Il conflitto tra politica e scienza: il Consiglio dei Ministri ha votato una norma contro l’installazione selvaggia a terra. Effettuati studi e ricerche anche sui vigneti con risultati negativi, ma insufficienti
di Paolo Caruso
In questi giorni in sede di CdM è stata votata una norma che, a detta del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, “pone fine all’installazione selvaggia di fotovoltaico a terra”. Questo provvedimento è stato particolarmente travagliato ed ha avuto il via libera solo dopo uno scontro che ha visto contrapposti i ministri Lollobrigida (Agricoltura) e Pichetto (Energia), con il secondo a favore di una di una normativa meno stringente sull’argomento fotovoltaico.
Pare che invece sia stato trovato un accordo sull’installazione di impianti agrovoltaici, ovvero pannelli montati su strutture sopraelevate che consentono, o consentirebbero, la prosecuzione dell’attività agricola al di sotto di essi, mentre “le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non ritenute idonee all’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”.
Al netto delle prerogative dei due ministri, ci si chiede su quali basi scientifiche i responsabili dei due dicasteri fondino le proprie ragioni, perché la verità è che neanche la scienza (che si pone o si dovrebbe porre come giudice definitivo di controversie aventi per oggetto materie tecniche), si è ancora espressa compiutamente su questo argomento.
Ne è testimonianza la recentissima pubblicazione “Agrivoltaics, a promising new tool for electricity and food production: a systematic review” (Widmer et al., 2024)”, una review che prende in esame decine di studi sul tema. La ricerca premette che il numero di colture su cui sono stati insediati impianti agrovoltaici e che sono stati oggetto di accurati approfondimenti scientifici, è insufficiente e che la maggior parte delle ricerche sull’argomento sono state realizzate esaminando coltivazioni di lattuga e pomodoro…
Ma scorrendo la pubblicazione si registrano dati contrastanti per quasi tutte le colture prese in esame, sintomo di una ricerca scientifica sull’argomento che deve essere ancora perfezionata e implementata. Ad esempio, sono quasi inesistenti i dati sulle piante da frutto: in questa review viene citato soltanto uno studio che riguarda l’interazione impianti fotovoltaici/vigneti.
La ricerca dal titolo “Effect of shading determined by photovoltaic panels installed above the vines on the performance” of cv. Corvina (Vitis vinifera L.) (Ferrara, 2023), esamina il rapporto tra pannelli fotovoltaici e vigneti durante un triennio di sperimentazioni, condotte in un’azienda del Nord Italia. In questo caso i risultati mostrano che la produzione è stata sistematicamente e negativamente condizionata dalla presenza dei pannelli agrivoltaici, che hanno causato una significativa diminuzione della resa soprattutto negli ultimi 2 anni di coltivazione. Un’ulteriore dimostrazione di come ancora la scienza, a causa della ridotta disponibilità di dati, non è in grado di fornire risposte esaustive.
Ci sono aspetti, come per esempio le ricadute sulla biodiversità e la deturpazione del paesaggio causata dall’installazione di questi impianti, che non vengono presi in considerazione da nessuno studio scientifico. Eppure in un panorama come quello italiano, dalla bellezza paesaggistica unica condita dalla presenza di una biodiversità straordinaria, è una questione particolarmente delicata.
Sono tutti elementi che contribuiscono ad infervorare il dibattito nel nostro Paese. I sostenitori della realizzazione degli impianti su terreni agricoli si fanno forti della condizione che, per soddisfare il fabbisogno nazionale di energia, occorrere impiegare circa 10.000 ettari equivalenti allo 0.6% sul totale del terreno agricolo nazionale. Una percentuale oggettivamente minima.
Messa in questi termini la vicenda non meriterebbe nessun approfondimento, potremmo serenamente rinunciare a una porzione esigua dei nostri terreni e non avere nessun problema di approvvigionamento energetico, Ma recenti report di Reuters, National Geografic e McKinsey smentiscono categoricamente questa vulgata.
Secondo il rapporto di McKinsey & Company, ad esempio, chi realizza questi impianti è costretto a ricercare, rapidamente e costantemente, nuovi terreni, a causa dell’attuale ridotta disponibilità di terreni idonei allo scopo, convenienti economicamente.
L’ analisi di Reuters, “Insight: As solar capacity grows, some of America’s most productive farmland is at risk”, realizzata utilizzando una imponente quantità di dati, ha sostanzialmente confermato questa tesi, evidenziando che il boom delle energie rinnovabili, tra cui il fotovoltaico, rischia di danneggiare alcuni dei suoli agricoli più fertili degli Stati Uniti.
Mentre il National Geographic con l’articolo “Why soil matters (and what we can do to save it)” afferma perentoriamente che “[…] ci vogliono migliaia di anni per creare un centimetro di terriccio fertile che può essere distrutto in pochi minuti”.
Considerato questo minimo fabbisogno di spazio, ci si chiede perché prima di occupare i terreni agricoli non si prendono in considerazione, come superfici utili, i tetti, le aree industriali, i parcheggi, le aree dismesse, le aree contigue alla rete autostradale?
No: per una pletora di ingegneri ambientali, agronomi, mediatori immobiliari, lobbisti e altre figure professionali, bisogna utilizzare i terreni agricoli! Sembra quasi un imperativo categorico. Le economie di scala e i risparmi sui costi di impianto lo impongono. E non si fa distinzione tra terreni fertili e terreni marginali, anzi.
Siamo diretti testimoni di un’occupazione indiscriminata di terreni fertili con pannelli a terra, nonostante di agrivoltaico in Sicilia non se ne veda ancora traccia. Posto che gli agricoltori, piegati da esasperazione e difficoltà economiche, non possono certo essere criticati per le loro eventuali scelte, colpisce la leggerezza con cui si spiana la strada all’abdicazione della produzione alimentare nel suo luogo di elezione naturale, ovvero i terreni agricoli: un bene infungibile.
Quello che temiamo è che l’agrivoltaico sia solo un altro grimaldello utilizzato per sostituire definitivamente l’attività agricola. Il risultato più eclatante di questa strategia sarebbe la completa dipendenza da paesi esteri o laboratori per il nostro approvvigionamento di cibo. Non siamo così ottusi da non riconoscere che l’adozione di fonti energetiche rinnovabili è cruciale per affrontare le sfide ambientali, ma non si possono trascurare, sicurezza alimentare, presidio del territorio, tutela del paesaggio e della biodiversità, erosione demografica.
È quanto mai necessario adottare una strategia equilibrata che tenga conto delle esigenze energetiche e alimentari, evitando di sacrificare l’una per l’altra. La scienza può fornire informazioni cruciali per il decisore, a condizione che vengano adeguatamente considerati il contesto locale e le esigenze della comunità agricola, ma in ogni caso occorrerebbe sempre ricordare che la sicurezza alimentare è il pilastro della libertà di ognuno di noi. Non dimentichiamolo, anche se questo parametro non sembra rientrare nel bilancio di molti. Purtroppo.
Paolo Caruso
Creatore del progetto di comunicazione "Foodiverso" (Instagram, LinkedIn, Facebook), Paolo Caruso è agronomo, consulente per il "Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente" dell'Università di Catania e consulente di numerose aziende agroalimentari. È considerato uno dei maggiori esperti di agrobiodiversità