Marco Mascellani: “Non sono un produttore, sognavo un vino che unisse sperimentazione e territori”

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Ogni anno un prodotto irripetibile: “Syn è la sintesi perfetta tra coesione e imprevedibilità, il piacere di rompere gli schemi e seguire il proprio istinto”

di Annalucia Galeone

La voglia di mettersi in gioco in nuove “vesti” e creare sinergie ha spinto Marco Mascellani, enologo e consulente per varie aziende sparse in giro per l’Italia, a lanciare un nuovo progetto di vino. “Syn” è un prefisso di parole composte derivate dal greco o formate modernamente, che indica unione, connessione, coesione, completamento, complessità, contemporaneità. Syn è prodotto in tiratura limitata, solo 915 bottiglie, da tre diverse varietà a bacca bianca provenienti da cantine di diverse regioni: grillo da Menhir a Bagnolo del Salento (Le), pecorino da Tenuta Tre Gemme Civitaquana (Pe), e verdicchio da Socci Castelplanio (An). Si tratta di un vino multiterritoriale la scelta di unire le uve in principio anziché i vini è uno degli elementi caratterizzanti. In questo modo, infatti, si ottiene un vino dal profilo organolettico affine e dalla struttura acida dominante. Abbiamo fatto con Marco Mascellani una chiacchierata per comprendere meglio questa originale idea e fare il punto sulla figura dell’enologo e della viticoltura in Italia tra vecchie e nuove mode.

Vivi in Puglia da molto tempo ma non sei un autoctono. È stata una scelta o ci sei capitato? Raccontaci la tua storia.

Diciamo che ci sono capitato consapevolmente ed ho deciso di rimanerci. Nel 2008 ho avuto l’opportunità di diventare l’enologo di Leone de Castris; avevo 26 anni e un trasferimento in Puglia per fare un’esperienza significativa di qualche anno mi sembrava una bella occasione. Con il passare del tempo poi, mi sono reso conto che quell’esperienza sarebbe diventata un trasferimento definitivo. Avevo messo radici. Nel 2018 ho poi deciso di intraprendere la professione del consulente e questo mi sta permettendo di lavorare in diverse regioni d’Italia, appagando tutta la mia voglia di esplorare e permettendo alle mie radici di rimanere in Puglia.

I fan del vino naturale sono in aumento, il vino naturale esiste o è solo un’invenzione?

Non mi piacciono molto i dibattiti polarizzanti ma non amo neanche le definizioni fuorvianti. L’aggettivo naturale al vino è stato attribuito con l’intento di far passare il messaggio che sia sinonimo di salubre. La natura, in realtà, se ne frega. Può essere sia buona che cattiva e l’unica funzione dell’acino d’uva è quella di proteggere il seme, indispensabile per il prosieguo della specie. Il vino è un prodotto dell’uomo che, semplicemente per il fatto di vendemmiare l’uva, interferisce con gli obiettivi naturali della vite. La conseguenza sarebbe che il vino naturale non esista, ma siccome non riesco a non considerare l’uomo come elemento del sistema natura, la questione si dirime affermando che tutti i vini sono naturali. Quindi, preferisco limitarmi a classificare i vini in buoni e meno buoni.

La domanda del vino dealcolato è in crescita, sempre più giovani lo preferiscono alla classica bottiglia e sempre più cantine lo propongono. Credi sia solo un escamotage per combattere il calo dei consumi?

È un concetto un po’ controverso perché, se da una parte abbiamo la percezione che il consumatore preferisca bere bevande no/low alcol, dall’altra abbiamo i dati della vendita degli spirits che risulterebbero essere in crescita. Allora credo sia una questione di accessibilità al prodotto: probabile che noi, operatori del settore nel mondo vino, abbiamo sbagliato qualcosa circa la comunicazione del prodotto negli ultimi anni, rendendolo troppo elitario e allontanando di conseguenza i giovani dal consumo. Gli stessi giovani trovano invece stimoli nel provare prodotti no/low alcol. Da un punto di vista di processo però ritengo che per quel che riguarda i low alcol (parzialmente dealcolati), in Italia abbiamo tanti territori e vitigni dove è possibile, impostando il lavoro già nel vigneto, ottenere prodotti a bassa gradazione alcolica in maniera naturale, evitando quindi l’operazione di dealcolazione, impattante anche da un punto di vista ambientale. I vini no alcol invece rappresentano una categoria di prodotto completamente diversa dal vino, sono di fatto bevande zuccherine che partono dalla materia prima vino. Come tanti altri prodotti ottenibili partendo dal vino, rappresenteranno una vera e propria industria che in seguito ad una domanda crescente è giusto che si sviluppi.

