Abbiamo chiesto a direttori di consorzio e produttori (italiani) di aree vitivinicole differenti, di farci il punto rispetto al problema della flavescenza dorata. In che modo è risolvibile? Le risorse messe a disposizione dalle istituzioni sono sufficienti?
di Giovanna Romeo
Il problema della flavescenza dorata della vite, malattia epidemica e fitopatia che sta assumendo i contorni del flagello produttivo ed economico per i viticoltori (la flavescenza è un fitoplasma che si trasmette attraverso un vettore che va da una pianta malata ad una sana e dunque va controllato con uno specifico monitoraggio e difesa), è al centro dell’interesse del ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare che ha recentemente convalidato l’istituzione di un fondo per i danni provocati. La Commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento a firma dell’onorevole Stefano Vaccari del Partito Democratico, che delibera l’istituzione di un fondo, presso il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, finalizzato alla sostituzione, tramite rimpiazzo o reimpianto, di piante di vite estirpate in vigneti colpiti dalla flavescenza dorata. Le risorse nazionali concesse tramite l’emendamento sono pari a 1,5 milioni di euro per il 2023 e 2 milioni per il 2024, minori rispetto a quanto previsto dalla proposta originaria di emendamento.
Di seguito le opinioni di produttori di aree vitivinicole diverse tra loro, per capire a che punto è lo stato delle manifestazioni da flavescenza dorata.
Per Pierluigi Donna, agronomo di Barone Pizzini (Studio Sata), le manifestazioni sintomatiche sono tendenzialmente immutate nel tempo se non per picchi di concentrazione che, in alcune zone, sembrano ricorrere con periodicità variabile attorno al lustro. Nella maggior parte dei vigneti la presenza di giallumi è segnalata con livelli medi attorno all’1% mentre i picchi puntiformi e periodici arrivano fino al 5%. Nessuna differenza tra bio e convenzionali. La difesa obbligatoria contro il vettore è un punto fermo anche se palesemente insufficiente in quanto necessiterebbe di una maggior sinergia tra azioni di carattere gestionale su pianta, vigna nel suo insieme e ambiente circostante. Punto fermo condiviso dev’essere l’estirpo tempestivo dei ceppi sintomatici. Poiché non si intravede una regressione della problematica, se ne deduce che le risorse attuali non siano sufficienti, se non altro in termini di formazione, confronto aperto tra strategie, apertura a nuove interpretazioni più ad ampio respiro.
Bernardo Guicciardini Calamai, presidente del Consorzio Morellino di Scansano DOCG, afferma che “la flavescenza dorata, per la serie ‘il nemico alle porte’, ha per il momento risparmiato il nostro territorio che è esente da questa fitopatia. Ci sono dei monitoraggi svolti dalla regione e sulla base di questi ultimi, si sono avviati cicli di trattamenti obbligatori disposti per assicurare il controllo del vettore – lo scafoideo -, insetto responsabile dell’eventuale trasmissione del fitoplasma”.
“Certo è – continua Guicciardini Calamai – che alcuni comuni toscani sono già interessati, e quindi non possiamo ignorare il rischio crescente. La prevenzione è fondamentale sia grazie a un monitoraggio attento, continuo e competente da parte degli uffici del servizio fitopatologico regionale, sia attraverso la lotta mediante utilizzo di insetticidi mirati a contenere l’insetto nel momento in cui ne venga rilevata la presenza. In questo momento oltre all’intervento chimico con i sistemi di lotta integrata non ci sono alternative, per questo l’attività di controllo va dunque potenziata al massimo onde evitare le conseguenze catastrofiche che questa fitopatia può determinare sull’intero comparto”.
Per Alessandro Perini, direttore della Cantine Romagnoli (Piacenza), “nell’ultimo anno abbiamo assistito ad una crescita esponenziale del problema di questa virosi in diversi vigneti della zona, con delle punte in aziende di colleghi molto alte, pari ad oltre il 50% di danno. Inutile aggiungere – sostiene – che salvo una veloce potatura a salvaguardia delle produzioni successive le piante risultano completamente danneggiate e non produttive. Nei miei vigneti di Barbera ho avuto un’incidenza pari al 20%, soprattutto nelle zone limitrofe ai boschi evidenza di quanto la biodiversità e la coltura biologica non possa in questo caso aiutare a risolvere il problema. La risoluzione è solo una: eliminare tempestivamente le piante danneggiate o con inizio di virosi e salvaguardia delle piante sane.”
“Al momento le risorse sono troppo limitate per affrontare, nel modo corretto, una malattia che nei prossimi anni prospetta di crescere esponenzialmente – continua Perini -. L’Europa deve ragionare molto seriamente sul problema e stanziare i fondi nel minor tempo possibile per permettere alle aziende di sostituire o eseguire interventi a lungo termine sulle piante o interi vigneti colpiti dalla malattia ed evitare così il proliferare dell’infezione. Una sola pianta malata può causare il crollo della produzione.”
Francesco Drusian, dell’omonima Azienda Agricola Drusian di Valdobbiadene (TV), riferisce: “Il problema della flavescenza dorata all’interno del territorio della DOCG Conegliano Valdobbiadene è molto serio, e varia di zona in zona, dove alcune aree sono più colpite di altre. A mio giudizio l’unica soluzione da prendere in considerazione consiste nel reintrodurre il clorpirifos metile, che consente di abbattere lo scafoideo. Altrimenti si rischia di continuare a ricorrere soluzioni palliative. Le risorse messe a disposizione non possono essere considerate sufficienti. Nel caso del nostro territorio, la mortalità maggiore delle piante si riscontra nelle zone più impervie. Per sostituire le viti, tutte le lavorazioni vanno fatte a mano con costi estremamente alti.”
Per Andrea Moser, enologo di Erste+Neue (Alto Adige) la flavescenza ha ancora un’incidenza marginale in Alto Adige probabilmente per una serie di fattori: “la posizione geografica con temperature tendenzialmente più rigide in inverno; una presenza inferiore del vettore e una maggiore diligenza nella difesa fitosanitaria. Si sta riscontrando inoltre, che lo Scaphoideus titanus potrebbe non essere l’unico vettore, ma soprattutto che quando l’ambiente microbiologico della pianta non è in equilibrio questa tende ad essere colpita in maniera più importante da flavescenza dorata e da altre patologie. I trattamenti non sono più l’unica soluzione: è probabile che in futuro si debba agire sia a livello di insieme, su un ecosistema spesso alterato, sia trovare nuove strategie di difesa verso nuovi possibili vettori.”
“Anche le risorse messe a disposizione sono utili, ma marginali per affrontare a dovere questo flagello – continua Andrea Moser -. La viticoltura italiana non soltanto crea un grande indotto per il nostro paese in termini di fatturato, ma anche di immagine. La flavescenza potrebbe danneggiarle entrambe in modo importante e definitivo.”
Foto copertina crediti: Bayer – cropscience