di Nello Gatti
Il suo approccio è preciso e talvolta in contrasto con i canoni che vedono in affanno la metamorfosi della comunicazione del vino: è Priscilla Hennekam, brasiliana d’origine e australiana d’adozione, che col suo “Transforming the Way Wine Speaks and Driving Innovation Forward” sta segnando un punto di svolta verso una nuova community di professionisti al servizio della narrativa che ruota attorno al calice.
Come definiresti lo stato attuale della comunicazione sul vino? Quali sono le principali sfide che l’industria deve affrontare per raggiungere i consumatori oggi?
La comunicazione sul vino oggi è frammentata e ancora ancorata alla tradizione. Spesso si rivolge agli addetti ai lavori piuttosto che al pubblico a cui dovremmo cercare di arrivare. Il focus è ancora sui dettagli tecnici (terroir, punteggi, e gergo) che allontanano i consumatori occasionali. Facendo così, stiamo cercando di educarle a modo nostro, invece di mostrare loro come il vino si inserisce nel loro. Molti marchi di vino fanno fatica a creare un legame emotivo con il loro pubblico, trattando il vino come un prodotto piuttosto che un’esperienza condivisa.
I cambiamenti nello stile di vita e nelle preferenze dei consumatori hanno avuto un impatto su molte industrie. Quali sono, secondo te, i cambiamenti più significativi su come oggi le persone consumano e percepiscono il vino rispetto, ad esempio, a dieci anni fa?
Dieci anni fa, il vino era spesso visto come uno status symbol, prevalentemente legato al prestigio. Si parlava di denominazioni, punteggi e esclusività. Oggi, il vino è parte di uno stile di vita più ampio, meno formale, più inclusivo e centrato sulle esperienze personali. Rispetto a dieci anni fa, i consumatori sono meno interessati alle questioni tecniche e più alle storie e alla trasparenza delle informazioni. Vogliono sentire una connessione con il vino che bevono, da chi lo ha prodotto a cosa rappresenta. L’industria ha anche visto un cambiamento importante su come il vino viene ricercato e acquistato. I social media, le comunità sia online che offline e i modelli diretti al consumatore hanno sconvolto i canali tradizionali.
Dieci anni fa il mondo del vino era dominato da regole e tradizione, ma oggi il focus si è spostato verso la connessione personale e il piacere, con meno attenzione al fare le cose “nel modo giusto”. Anche il modo in cui si vive il vino è cambiato: se un tempo collezionare bottiglie rare era un segno di status, oggi i consumatori danno più valore alle esperienze, come eventi, abbinamenti e viaggi legati al vino. Infine, è cambiato anche chi ha voce in capitolo: l’influenza dei critici e dei rivenditori tradizionali è diminuita, sostituita dai social media, che permettono alle persone di scoprire e condividere i vini in modo autentico e personale.
In breve, il vino è passato dall’essere un prodotto esclusivo a un’esperienza inclusiva. La sfida ora è continuare a evolversi al passo con le aspettative dei consumatori, assicurandoci che il vino rimanga rilevante nelle loro vite.
Hai parlato in altre occasioni di come l’educazione al vino necessiti di una rivoluzione. Potresti elaborare meglio questo concetto? Cosa pensi manchi nell’attuale sistema di educazione al vino e come potrebbe essere ripensato per rispondere meglio alle esigenze dei consumatori di oggi?
L’educazione al vino è troppo rigida, troppo intimidatoria, e sinceramente troppo noiosa per la maggior parte delle persone. È pensata per i professionisti, non per il consumatore medio che vuole semplicemente godersi una bottiglia di vino senza sentirsi giudicato. Ciò che manca è la rilevanza. Invece di insegnare alle persone le “regole” del vino, dovremmo aiutarle a scoprire cosa piace loro e perché. Ripensare l’educazione al vino significa ribaltare il focus ovvero meno teoria, più esperienza. Insegniamo attraverso storie, degustazioni e contesti che possano essere strumento di interazione. Lasciamo che le persone imparino facendo, non memorizzando. Utilizziamo la tecnologia, come l’intelligenza artificiale e la gamification, per personalizzare l’esperienza. Il vino dovrebbe essere visto come un’avventura, non come una lezione in aula.
Abbiamo visto un aumento dei contenuti legati al vino, come podcast, degustazioni virtuali e persino video sul vino su TikTok. Qual è la tua opinione su questi nuovi formati? Sono utili per demistificare il vino o talvolta lo semplificano eccessivamente?
La vera domanda non è se questi formati semplificano troppo il vino, ma se stimolano la curiosità. L’obiettivo non è ridurre il vino a qualcosa di superficiale, ma utilizzare queste piattaforme come punti di partenza che invitano all’esplorazione. Dovrebbero suscitare un senso di meraviglia, incoraggiando le persone a indagare più a fondo, fare domande e scoprire le storie e le connessioni che si nascondono dietro ogni bottiglia. Quando sono ben eseguiti, questi formati possono diventare ponti potenti, collegando il vino a una nuova generazione di consumatori. Ogni individuo può poi intraprendere il proprio viaggio, scoprendo una relazione con il vino che è personale, emozionante e duratura.
