, e all’entusiasmo di un pubblico trasversale.
di Valeria Lopis Rossi
Sexy, magnetica, vitale. Tanti gli aggettivi che in questi anni hanno cercato di afferrare e restituire complessità e bellezza di uno degli areali enoici più affascinanti ed eterogenei, l’Etna.
Il vulcano attivo più alto d’Europa è un luogo di vino, anzi tanti: la viticoltura sull’Etna si presenta con innumerevoli sfaccettature e al contempo come qualcosa di unico e non replicabile, dove ogni versante, ogni contrada, ogni vigna, ha la propria vocazione ed inclinazione che l’uomo asseconda con esperienza millenaria e amorevole osservazione.
L’intricata composizione della muntagna e la vita pulsante che ribolle manifesta con sbuffi di lave e pennacchi di fumo ne fanno un organismo vivo, immobile e cangiante allo stesso tempo. Il vulcano non si muove ma una vita frenetica, vegetale ed umana, lo abita ed intreccia con esso una relazione osmotica fatta di scambi ed influenze reciproche.
Può sembrare un’analisi estrema ma in territorio etneo tutto è in continua evoluzione, anche i vini. Nonostante la pratica vinicola abbia origini antiche, prassi e protocolli sono un concetto relativo. Gli autoctoni Nerello Mascalese e Carricante sono i vitigni più diffusi ma vi è anche chi ha sentito la necessità di misurarsi con varietà di origini nazionali e internazionali, puntando sulle morfologia etnea che è quella di una montagna fatta di altitudini, esposizioni ed escursioni termiche, ottenendo anche risultati di non poco conto.
Più o meno gli anni a partire dal 2000 sono stati lo spartiacque dal quale è riaffiorata una nuova consapevolezza, cresciuta di pari passo con la riscoperta del potenziale enologico di un bacino con possibilità e variabili ampie, quasi illimitate. Tempi in cui le grandi famiglie locali hanno accolto i tanti stranieri arrivati sull’Etna attratti da una forza inspiegabile, riconducibile a quella dirompente connessione primordiale che si crea con una natura originaria e sfidante come quella del vulcano piena di endemicità quanto di imprevisti.
L’ultimo decennio registra ancora un altro scatto di crescita dovuto ad un lavoro sempre più coerente e rigoroso dei produttori, che ha viaggiato sull’onda dell’entusiasmo di un pubblico trasversale premiato dalle gratificanti sensazioni di mineralità e di immediata riconoscibilità vulcanica rintracciabili in ogni singolo assaggio.
Un ruolo non trascurabile che è entrato in gioco sull’Etna, come in tante altre geografie del vino, è quello delle tecnologie e della ricerca. Il sapere tramandato è stato migliorato dalla raccolta dei dati scientifici che perfezionano processi di vendemmia e vinificazione, monitorano cicli vegetativi e affinamenti in cantina. I tecnici hanno visto questa progressione correre in modo sempre più veloce e portare a casa risultati enormi in pochissimo tempo.
“Negli ultimi 15 anni è cambiato moltissimo, prima ci si concentrava sulla produzione di rossi, possibilmente strutturati e con invecchiamenti tendenzialmente lunghi, poi finalmente la scoperta del Carricante che ha dato una svolta anche alla piattaforma ampelografica etnea – puntualizza Andrea Marletta, enologo e agronomo etneo nell’orbita di vigneti e cantine del vulcano da almeno un ventennio – con la riforma del disciplinare del 2011 si è scelto di aprire anche agli spumanti, altra grande risorsa che sta dando grandi soddisfazioni. Oggi l’Etna rappresenta la frontiera del gusto moderno, dove si ricerca freschezza e sapidità, vini con alta bevibilità ma non banali, con complessità olfattiva che riporta alla freschezza e all’energia vulcanica”.
Vini asciutti, verticali, che della contemporaneità ne hanno fatto una propria bandiera. Cosa c’è di più moderno di un vino che nasce da vigne radicate su un vulcano attivo che sanno raccontare una storia fatta di profondità e di superfici, di umanità e di paesaggio? In bottiglia è come trovare un messaggio diretto che arriva dal cuore della terra a quello della gente e il vino diventa così un linguaggio per ogni degustatore, anche per quello meno attento.
La nouvelle vague etnea: 5 produzioni tra le più recenti
Sulla traccia di questo carico di successi e di irresistibile fascino, la scommessa di vestire i panni di produttori e vignaioli ha fatto breccia in diversi etnei che sempre più hanno sentito il richiamo da sirena di quella vetta fumante e incantatrice.
Quasi 400 i soci del Consorzio Etna DOC che include imbottigliatori e conferitori, tutti insieme formano un distretto di artigiani e creativi del vino con l’ambizione di interpretare suoli, vitigni, andamenti climatici e sentimenti di un areale in continuo mutamento.
Piccole realtà che possono contare su pochi ettari, spesso non più di 1 o 2, giovani ma non più giovanissimi che hanno già sperimentato e adesso si sono messi in discussione – e sul mercato – con produzioni che manifestano personalità e identità pur rimanendo dentro una piena appartenenza etnea. Cinque cantine di recente impianto che concorrono più o meno intenzionalmente alla svolta bianchista del vulcano.
