di Francesca Ciancio
La storia
In principio voleva essere un Pinot Nero, ma poi divenne un Pecorino.
A raccontarla pare buffa la storia del vino firmato da Feudo Antico per Casadonna Reale. Eppure è andata proprio così. Da un lato lo chef Niko Romito, tre stelle Michelin con il suo ristorante a Castel di Sangro, dall’altro l’azienda Feudo Antico, costola della cooperativa abruzzese Cantina Tollo, che si contraddistingue all’interno del gruppo per l’alto posizionamento. Traslocato da Rivisondoli a Castel di Sangro nel 2010, lo chef voleva nel suo nuovo progetto di ristorazione e ospitalità – che è poi diventato il Casadonna Reale – anche il vino. Anzi una vigna di Pinot Nero piantata a più di 800 metri di altezza. Un’impresa non semplice, ma che il team dell’azienda vitivinicola di Tollo, in provincia di Chieti, ha accettato. Le prove sono state diverse e con diversi cloni, ma il risultato sperato, tardava ad arrivare. Da qui il cambio di uva e di progetto: perché non fare un bianco da uve autoctone? – suggerisce Feudo Antico. Ecco che la scelta ricade sul vitigno di “montagna”, quello che i pastori abruzzesi dei Monti della Maiella ben conoscevano perché era l’ultima uva a maturare ed era buona da raccogliere e da portare con sé durante la transumanza. Da qui, pare, il nome Pecorino.
Il vino
Il Pecorino Igp Terre Aquilane Feudo Antico per Casadonna nasce in uno dei luoghi meno battuti ma più affascinanti dell’Appennino italiano. Siamo sui Monti della Maiella, nella provincia aquilana, all’interno della tenuta Reale Casadonna, un paesaggio incantevole e selvaggio. Poche bottiglie per un’etichetta che può dirsi da collezione (di premi ne ha vinti tanti non a caso). Semplice nella sua realizzazione: vendemmia a fine ottobre, fermentazione spontanea in vasche di cemento, sosta sui lieviti per sei mesi nei medesimi contenitori, svinamento senza filtrazione né chiarifica e imbottigliamento. Zero costruzioni, molta sincerità. Quella cristallina e tersa che si ha a queste latitudini fredde e dove, cambiamenti climatici permettendo, la neve arriva presto. Anche la terra è poca, ci sono soprattutto sassi e tutto questo il vino lo sente perché parla la lingua della montagna: è affilato, dritto, richiama il miele di acacia, ma sa anche tanto di salvia. In bocca è più generoso, grazie a una cremosità quasi tattile. Una leggera nota di polvere da sparo chiude il sorso. Non chiamatela sensazione minerale, piuttosto un accenno di affumicatura che ci sta tra queste case dove i camini si accendono presto.
lo consigliamo a chi…
Non ha paura di spendere 30 euro e più per un bianco italiano. Sì, perché questo è un Pecorino dal prezzo importante. Ha in sé però la versatilità dei vini a più facce ed è buono per diverse occasioni in tavola: va bene con le carni bianche, ma sa osare anche con il pesce; accompagna paste ripiene e non stona con carni rosse. Non ultimo con minestre di verdure invernali, dai sapori decisi e concentrati. Un’etichetta passe-partout insomma. Da consigliare anche in “verticale” ovvero comprando più bottiglie di diverse annate per divertirsi a vedere l’effetto che fa il tempo su vendemmie differenti.