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Al “Nostrano” di Pesaro tutta la fantasia dell’Adriatico nel racconto di Stefano e Ion

Tempo di lettura: 3 minuti

Ciotti (con la moglie Giorgia) e Chelici rivelano i segreti della cucina: “Puntiamo sui giovani, sulle emozioni e sui sommelier, ma il fiore all’occhiello sono le cantine”

di Alessandra Meldolesi

Nostrano come il suo ristorante, Stefano Ciotti ha debuttato al Casale, sulle colline di Riccione in mezzo alle discoteche, dove ha conosciuto Gino Angelucci e Vincenzo Cammerucci, le due eminenze della cucina adriatica. Con loro ha compiuto esperienze miliari, prima di allargare lo sguardo al Mediterraneo dalla splendida visuale del Don Alfonso di Sant’Agata sui Due Golfi. Chef per 10 anni del Carducci 76 di Cattolica, dove ha ottenuto la sua prima stella nel 2009, dopo una parentesi all’Urbino Resort, per un’esperienza più popolare comprensiva di pizza, sempre a base di ingredienti autoprodotti, è infine dal 2015 chef patron con la moglie Giorgia Stocchi del Nostrano di Pesaro, dove ha di nuovo ottenuto la stella. Un porto sicuro, grazie alla cucina che scava a diverse profondità nel comfort rivierasco, forte di una fantasia trascinante. Fin dall’apertura con lui c’è Ion Chelici, sommelier di origine moldava ma cresciuto a Viterbo, che dopo l’alberghiero di Spoleto, considerato uno dei migliori d’Italia, è passato con la complicità del destino in stage al Carducci 76, quando era appena quindicenne. Ha poi compiuto altre esperienze, anche a Piazza Duomo con Vincenzo Donatiello, per poi tornare ad affiancare Ciotti.

Ciotti: Conosco Ion fin da ragazzino. Posso dire che è cresciuto all’interno dell’azienda. È una persona di grande fiducia, che ha compiuto esperienze anche esterne e mette in atto quel che apprende molto velocemente. Ha preso in mano sala e cantina da giovane, ma è molto più maturo della sua età. Affidare a qualcuno i vini di un ristorante, significa dargli in mano la gestione di un piccolo capitale. Ma posso dire di aver scommesso bene, perché non solo è bravo a vendere e a tenere in equilibrio il personale di sala, ma fa tornare i conti in maniera precisa

Chelici: E io mi sono ritrovato fin da subito nella cucina di Stefano, che è ricca di gusto e nitidezza sensoriale, ma utilizza tecniche innovative. Ho visto le persone emozionarsi fino alle lacrime di fronte a piatti, che in loro scatenavano ricordi d’infanzia. Una cosa bellissima. Posso capirlo, visto che mia madre era aiuto cuoco in un ristorante di cucina tradizionale in Tuscia, quindi ho sempre mangiato italiano.

Ciotti: Secondo me chi gestisce la vendita dei vini deve avere due tipi di preparazione. In primo luogo deve essere molto veloce nel capire chi ha davanti e cosa può proporgli. Dal momento in cui entra fino a quando viene accompagnato al tavolo, lo sforzo è quello di intuire i gusti e la giusta fascia di prezzo da poche parole. Questo è possibile solo conoscendo bene i vini. Poi c’è la parte manageriale e di gestione amministrativa della cantina, nel senso che è importante saper comprare bene e nel momento giusto. Per questo ho affiancato a Ion consulenti molto in gamba sotto il profilo amministrativo, poi lui si è fatto le ossa col cliente. Ma c’è tuttora un tecnico: Gabriele Alessandroni, che in UK era a capo di una quarantina di sommelier ed è tuttora insegnante WSET.

Chelici: La nostra carta dei vini, composta di 350 referenze, è sempre stata centrata sul territorio, ma con estro. Restiamo focalizzati su spumanti e bianchi, ma ci sono anche grandi rossi, Bordeaux e Borgogna. L’evoluzione ha seguito il cliente; poi nelle Marche abbiamo assistito a una crescita bellissima, con tanti giovani produttori che sono usciti fuori in maniera prepotente, un po’ come in Francia nel passaggio dalle maison ai vigneron. Con tante aziende abbiamo creato un rapporto duraturo, cosicché riusciamo a dare profondità nelle annate. I vini dell’est li studio più che altro a livello personale, non vedo ancora prodotti pronti per il nostro mercato, anche se abbiamo qualche georgiano.

Ciotti: Gli abbinamenti li creiamo diligentemente insieme, al momento del cambio menu. Allora ci sediamo, mangiamo e proviamo moltissimi vini, che magari Ion mi propone conoscendo la mia cucina e i miei gusti. Ci prendiamo molto tempo.  Tendo a seguire le sue idee, dopo aver spiegato il piatto. Lui tecnicamente abbina, poi io a sensazione e col mio palato pesco dalla rosa.

Chelici: L’abbinamento secondo me è soggettivo, segue la parte emozionale e il gusto. Sulla cucina di Stefano vedo vini dinamici, poi dipende dai piatti. Alcuni sono più estrosi e intensi, allora devi saper dosare; altri risultano perfetti in sé e già equilibrati, quindi occorrono freschezza, struttura ed eleganza. Magari inizio con un Melon de Bourgogne fresco e sapido, poi passo a un Gewürztraminer sul coniglio, per contrastare la ferrosità con la dolcezza. Accogliendo l’ospite in 30 secondi, cerco di capire da dove viene, perché le opzioni variano se è marchigiano, italiano o straniero, in modo da far assaggiare sempre qualcosa di nuovo. La mia passione poi resta lo Champagne con qualche anno sulle spalle e un po’ di profondità.

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Alessandra Meldolesi

Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.

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