Alla Colombera, tra le colline che circondano Tortona, la regina del nuovo grande bianco piemontese svela i segreti di un successo tutt’altro che casuale: “Il nostro è un progetto collettivo, costruito con conoscenza, pazienza e radici profonde nella terra”
di Francesco Annibali
È enologa e allieva del luminare Attilio Scienza, fa parte dei giovani viticoltori dei Colli Tortonesi che negli anni ’90 si mettono in testa l’obiettivo pionieristico di recuperare il Timorasso.
Stiamo parlando di Elisa Semino, esperta di questo vitigno complesso in vigna e di straordinaria espressione in bottiglia, trascurato in passato per la poca adattabilità climatica e quasi del tutto abbandonato.
Assieme a papà Piercarlo e al fratello Lorenzo, Elisa ha da subito creduto nelle enormi potenzialità di questa uva dal corredo organolettico sorprendente.
La prima vendemmia di Timorasso alla Colombera risale al 1997; la prima bottiglia è in commercio con l’etichetta Derthona nel 2000 con la quale comincia una lunga storia.
Derthona, il primo Timorasso
Il Timorasso che Elisa definisce “classico” si chiama Derthona, un appellativo che lega il vino al territorio da cui proviene attraverso il nome antico della città di Tortona. Dopo un approfondito studio ampelografico, andando alla ricerca delle piante madri nelle vigne storiche di Timorasso, La Colombera identifica i luoghi dove coltivare selezioni diverse di barbatelle di Timorasso. Il Derthona, il primo Timorasso de La Colombera, è un blend di uve di questo vitigno proveniente da uve selezionate di diversi vigneti a Vho, Cascina Macchetta e Sarezzano.
La custodia del territorio: questione di famiglia
Della parte agricola e meccanica si occupano Piercarlo, il papà di Elisa, e suo fratello Lorenzo. Campione di snowboard della Nazionale Italiana lascia gli sci e la montagna per seguire la sorella nell’avventura dell’azienda vitivinicola.
Tutta la famiglia interpreta la vigna come “patrimonio”: il riguardo per l’agricoltura e il valore della terra risale alle origini della Colombera, nel 1937, quando Pietro e Maria, i bisnonni, prendono in affitto la cascina sulle colline di Vho. La terra è coltivata a grano, ceci, erba medica, fino a dopo la guerra, quando Renato sopravvissuto al conflitto bellico sposa Giuliana e con la nascita del figlio Piercarlo, e l’acquisto del primo trattore, impianta i vigneti.
Sono gli anni in cui la cascina vive di un’economia propria: polli, galline, tacchini, un vitello, una mucca, grano per la farina, uova, latte, e qualche filare di vigneto per il consumo della famiglia.
Durante il boom economico, la parte a vigneto si amplia, ma l’anima cerealicola della Cascina resta predominante fino agli anni ‘80 quando Piercarlo decide di non conferire più le uve, ma di vinificarle e imbottigliare il proprio vino.
L’azienda è oggi condotta ad agricoltura organica non certificata, nel rispetto dell’ecosistema in cui è inserita. In vigneto si usano solo verderame e zolfo. Non è previsto nessun diserbante: si prediligono scelte manuali per tutte le attività nel vigneto, dalla potatura alla raccolta, e si applica una politica di massima sostenibilità e tutela del suolo, dell’uva prodotta e per la conservazione della pianta.
In cantina è prevista solo solforosa aggiunta prima dell’imbottigliamento.
L’attenzione al territorio, l’etica nel vigneto, la meticolosità in cantina, un uso attento e strategico della comunicazione: c’è una profonda e continua ricerca a La Colombera. La famiglia Semino è stata tra i precursori nel Tortonese per l’uso di alcune tecniche agricole migliori e tecnologie avanzate azzerando l’uso di prodotti di sintesi e avviando un percorso che unisce la conoscenza delle singole parcelle e la scienza in cantina all’esperienza nei campi.
L’azienda agricola
Oltre ai 30 ettari di vigneto – 15 a Vho, 11 a Sarezzano e 4 a Cascina Macchetta – l’azienda è composta da altri 50 destinati principalmente alla coltivazione di ceci e grano, oltre a circa 5 ettari di frutteti ciliegi, albicocchi, prugni e peschi da cui ogni anno si producono le pesche di Volpedo sciroppate “La Colombera” e marmellate che sono direttamente vendute in cantina.
L’azienda produce anche farina di ceci di alta qualità, ingrediente principale della speciale ricetta della farinata fatta da Piercarlo che si può degustare in cantina l’8 dicembre.
I Terreni di Vho, porta del Piemonte
La Colombera si trova all’interno della denominazione dei Colli Tortonesi, a Vho, frazione di Tortona sulle prime colline che si alzano dalla Pianura Padana. Il paesaggio è quello dolce dei filari intercalati dalle rose, delle valli strette che si inerpicano fino al vicino appennino, dei filari di peschi e ciliegie, dei boschi di acacie e castagni, dei campi di ceci e grano.
Sulla costa della collina spicca la Cascina La Colombera, proprietà dell’azienda agricola di Elisa, Lorenzo e Piercarlo Semino.
I suoli: Tortona e il Tortoniano, dove comincia il grande Piemonte
Geologicamente, il territorio si trova all’interno del Bacino Terziario del Piemonte, rappresentato dai “Calcari dei Zebedassi” (Cretacico – Paleocene) fino ad arrivare al margine collinare degli Epiliguri (Eocene superiore – Tortoniano)
La tipologia di suolo de La Colombera è caratterizzata da tessiture franche argillose e da alternanza tra strati di arenaria e marne.