Quello dell’enologo è un lavoro in crisi?

Direi di no. Il mondo del vino sta sicuramente attraversando un momento difficile, e nei periodi di crisi bisogna sempre ripartire dalla conoscenza. L’enologo è indispensabile per aiutare le aziende vitivinicole ad uscire dall’impasse.

Caldo, salutismo e dazi in aumento. Il futuro del vino in Puglia e in Italia?

È un momento complesso perché la tendenza climatica spinge alcune produzioni della Puglia, ma non solo, verso l’ottenimento di vini più alcolici mentre il mercato, per svariate ragioni, va nella direzione opposta. Io credo che si possa lavorare per assecondare questo cambiamento senza snaturare le nostre produzioni. Sono convinto che, indipendentemente dalle gradazioni alcoliche, si possono produrre vini meno opulenti e più contemporanei, in grado di riflettere perfettamente il territorio e incontrare anche i nuovi stili di vita. Poi, nello specifico, la Puglia è pur sempre la terra del rosato. Abbiamo tutte le carte per uscire bene da questa fase.

Enologo dipendente, poi consulente e oggi per la prima volta vesti i panni del produttore e lanci “Syn” un vino tutto tuo. Raccontaci come è nata questa nuova avventura.

La definizione di “produttore” probabilmente non è quella più calzante. Il produttore di vino è un mestiere molto più complesso e per rispetto degli enormi sacrifici che ogni anno tutti i produttori compiono, preferirei non definirmi tale. La volontà di fare un vino tutto mio non c’è mai stata, c’è stata invece una forte volontà di fare un progetto con gli amici, semplicemente per il gusto di farlo. Mi piaceva l’idea di chiedere un piccolo contributo a produttori amici per realizzare un vino per puro piacere organolettico; un esercizio di stile insomma. Avevo voglia di rompere un po’ gli steccati, di uscire dagli schemi cercando di seguire il mio istinto uscendo fuori dagli incasellamenti dei disciplinari di produzione. Mi piaceva l’idea che ogni uva potesse apportare il proprio contributo per il vino che avevo in testa, pur avendo coscienza del fatto che lavorando in uvaggio (unendo le uve prima della vinificazione) ci sarebbe stata un’elevata quota di imprevedibilità del risultato finale.

“Syn” è un esperimento o segna l’inizio di un nuovo percorso?

Syn è un prefisso di parole composte derivate dal greco o formate modernamente, che indica unione, connessione, coesione, completamento, complessità, contemporaneità. Il nome è stata una naturale conseguenza di quello che il progetto rappresenta per me: mettere in connessione amici, produttori, vitigni e territori. Rappresenta quindi sicuramente l’inizio di un percorso che ci porterà ogni anno a produrre un vino irripetibile giocando con le infinite possibilità di vitigni e territori sparsi lungo lo stivale.

Rosso, bianco o rosato qual è la tua tipologia preferita?

Amo lasciarmi sorprendere da come cambiano i miei gusti in base al periodo che sto vivendo. Vale per il vino ma anche per tutte le cose che donano piacere alla vita: cibo, musica, letture. Ergo, dipende dal momento; Ora, ma esattamente in questo momento, ti rispondo bianco. Domani sarà qualcos’altro.

Immagine di Annalucia Galeone

Annalucia Galeone

Pugliese doc, golosa per natura, ama viaggiare, assaggiare e curiosare per conoscere nuovi territori, prodotti e produttori da raccontare. Giornalista, formatore, sommelier del vino e dell’olio, fa parte dell’Associazione delle Donne del vino.

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