Prima sommelier in sala, poi olivicoltore e dal 2017 anche alle prese con il vino, stordisce per pienezza e spessore l’altra faccia del Carricante interpretata da Mauro Cutuli con l’etichetta “Lato Sud” 2019, la sua cantina dal nome evocativo Grottafumata conta 2,5 ettari le contrade Monte Ilice, Monte Gorna e Carpene a sud est dell’Etna in un’altitudine tra 720 e 840 metri sul livello del mare. I vigneti hanno 60 anni circa e in mezzo a queste piante Mauro ha trovato diversi cloni di “Zu Matteu” (ndr, dal siciliano: zio Matteo) un biotipo di Carricante che conferisce questa particolare carica rafforzata da 4 giorni di contatto con le bucce. L’idea di Mauro è quello di condurre un giardino: miele, olio, origano, alberi da frutto per le composte.
Più a Nord, a Linguaglossa, in contrada Martinella è risorto l’omonimo palmento: le antiche vestigia sono state riprese e ristrutturate in un restauro conservativo da Emilio Sciacca, guida naturalistica e velista. Al suo attivo ci sono già sei vendemmie, appena un tempo utile per calibrare la manovra e intraprendere la direzione di produttore di vino in una traiettoria etica, sostenibile, trasparente. “Biancopiglio rock” 2022 è un vino di intensità dal portamento teso e vibrante, un vino estrattivo che regala tutta la solarità aurea del blend di Carricante, Catarratto, Grecanico Dorato.
Ottantatre terrazzamenti distesi tra Contrada Praino e Contrada Volpare nei sentieri del bosco di Milo per Maugeri, il progetto vitivinicolo dell’omonima famiglia etnea che in meno di un lustro è tornata a fare vino nei luoghi d’origine. L’obiettivo di Renato Maugeri e delle tre figlie Carla, Paola e Michela è stato da subito interpretare la purezza dell’Est con una gamma di bianchi ai quali si affianca un solo rosato. L’Etna Bianco Superiore “Contrada Volpare Frontebosco” 2021 li ha già ricompensati con i “Tre Biccheri” nella guida Vini d’Italia 2023 del Gambero Rosso e adesso con il riconoscimento di 94+ punti assegnati da Monica Larner, fra i punteggi più alti mai assegnati ai bianchi dell’Etna.
I vigneti di Biancavilla di Domenico Mancuso si trovano in uno dei siti di deposito lavico di ignimbrite in Contrada Purgatorio, terreno caratterizzato dalla stratificazione di colate piroclastiche del vulcano. L’etichetta Pietrardita blend di 90% Carricante, 5% Catarratto e 5% Minnella, è un vino di luce: come tutti i vini del versante Sud Ovest gode di tramonti tardivi che guadagnano fino ad un’ora di sole in più al giorno. Lavori manuali, cura esemplare ed artigianalità compongono un vino autentico e rurale ma al tempo stesso elegante ed emozionale.
Un ritorno alla terra anche per Salvo Licciardello che insieme alla famiglia ha dato vita alla cantina Licciardello Vini: dalla prima vendemmia nel 2018 è tutta una rincorsa verso il consolidamento di una visione etnea orientata alla sostenibilità e alla leggerezza. Recupero delle emissioni di CO2 con pratiche di compensazione e investimenti sulle energie rinnovabili con l’impianto fotovoltaico che soddisfa al 100% il fabbisogno della cantina. “Mariaelena” è il manifesto bianchista di questo impegno ambientale, Carricante 50%, Catarratto 30% e Grecanico 20% dall’annata 2020 affina solo in acciaio ed è un vino sottilmente intrigante in pieno stile etneo.
“I nuovi vini dell’Etna”: il libro dell’americano-etneo North-Spencer
Dopo aver mantenuto l’indice di gradimento alto per ben 3 anni, lo scorso maggio è uscito in Italia “I Nuovi Vini Dell’Etna: Una Guida alla Storia e alla Rinascita di una Regione Del Vino” (scopri qui) l’ultimo titolo appena arrivato in libreria di Benjamin North Spencer, autore e divulgatore americano che fa base fissa sul vulcano, è una dichiarazione d’amore senza confini per il vulcano e i suoi vini.
North-Spencer spiega chiaramente perché ha sentito l’esigenza di cimentarsi un lavoro dalla struttura antologica ed imponente. “Ho scelto di uscire da dietro i dati, di allontanarmi dalle nostre scorecard, in modo da poter scoprire questi vini vulcanici alle condizioni dell’Etna. La certezza, ad esempio, qui arriva a piccoli passi. I frequenti cambiamenti di topografia, altitudine, luce solare, vento e suolo influenzano il colore, gli aromi e i sapori di un vino, ma ogni vicino ha anche un’idea di come interpretare al meglio l’uva, il terreno e l’annata. Questo fa parte di ciò che rende questi vini vulcanici così eccitanti. Spesso sfuggono al mirino di una definizione precisa”.
L’inaspettato abita il vulcano ed è sempre qualcosa di coinvolgente. “Tutti coloro che fanno uno sforzo contribuiscono a rispondere alla domanda: “Cos’è l’Etna?” – continua l’autore – Solo una generazione fa, le risposte erano dubbie. Oggi, coloro che hanno il compito di rivitalizzare l’economia vinicola etnea sono allo stesso tempo i pionieri di un paesaggio selvaggio e i tedofori di un’antica tradizione. Come risultato dei sacrifici che stanno facendo, i vini della montagna che domina la costa orientale della Sicilia hanno riconquistato alcuni dei riflettori internazionali”.
Foto copertina crediti: Emilio Sciacca