I prezzi di ingresso della manifestazione veronese sono i più salati tra le manifestazioni internazionali: una politica nata per limitare il numero di consumatori presenti in Fiera, ma che quest’anno sta privando molti operatori della possibilità di partecipare
Di R.V.
Vinitaly dovrebbe essere la vetrina d’eccellenza del vino italiano, non solo per chi lo produce e lo commercializza, ma anche per chi lo racconta ogni giorno ai clienti. Eppure i prezzi dei biglietti d’ingresso alla manifestazione veronese stanno sollevando più di qualche dubbio tra gli operatori del settore. Dietro i numeri si nasconde una questione più profonda: qual è il vero scopo di una fiera nazionale del vino?
I costi delle altre Fiere
I fatti, innanzitutto. Un biglietto giornaliero per Vinitaly costa 125 euro, mentre l’abbonamento per i 4 giorni arriva a 265 euro. Cifre che appaiono significative se paragonate a quelle di fiere di calibro internazionale.
Wine Paris, manifestazione che rappresenta lo scenario vinicolo mondiale in modo completo, propone un Early Bird a 60 euro e un biglietto regolare a 80 euro. ProWein di Düsseldorf chiede 50 euro in Early Bird e 60 euro a prezzo pieno. London Wine Fair oscilla tra i 45 e i 70 euro, con possibilità di accesso gratuito per operatori registrati in anticipo.
La differenza è sostanziale e la domanda sorge spontanea: questo differenziale tariffario riflette proporzionali differenze di valore offerto? Non si tratta di stabilire chi abbia ragione, ma di chiedersi se questa sia la strada migliore per valorizzare il patrimonio vitivinicolo e l’offerta degli espositori presenti.
L’effetto boomerang sui produttori
I produttori, vero cuore pulsante della manifestazione, investono cifre importanti per presentare i frutti del proprio lavoro a Vinitaly. Oltre alle spese per lo stand, gli alloggi e la logistica, si trovano a dover affrontare un ulteriore ostacolo: il costo dei biglietti per i propri clienti.
È come se un ristorante dovesse pagare per far entrare i propri clienti, ci ha confidato con un sorriso amaro un produttore toscano. Con un prezzo di 54,90 euro per ciascun biglietto destinato agli ospiti, i produttori si vedono costretti a fare scelte selettive, limitando le presenze e di conseguenza le opportunità di business. Un controsenso per una fiera che dovrebbe facilitare, non ostacolare, l’incontro tra domanda e offerta.
Il lunedì di questa edizione ha mostrato corsie meno affollate del solito. Un segnale che potrebbe essere interpretato in molti modi, ma che merita attenzione da parte degli organizzatori.
Funzione didattica sacrificata: un’occasione mancata
Vinitaly dovrebbe essere, prima di tutto, un’aula magna del vino italiano. Un luogo di formazione, scoperta e crescita professionale per l’intero settore. L’elevato costo dei biglietti, tuttavia, rende questa funzione didattica quasi inaccessibile proprio a chi ne avrebbe più bisogno: i giovani professionisti della ristorazione e dell’ospitalità.
Nonostante gli sconti del 50% offerti alle varie federazioni dei sommelier, i prezzi rimangono proibitivi. Un biglietto scontato a 62,50 euro rappresenta comunque una barriera significativa, soprattutto se moltiplicato per più giorni o per più membri dello staff. Questa politica colpisce particolarmente i locali più piccoli e le nuove generazioni di professionisti.
“Formare il personale di sala sulla cultura del vino è fondamentale per il futuro della ristorazione italiana”, ci spiega un ristoratore veneto. “Vinitaly dovrebbe essere un’esperienza formativa imprescindibile, ma con questi prezzi diventa impossibile portare i ragazzi più giovani, proprio quelli che avrebbero più da imparare. Gli sconti alle associazioni non sono sufficienti, servirebbero politiche di prezzo specifiche per i giovani professionisti in formazione”.
La possibilità di degustare, confrontarsi e apprendere direttamente dai produttori rappresenta un’opportunità insostituibile per la crescita professionale. Qui non si tratta solo di business, ma di trasmissione di saperi, di passione, di cultura. Un patrimonio che rischia di rimanere confinato in una bolla sempre più esclusiva e sempre meno inclusiva.
Due modelli possibili per uscire dall’impasse
La situazione attuale sembra avvantaggiare principalmente un solo attore: l’organizzazione di Vinitaly. Mentre i produttori vedono ridursi le opportunità di business e il settore risente di un minore trasferimento di conoscenze, gli incassi della biglietteria continuano a crescere, eppure esistono alternative già sperimentate con successo in altre manifestazioni internazionali.
Il primo modello prevede una sensibile riduzione dei costi di partecipazione per i produttori, liberando così risorse che potrebbero essere investite nell’invitare clienti, distributori e operatori del settore. Questo approccio sposterebbe il focus dalla vendita dei biglietti alla creazione di valore per chi espone, con un effetto moltiplicatore sulle opportunità di business.
Il secondo modello, complementare al primo, consiste nel ripensare radicalmente la politica dei biglietti per gli invitati dei produttori. Un sistema di voucher o pass a costo contenuto da mettere a disposizione degli espositori, permetterebbe di riportare Vinitaly alla sua funzione originaria: facilitare l’incontro tra chi produce e chi commercializza o serve il vino.
“Attualmente paghiamo sia per esporre che per far entrare i nostri clienti”, lamenta un produttore piemontese. “È come se un negozio dovesse pagare l’affitto e poi anche una tassa su ogni cliente che varca la soglia. Qualcosa non torna in questa equazione”.
La formula attuale rischia di trasformare Vinitaly da strumento di promozione del vino italiano a operazione commerciale fine a sé stessa, dove l’obiettivo primario sembra essere l’incasso dalla biglietteria piuttosto che il successo dell’ecosistema vitivinicolo nazionale.
Un invito al confronto
Vendemmie, testata specializzata che si occupa di vino, è sempre dalla parte delle cantine e degli operatori. Il nostro è un invito aperto al confronto: produttori, consorzi, ristoratori, sommelier, importatori, giornalisti perché la vostra esperienza, il vostro punto di vista, sono fondamentali per arricchire il dibattito.
Come per un grande vino, il valore di una grande Fiera non è solo nel prezzo, ma nella capacità di creare connessioni, stimolare crescita, generare opportunità. E forse, proprio come per i migliori vini, la vera sfida è trovare quel punto di equilibrio in cui l’accessibilità non compromette l’eccellenza, ma la esalta. Il dibattito è aperto.