Il nuovo volto del Monferrato racconta le sfide della next gen sostiene le giovani colleghe e avverte: “Basta ossessionarsi con la Gen Z e il no-alcol, serve educare a un consumo consapevole”
di Camilla Rocca
Profondamente legata al Monferrato, considera la “next big thing” della scena vitivinicola piemontese. Dal 2021 gestisce la Cantina Castello di Uviglie, azienda storica situata a Rosignano Monferrato, nella core zone UNESCO. Grazie a esperienze di vita, studio e lavoro a Milano, Shanghai, San Francisco e New York porta una visione internazionale in cantina, si occupa di vendite, marketing e strategia di comunicazione. Nel 2020 Francesca Bonzano ha contribuito alla nascita del portale Gran Monferrato, dedicato alla promozione delle aree del Monferrato Casalese, Ovadese e Acquese, Derthona e Gavi.
Nel 2024 ha co-fondato l’Associazione Sbarbatelle, che riunisce le produttrici di vino italiane under 40. In pochi mesi la rete ha superato le 90 socie e creato una rete di oltre 200 giovani donne, con l’obiettivo di promuovere pari opportunità, crescita imprenditoriale e nuove occasioni commerciali nel mondo del vino.
Che cos’è la next generation nel mondo del vino?
È un cambio di passo. Non è solo una questione anagrafica, ma di approccio: visione imprenditoriale, cultura internazionale, attenzione al branding, al marketing e alla comunicazione di una sostenibilità vera, senza cliché, trasparente. Un esempio concreto per me? La creazione dell’Associazione Sbarbatelle (ce ne sono tantissime anche in Proposta Vini), che dà spazio e voce alle donne del vino under-40. L’abbiamo pensata per generare confronto fresco, visibilità e alleanza tra chi ha voglia di portare valore al settore partendo da sé stessa.
Perché è un tema così forte in questo momento?
Perché tante aziende familiari stanno affrontando un passaggio critico tra passato e futuro. Il mondo del vino è sotto pressione: mercati saturi, concorrenza globale, consumatori più consapevoli, dazi, crisi. È il momento di trovare soluzioni nuove e oggi mi è sempre più chiaro che fare rete con realtà affini per visione e valori può letteralmente salvarci la vita… e il fatturato.
Serve fare squadra tra nuove leve per eliminare i campanilismi e impostare obiettivi condivisi. I tempi del vignaiolo self-made man sono finiti, o quantomeno non replicabili con le stesse dinamiche di un tempo. Inoltre, noi Millennial siamo costretti a porci domande che i nostri genitori spesso non avevano nemmeno bisogno di considerare: su modello di business, sostenibilità, identità, distribuzione, etc.
A proposito di nuove generazioni: basta con l’ossessione per la Gen Z! Non è ancora un target solido. A vent’anni nemmeno noi avevamo i mezzi per essere consumatori appetibili.
Se parliamo di calo dei consumi, il punto non è solo inseguire il trend dell’alcol-free, ma educare a un consumo consapevole e di qualità.
Sostenibilità nel vino: importa davvero per la Next generation?
Con coerenza e formazione sì. Non basta dire “naturale” o mettere i bollini delle certificazioni, serve una visione d’insieme su vigneto, persone, azienda. Per noi di Castello di Uviglie sostenibilità è anche costruire un’impresa economicamente sana, che possa resistere nel tempo.
Per questo abbiamo scelto, oltre alla SQNPI, la Equalitas: una certificazione seria, integrata e che costa! Proprio per questo va spiegata meglio. È una delle poche che guarda davvero a tutti gli aspetti, ambientali ma anche etici e sociali.
Quanto è importante avere oggi in azienda un volto che racconti il brand?
È fondamentale. Il mio ruolo è diventato quello di una brand ambassador. Chi rappresenta l’azienda deve conoscerla tutta, dentro e fuori, e avere la visione d’insieme per costruire uno storytelling solido.
I ruoli che qualcuno considera ancora “da donna” (o peggio, “da figlia o moglie di”) – commerciale, accoglienza, comunicazione – sono tra i più tosti. Ci metti la faccia anche quando sei a pezzi.