Hai parlato apertamente di aver raggiunto un “break event point” nella tua carriera, quando ti sei resa conto che la sfida principale che l’industria del vino deve affrontare non è il prodotto, ma una mentalità obsoleta che ne limita il potenziale. Potresti approfondire quel momento di trasformazione? Cosa pensi debba cambiare nella mentalità dell’industria del vino per favorire l’innovazione e il progresso?
Quel momento è arrivato quando mi sono resa conto che l’industria del vino era così concentrata nel perseguire l’idea di “grande vino” che non ci siamo mai fermati a chiederci se alle persone piacesse o se davvero fosse ciò che loro consideravano “grande.” Abbiamo creato vini per noi stessi, immersi nella tradizione e ossessionati dai nostri standard di eccellenza, perdendo di vista l’immagine più grande: il consumatore. È ora di smettere di fare il vino per soddisfare i nostri ego e cominciare a crearlo per le persone che lo bevono. Non si tratta di abbassare gli standard; si tratta di riallineare le priorità.
Il cambiamento di mentalità è apparentemente semplice ma profondamente sfidante: mettere il consumatore al primo posto. Accogliere il cambiamento come un’opportunità, non come una minaccia. Essere curiosi, audaci e, soprattutto, disposti a mettere in discussione tutto ciò che abbiamo dato per scontato. Il mondo sta evolvendo a velocità vertiginosa e aggrapparsi solo alla tradizione non ci proteggerà, ma al contrario ci lascerà indietro. Il futuro del vino non sta nel perfezionare ciò che abbiamo sempre fatto, ma osare reinventando cosa può significare il vino per le persone di oggi. Se avremo il coraggio di adattarci, possiamo creare qualcosa di veramente straordinario: vini che non riflettono solo la maestria, ma la connessione, la rilevanza e un senso di appartenenza per le persone che li condividono.
Come immagini un “nuovo modello di comunicazione per il vino”? Quali cambiamenti chiave devono avvenire nel modo in cui l’industria del vino comunica con il suo pubblico nei prossimi 5 anni?
Si tratta di connessione, non di informazione. Il futuro della comunicazione sul vino risiede nel raccontare storie: condividere narrazioni autentiche, incentrate sulle persone, i luoghi e i valori dietro il vino. Si tratta di incontrare le persone, usando gli strumenti con cui siamo già abituati a interagire come social media, intelligenza artificiale ed esperienze immersive. Nei prossimi cinque anni, bisogna concentrarsi sull’abbattere le barriere. Il vino deve essere accessibile e “relazionabile”, comunicato in un linguaggio semplice che inviti senza sopraffare con il gergo. L’inclusività è essenziale, con linguaggi e formati che risuonino tra pubblici diversi, dalla Gen Z ai consumatori più maturi, indipendentemente dal loro livello di conoscenza del vino.
Più di ogni altra cosa, la comunicazione del vino dovrebbe passare dal “comunicare” all’”ascoltare”. Non si tratta solo di quello che l’industria dice, ma di capire cosa conta veramente per i consumatori e creare un dialogo che costruisca connessioni significative. Combinando narrazione, tecnologia e inclusività, la comunicazione sul vino può evolversi da una lezione unidirezionale a una conversazione ricca di valore.
Hai dovuto affrontare critiche e persino ostilità nel tuo percorso, a maggior ragione in un settore che può essere piuttosto tradizionale e resistente al cambiamento. Come stai affrontando queste sfide, in particolare quando hai a che fare con i critici o con coloro che hanno paura delle nuove idee? Quali pensi siano le principali lacune culturali che devono essere affrontate affinché l’industria del vino abbracci pienamente le riforme che promuovi?
Gestire critiche e ostilità è stata una parte determinante di questo percorso. L’industria del vino è immersa nella tradizione e sfidare questo pilastro può sembrare come scuotere le fondamenta di qualcosa di sacro. Ma ho imparato che la resistenza spesso deriva dalla paura: paura di perdere il controllo, paura dell’irrilevanza o paura del cambiamento stesso. Non vedo i critici come nemici; li vedo come la prova che ciò che sto facendo è importante. Se nessuno è a disagio, il cambiamento non è abbastanza grande. Affronto queste sfide concentrandomi sul quadro generale. Non si tratta di me; si tratta del futuro del vino e delle persone che lo amano, o che potrebbero amarlo se solo lo rendessimo più accessibile. Ascolto i critici perché le loro preoccupazioni spesso contengono intuizioni preziose. Allo stesso tempo, traggo forza dalle persone che credono in questa visione, che vedono le stesse possibilità che vedo io. Il cambiamento non riguarda il convincere tutti, ma la creazione di slancio e la dimostrazione di ciò che è possibile.
Il divario culturale chiave nel settore del vino è una mentalità bloccata nella conservazione piuttosto che nel progresso. Celebriamo il passato, e giustamente, ma lo facciamo a spese del futuro. Il settore si aggrappa alle sue zone di comfort, dando valore all’esclusività rispetto all’inclusività, alla competenza rispetto all’emozione e alla tradizione rispetto all’attualità. Per abbracciare veramente la riforma, il mondo del vino deve abbracciare l’umiltà e la curiosità, smettere di chiedersi “Come proteggiamo ciò che abbiamo?” e iniziare a chiedersi “Cosa possiamo creare qualcosa che il mondo non abbia ancora visto?”
Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all'estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.