I filari godono di esposizioni uniche, in posizione acclive e sensibili all’erosione superficiale, data la finezza delle particelle ed alla bassa fertilità generale.
Questa terra geologicamente antica, costituita dai sassi bianchi del Tortoniano, lo stesso suolo delle Langhe, conferisce caratteristiche inimitabili alle uve che l’azienda coltiva da oltre 60 anni: Barbera, Croatina, Cortese e gli autoctoni Nibiö e Timorasso.
Elisa, ci descrive le principali caratteristiche del Timorasso in vigna?
Il Timorasso è un bianco complesso in vigna: germoglia presto, fiorisce a metà stagione e matura tardi. In passato era stato abbandonato a favore di varietà più produttive, ma il cambiamento climatico ha in parte modificato il suo comportamento: le temperature più alte e le estati più asciutte riducono la pressione delle malattie fungine, così l’uva arriva a maturazione con grappoli generalmente più sani e compatti. La gestione della chioma resta cruciale: defogliazioni mirate nella zona grappolo e cimature leggere migliorano l’aerazione evitando di scottare gli acini. La sanità del grappolo resta però un punto delicato, perché il vitigno è sensibile a peronospora e oidio, e può sviluppare botrite nelle annate più umide.
Il Timorasso dà il meglio su marne calcareo-argillose, come a Vho, dove ha sede La Colombera: suoli che garantiscono drenaggio e al tempo stesso riserve idriche profonde. L’allevamento è a Guyot. A maturità fisiologica l’uva mostra pH moderati, acidità totale stabile, una buccia ricca di composti fenolici e una polpa con buon tenore di precursori aromatici.
E in cantina?
In cantina si tratta di un’uva che vuole attenzione, non ama la fretta e premia le estrazioni delicate. Noi alla Colombera prediligiamo una vinificazione tradizionale, in acciaio per il Montino. La pressatura è soffice con rese mosto/uva contenute per preservare i precursori aromatici e limitare l’amaro. La fermentazione avviene in acciaio tra 16 e 18 °C con lieviti autoctoni; la malolattica si evita per mantenere l’acidità viva. L’affinamento sulle fecce fini integra la componente fenolica e aumenta il volume tattile. Si ricorre alla stabilizzazione a freddo e a una gestione parsimoniosa della SO₂, spesso concentrata al pre-imbottigliamento. All’uscita il Timorasso esprime agrumi maturi, pesca, erbe officinali e una vena spiccata sapida, quasi salata; con l’evoluzione compaiono miele, cera d’api e note di idrocarburo, su una struttura gustativa minerale con una leggera presa tannica che rende il Timorasso un bianco “masticabile”.
Il Timorasso nel giro di pochi anni è passato da curiosità per enofili a uno dei bianchi italiani di maggiore potenziale. Come avete fatto e quali sono le vostre idee per il futuro?
Il salto non è stato un colpo di fortuna, ma un progetto collettivo. L’idea di recupero del Timorasso lanciata da Walter Massa ha acceso una miccia: un gruppo di produttori ha capito che il territorio non poteva essere raccontato con Cortese e Barbera, uve nobili ma iconiche altrove. Serviva un vitigno bandiera. Nel Timorasso abbiamo trovato identità. Da lì, i lavori in vigneto e in cantina senza scorciatoie hanno valorizzato prima l’uva e poi il vino. Come denominazione, abbiamo spinto su qualità e riconoscibilità, evitando la tentazione di imitare modelli esterni. Risultato: il Timorasso è passato dalla curiosità a riferimento credibile, perché non somiglia a nessun altro.
Per il futuro il lavoro dovrà continuare su accoglienza e informazione sul vino: vuol dire investire in ospitalità e raccontare in prima persona (anche nei nuovi mercati), perché chi approccia il Timorasso deve capire con il bicchiere in mano cosa rende speciale questo vino.
Personalmente nutro dei dubbi sulla necessità della tipologia “Riserva”. Non sarebbe forse più appropriato, per le selezioni, insistere sulla indicazione in etichetta delle vigne di maggior pregio?
Il rinascimento del Timorasso è partito proprio per raccontare luogo e suolo. Oggi infatti racconta in modo distintivo i Colli Tortonesi. Alla Colombera abbiamo scelto di piantare e vinificare pensando ai terreni e all’uva: a Vho, l’area più storica, le argille con venature calcaree danno vini di grande struttura ed eleganza; a Sarezzano, nei vigneti più recenti, i suoli calcarei e tufacei spingono verticalità, sapidità e una mineralità nitida. Questo dialogo tra suoli lo si ritrova nel nostro Derthona, che sintetizza territorialità, freschezza e sapidità. Per le selezioni, però, indichiamo la vigna: “Montino”, impiantata nel 1997, è la nostra parcella storica; “Santacroce”, messa a dimora nel 2017, nasce proprio per mostrare come il Timorasso cambi volto in base al terreno. E proprio perché la vigna spinge in freschezza e mineralità ci è venuto facile pensare alla vinificazione in parte in legno grande.
Il vino
Colli Tortonesi Derthona Timorasso 2024 – La Colombera
Giallo senape da subito, aperto, estremamente comunicativo con curcuma e alloro su fondo di pesca, al palato è corposo ma fibroso, non avvolgente, con un finale asciutto e profumato di resine, albicocca, incenso. Nordico al naso, mediterraneo al palato. Un piccolo capolavoro.