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Tracciare lo zolfo agricolo è possibile

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Lo dice una ricerca dell’Università del Colorado: il minerale lascerebbe una traccia digitale facilmente reperibile e diversa da quella dello zolfo atmosferico.

Una ricerca dell’Università del Colorado Boulder, pubblicata su Environmental Research Letters, ha dimostrato per prima che lo zolfo agricolo ha un’impronta digitale unica che può essere tracciata dal momento dell’applicazione in campo fino allo smaltimento. Questa tracciabilità consentirebbe soprattutto la protezione dei corsi d’acqua a valle, interessati dalla presenza del minerale usato a scopo agricolo. Lo studio, effettuato sui vigneti in California, nasce dall’esigenza dei produttori vinicoli di fare uso dello zolfo come fungicida contro l’attacco dell’oidio. Ma quando piove e il fungicida viene lavato via, dove va tutto questo zolfo?

L’autrice della pubblicazione, Eve Lyn Hinckley, ha raccontato che è possibile vedere l’effetto dell’agricoltura dei vigneti nel fiume Napa, anche se questi rappresentano solo l’11% dell’estensione agricola totale, grazie proprio alla stabilità dell’impronta dello zolfo. Estratto dai giacimenti minerari di tutto il mondo, lo zolfo agricolo viene utilizzato sia come fertilizzante che come pesticida. Ed è nei vigneti in particolare che si può capire come si muove attraverso il suolo, dove finisce e quali sono le sue possibili conseguenze, secondo Hinckley

Per separare lo zolfo atmosferico da quello usato dall’uomo, i ricercatori del Colorado hanno lavorato come investigatori forensi. In tutta la Napa Valley hanno prelevato campioni di zolfo durante il suo percorso: dal suolo fino alle acque superficiali. Analizzando la chimica di questi prelievi è emerso che lo zolfo agricolo ha una firma unica, identificabile a livello atomico “e che è molto diversa da quella che vediamo nella deposizione atmosferica o negli agenti atmosferici geologici” ha affermato Hinckley.

Obiettivo del lavoro non è interrompere l’uso dello zolfo in agricoltura, ma perfezionarne strategicamente l’impiego per ridurne gli impatti ambientali. Come sostiene la ricercatrice universitaria “Questo lavoro potrebbe aiutare lo sviluppo di tecnologie utili a scegliere quando e quanto applicare lo zolfo, piuttosto che applicare sempre la stessa quantità preventivamente”.

Come sappiamo, le etichette dei vini che riportano la dicitura “senza solfiti aggiunti” si riferiscono alla quantità di SO2 aggiunta durante il processo di vinificazione e mai prima. Una delle speranze di questa ricerca è anche quella di vedere scritto sull’etichetta – come spiega la Hinckley – il quantitativo di zolfo presente nel vigneto: “ Sarebbe – continua la ricercatrice – il segnale di un impegno serio da parte di chi coltiva uva nei riguardi del suolo e delle acque. Chissà magari un giorno “applicazione sostenibile dello zolfo” apparirà accanto al termine “biologico” e ad altre certificazioni che mirano a influenzare le decisioni di acquisto dei consumatori”.

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