Il nuovo vino di Filicudi: è la grande sfida di Gabriele Ramacciani

Tempo di lettura: 4 minuti

Dalla terra incolta alla prima vendemmia: il coraggio e la dedizione di un uomo che prova a riportare un’antica tradizione sull’isola delle Eolie

di Titti Casiello

Non ha vita facile un solista. Facesse parte di un’orchestra la cosa sarebbe più semplice. Il successo è di tutti, la sconfitta è equamente ripartita. Ma per il solista no. 

Bella responsabilità allora per Gabriele Ramacciani che ha deciso di esserlo. Battitore singolo in quel di Filicudi, unico fra gli unici, o comunque unico fra i 250 residenti di una delle più piccole isole delle Eolie, che ha deciso di fare il primo vino prodotto interamente sull’isola.

Filicudi, arrivando dalla Sicilia, è la seconda che si incontra, dopo Alicudi. Pare un coccodrillo che sonnecchia disteso, con due montagne unite da una lingua di terra bassa. Una, la testa, è il monte Fossa delle Felci, l’altra, la pancia, è Capo Graziano, ma sull’isola ci sono sette vulcani in totale, anche se dal mare non si vedono.

Così l’aliscafo arriva lento, con le corde che si distendono sulle acque del Porto che non ha un vero nome omen, si chiama solo porto, a differenza dell’altro, il più piccolo, situato sul lato opposto dell’isola, che si chiama, invece, Pecorini. Pochi ristoranti, qualche affittacamere e sparuti comfort vacanzieri, una sola strada asfaltata ad attraversarla e un paio di mulattiere estranee al turismo pigro di massa.

A segnare l’orografia dell’isola, in appena quindici chilometri di estensione complessiva, una fitta opera di terrazzamenti che ricordano come a un tempo dovessero esserci tracce di una comunità agricola attiva, arrivando a contare quindici contrade, in quella che sembrerebbe un’ordinata opera di zonazione.

Tra queste, in Località Fossa Liscio, scendendo di qualche tornante dal porto di Pecorini, Gabriele ha ereditato un terreno di cinque ettari che sua nonna gli aveva lasciato “era incolto dagli anni ’20, utilizzato a lungo come pascolo per gli animali, ma nessuno lì comunque aveva mai pensato di farci una vigna” dice Gabriele.

Lui però era convinto che sotto tutti quegli alberi, fichi d’india ed erbacce ci fosse terreno fertile per l’agricoltura. E in pieno Covid, nel 2020, inizia un’opera da folli “il lavoro è stato duro abbiamo dovuto estirpare le pianti infestanti, salvaguardare le altre e mettere a coltura il terreno seminando”. Tutto a mano, qui a stento ci passa una piccola motozappa “ma ero certo che la vite potesse dare i suoi frutti. Prima della filossera si era sempre prodotto vino a Filicudi”.

Quel parassita violento che, alla fine dell’800, aveva soppiantato tante, forse tutte le viti europee che non erano state in grado di debellarlo. E se Salina, sugli inizi degli anni ‘70 è riuscita a risorgere con la sua Doc più famosa, la Malvasia delle Lipari, ad Alicudi e Filicudi era rimasto, invece, solo il vanto di un ricordo del passato, assistendo ad un esodo di massa dei tanti filicudari ora in giro per il mondo e prevalentemente in Australia.

Per il vero, però, neanche Gabriele è nato in questa terra, originario della Tuscia ed emigrante in Belgio per diversi anni dove svolgeva tutt’altro lavoro, dell’odore del mare ne ha sempre sentito, però, il richiamo viscerale.

Alle spalle già cinque anni di conduzione agricola, con l’azienda che gestisce insieme alla sua compagna Alessandra Acampora, nel cuore dei Colli Etruschi viterbesi, a Grotte Santo Stefano. I due qui allevano Sangiovese, Moscato Bianco e altri autoctoni della zona e i vini sono molto buoni, sintesi di schiettezza e autenticità. “La vigna di Filicudi rappresenta una nuova costola dell’azienda agricola Ramacciani, si staglia sulle coste del Mediterraneo, ma nasce sempre dalla stessa motivazione: Il vino per me è natura, forza, richiamo della terra”.

Così da un solo ettaro prova a ricostruire l’ultima istantanea dell’isola prima che arrivasse il nulla agricolo. Trentuno terrazzamenti per tremila barbatelle di Malvasia che si fa una fatica, a salire e scendere su quei ripidi pendii, solo a guardarli dall’alto. Tutto intorno il bosco a proteggere questo micro-fazzoletto di viti a strapiombo sul mare; ovunque c’è luce, vento, energia di una terra vulcanica e pulsante.

E oggi, dopo tre anni di faticoso lavoro, con i conigli che ci hanno messo la loro buona dose nel procrastinare la crescita delle barbatelle “abbiamo dovuto anche mettere delle gabbie intorno alle viti per proteggerle”, a fine agosto ci sarà la prima vendemmia.

Il raccolto non darà molto, con la siccità che quest’anno ha strozzato la crescita di tante viti “speriamo in poco più di 1500 bottiglie” sul cui nome c’è ancora tempo per pensare “ma sicuramente sarà ispirato all’isola e alle sue origini”.

Immagine di Titti Casiello

Titti Casiello

Classe ’84, avvocato. Dopo una formazione all’AIS Milano, è diventata giornalista pubblicista e oggi collabora con alcune riviste e guide di settore.

Facebook
Twitter
LinkedIn
TS Poll - Loading poll ...