Detto questo: io ho due lauree in economia e zero in enologia. In cantina c’è un’enologa giovane e ho un consulente di riferimento. In vigna, invece, ci va mio cugino Davide, che è un bravissimo agronomo e ne sa il triplo di me.

Possiamo dire che tu sei il volto della Next generation della tua cantina?
Possiamo dirlo, sì. Gestisco comunicazione, export e strategia. Sto costruendo una nuova fase per un’azienda storica, appartenuta a famiglie importanti ben prima che fosse acquisita da noi Bonzano.
Non voglio solo rappresentare “le giovani” – anche se con Sbarbatelle lo faccio con piacere e orgoglio – voglio far crescere Castello di Uviglie oltre ogni mia immaginazione.
Ho una fame incredibile. Sono pronta a consumarmi le scarpe, a tenere sempre un occhio sul benessere delle persone con cui collaboro e a mettermi costantemente in discussione.
Sono la prima di tre sorelle e otto cugini: prendermi responsabilità è sempre stato il mio modo di fare la differenza.
C’è stato qualche scontro generazionale da quando sei entrata in azienda?
Sì, soprattutto sul ritmo. Per carattere tendo ad accelerare, ma il vino e l’organizzazione hanno i loro tempi. L’equilibrio tra urgenza e lentezza è una sfida costante.
E poi c’è la questione famiglia: lavorare con genitori, zii, cugini… non è semplice. Serve porre dei confini chiari tra il piano personale e quello professionale.
Ho avuto la fortuna che i miei abbiano saputo vedere il buono, anche quando io stessa non lo vedevo, travolta dai miei modi, a tratti arroganti, dettati dall’inesperienza.
Oggi lavoriamo in sinergia e con stima anche durante difficoltà ed errori, ma ci sono voluti, e ci vogliono, tanti mal di pancia. In questi cinque anni in azienda sono cresciuta moltissimo.
Cosa vorresti dire agli altri vignaioli?
Che dovremmo iniziare a trattare le nostre PMI come vere imprese, ispirandoci a modelli organizzativi strutturati. Non basta produrre bene: serve costruire una squadra solida, segmentare i reparti, farli dialogare, fissare obiettivi chiari per tutti. Il vino non si vende da solo. Servono metodo, visione e un team affiatato.
La cosa che avrei voluto imparare subito io? Delegare, dare e ricevere feedback costruttivi, ispirare ogni giorno chi lavora con me. Il detto “it’s lonely at the top” non deve diventare un mantra. Io, nel mio piccolo, voglio provare a sradicarlo.
Sei mai stata sottovalutata in quanto giovane e donna? In Italia e all’estero?
Sì, in Italia più spesso. All’estero, se sei preparata e coerente, contano il progetto e come lo racconti. Ma anche lì la diffidenza c’è, solo più sottile.
Non sono femminista per ideologia e ogni giorno lavoro per guadagnarmi rispetto e spazio. Le esperienze difficili non mi definiscono, ma mi insegnano a rispondere meglio, con più lucidità e prontezza.
Non ho più fretta di sapere tutto: faccio molte domande e mi piace ascoltare davvero le risposte.
Parallelamente, investo in terapia, in corsi di comunicazione efficace e nello studio continuo del prodotto e del mercato…più di quanto abbia mai studiato all’università, onestamente!
Qual è il vino che rappresenta di più la Next Generation della tua cantina?
Albarossa (“1491”). Ibrida, difficile da raccontare, fuori dagli schemi. Profonda, fresca, con personalità. Non somiglia a nessun altro vitigno, e io mi ci rivedo, nei lati positivi e in quelli più spigolosi. Il nostro 1491 è un vino che non cerca di piacere a tutti, ma conquista chi ha voglia di scoprirlo.
Nel Grignolino (“San Bastiano”), invece, ci vedo mio cugino Davide: nobile d’animo, ribelle di spirito, sfaccettato e complesso (nel migliore dei sensi). Proprio come lui.

Camilla Rocca
Una passione per il mondo del vino che parte dalle origini, si è allargata all’enoturismo e ai racconti delle persone, di quei volti, quelle mani, delle storie che sono dietro alla vigna