L’antico nome arabo del vulcano siciliano ha ispirato il lavoro e le etichette del vignaiolo di origine belga, artefice della rinascita di un territorio ricco e suggestivo. Ecco i metodi e la filosofia di un moderno pioniere
di Sara Comastri e Andrea Grignaffini
Frank Cornelissen è una delle figure di riferimento dell’area vitivinicola etnea, per la consolidata eccellenza della sua produzione e soprattutto per il ruolo di pioniere che ha rivestito, rivelandosi uno dei maggiori artefici della rinascita di una zona giacente nell’oblio agli inizi della sua avventura (2001) e ora fra le più celebrate e ambite nel panorama internazionale.
Un territorio unico, incantevole quanto ostico, dalle molteplici espressioni morfologiche, geologiche e climatiche, che il produttore belga ha inteso celebrare, e far emergere, in tutta la sua complessità e imprevedibilità, improntando l’attività nei vigneti e in cantina alla gestione di ogni manifestazione della natura con intento di assecondare e apprendere, piuttosto che di frapporsi e correggere.
La tendenza attuale alla categorizzazione, e all’apposizione di etichette, facilmente annovererebbe Cornelissen fra i produttori di vino “naturale”. In realtà, nella sua filosofia il rispetto della natura e il riconoscimento della sua supremazia, si esprimono come conformazione dell’attività umana ad ogni suo dono e capriccio, con uno spirito di adattamento che esclude la pedissequa applicazione di protocolli predefiniti. Vi sono naturalmente dei capisaldi, quali la non aratura del terreno, la biodiversità in vigna (alberi da frutto, cereali, apicoltura), l’astensione di base dall’utilizzo da fertilizzanti, diserbanti e altri trattamenti chimici, l’utilizzo di lieviti indigeni in fermentazione, ma non ci si è preclusi l’utilizzo di rame e zolfo per evitare la morte di numerose piante in annate difficili quali 2013 e 2015, così come si aumenta leggermente la quantità di anidride solforosa aggiunta se esigenze di stabilità del vino lo richiedono.
L’obiettivo di valorizzare al massimo la multiformità del territorio etneo ha condotto all’articolazione della gamma produttiva in una fascia base (Susucaru Rosso e Rosato, Munjebel Bianco e Munjebel Rosso “Classico”) e in una fascia alta espressiva delle peculiarità di singoli vigneti (solamente nelle annate migliori e con rese molto basse), con Munjebel Bianco Vigne Alte, undici Munjebel Rosso da singola vigna e Magma, il vino di punta dell’azienda. Tutti quanti vinificati e affinati in contenitori inermi (vetroresina e, ormai in via residuale, anfore vetrificate), al fine di preservare il più possibile l’impronta organolettica mutuata dal terroir.
Munjebel Bianco e Munjebel Bianco Vigne Alte hanno costituito, per Cornelissen, la vera sfida produttiva per una realtà ubicata sul versante nord del vulcano (storicamente vocato per i vitigni a bacca rossa), nonché occasione di continua sperimentazione, e adeguamento ad un obiettivo espressivo ridefinito in itinere. Sono nati come vini bianchi ottenuti da lunga macerazione a contatto con le bucce, con l’intento di conferire maggiore corpo, e rimediare alla tendenziale sottigliezza dei bianchi etnei, dovuta all’altitudine e alla significativa acidità dei vitigni tradizionali (Carricante in primis). Il tempo ha, però, rivelato una perdita di finezza ed eleganza che ha parzialmente snaturato l’impronta del luogo; di conseguenza, si è deciso di virare, a partire dall’annata 2015, verso una macerazione decisamente più breve (tre-quattro giorni), e ad una maturazione più lunga nella parte più fresca della cantina.
Una degustazione verticale di entrambi i vini ha rappresentato un’illuminante dimostrazione di come la grande variabilità dell’andamento stagionale delle diverse annate (di cui ancora il produttore si dichiara sorpreso), si traduca in altrettanta mutevolezza nel calice. Ma con denominatori comuni quali la vigorosa componente fresco – sapida che imprime grande allungo e persistenza al sorso, e la piacevolissima, misurata ruvidità data dal breve contatto con le bucce.
Munjebel Bianco “Classico” è ottenuto da uve Carricante e Grecanico Dorato in quantità paritaria, coltivate fra 620 e 750 metri di altitudine, a seguito di fermentazione spontanea e maturazione di circa 16 mesi in vasche di vetroresina da 1.500 a 4.500 litri.
L’annata 2018, caratterizzata da un’estate piovosa e fredda fonte di grande sofferenza per i rossi, si è invece rivelata ottimale per il bianco, cui ha donato un soave corredo di fiori gialli, camomilla ed erbe aromatiche, e una spiccata acidità di stampo agrumato, vitale e vibrante a centro bocca. Un 2019 decisamente più clemente, e meteorologicamente bilanciato, ha agevolato una compiuta espressione del frutto bianco e giallo, che si impone decisamente all’olfatto e al sorso unitamente al richiamo delle erbe tipiche del territorio (finocchietto su tutte), e ad una decisa salinità. Il 2020 ha elargito bel tempo fino ad oltre la vendemmia, con conseguente maturazione a puntino, regalando il vino più completo, equilibrato e strutturato, con esuberanti sentori di frutta tropicale, rosa e spezie, e un sorso potente e pieno, saporito e di grande persistenza. Il 2021 è stato siccitoso, le piogge sono arrivate all’ultimo momento ad aggiustare un rapporto fra zuccheri e acidità che ancora deve raggiungere un compiuto assestamento, risultando il vino ancora non pienamente disvelato nel bagaglio olfattivo, e bilanciato nello sviluppo gustativo.
Munjebel Bianco Vigne Alte è ottenuto da uve Grecanico Dorato (60%), Coda di Volpe (30%) e Carricante (10%), coltivate ad alberello e piede franco fra 920 e 1.000 metri di altitudine, su piante di età compresa fra 60 e 90 anni. La fermentazione è spontanea, e la maturazione è di circa 18 mesi in vasche di vetroresina da 1.500 a 2.500 litri, seguiti da circa 18 mesi in bottiglia.
In questo cru si esprime al meglio il connubio fra densità e scorrevolezza, struttura ed eleganza, con richiami più evidenti a marcatori tipici del territorio, quali la mela etnea e la famigerata mineralità declinata in sbuffi di cenere, iodio e sapidità di impronta salmastra. Il 2017, caldo e secco al punto giusto, ha consentito la raccolta delle uve dei cru nella fase lunare ottimale; ne è uscito il vino di punta dell’intera batteria, solare e materico nella grande concentrazione di mela, frutto giallo e tropicale, al contempo penetrante, dinamico e dal lunghissimo finale. Il 2019 ha rivelato un corredo imperniato su mela matura, mandarino e spezie piccanti, e un’acidità sorprendente per la sua capacità di vibrare in bocca, a supporto di un sorso corposo e pieno. Infine, il più giovane 2020 ancora riservato al naso, sentori di pompelmo e quasi boschivi di macchia mediterranea (liquirizia, finocchietto), e più deciso degli altri nella componente iodata e salina, con lievi note affumicate.
Munjebel è l’antico nome dell’Etna, di derivazione araba, e significa montagna: proprio di essa il vino trasmette la maestosità e l’imprevedibilità, in avvincente binomio con l’influsso carezzevole del vicino mare.

Andrea Grignaffini
Docente di enogastronomia, critico e gastronomo tra i più preparati del nostro tempo, da febbraio 2024 è il nuovo direttore editoriale di Vendemmie