I cambiamenti climatici in atto spingono la viticoltura a latitudini impensabili fino a qualche anno fa. Ecco alcune storie raccolte dalla rubrica World’s Table di BBC.com
di Francesca Ciancio
Dinanzi al riscaldamento globale la viticoltura non sembra scoraggiarsi e va alla conquista di nuove terre, possibilmente dove fa meno caldo per i suoi frutti. Non stupisce dunque che anche poco al di sotto del Circolo Polare Artico si trovino vigneti e vini, nonché storie di chi se ne occupa. In una bell’articolo pubblicato nella rubrica World’s Table della BBC si parla di Emma Serner e Andrea Guerra, lei svedese, lui toscano, una coppia nella vita e nel lavoro che ha scelto di occuparsi di viticoltura sull’isola di Gotland, nella Svezia meridionale, dove le estati sono calde e miti. I due giovani volevano fare vino nel modo più sostenibile possibile, ma i cambiamenti climatici in atto hanno reso la pratica agricola sempre più difficile.
“Non avevo mai sentito parlare di Gotland– racconta l’italiano Guerra – Ho chiesto: ‘Cosa c’è? Ci sono gli orsi polari? E poi ho iniziato a porre domande più complesse sulla composizione del suolo, il clima, l’umidità dell’aria, i raggi UV e la temperatura media. Dopo un po’ ho detto che ero ancora molto scettico, ma che c’era del potenziale“. Ecco così la decisione di tentare la carta della latitudine diversa con la nascita di Långmyre Vineri, un’azienda di circa 5 ettari (in tutta la Svezia al momento non si superano i 200 ettari vitati). Emma e Andrea hanno optato per i Piwi, le varietà ibride che sono la scelta sempre più diffusa tra chi persegue la strada dei – quasi – zero trattamenti. “Crediamo fermamente che queste varietà rappresentino il futuro della viticoltura sostenibile. – ha affermato Serner – Le persone sono così ossessionate dal fare il vino sempre con le stesse uve, ma il mondo è diverso e può esserlo anche il vino”. Invece di optare per Solaris, la cultivar preferita da queste parti, la coppia ha scelto una selezione di cinque diverse uve ibride tra cui un’uva scura chiamata Merlot Kanthus, che è un incrocio con il Merlot: “La Svezia è un paese vinicolo così giovane – spiega Serner – ed è troppo presto per avere già una varietà che tutti coltiviamo“.
I dati sul surriscaldamento globale sono senza dubbio allarmanti: “Un aumento globale della temperatura di 2°C potrebbe metter fine al 55% delle regioni vinicole in tutto il mondo, mentre 4°C basterebbero a decretarne la fine per oltre il 70%” ha affermato Debbie Inglis, direttrice del Cool Climate Oenology and Viticulture Institute in Canada. Tra le soluzioni a più breve termine c’è quindi quella di farsi pionieri e andare alla ricerca di nuove terre dove piantare la vite. Ed è quello che sta accadendo in Svezia meridionale, Danimarca, in Canada e persino in parti della Norvegia. Tutti potenziali terroir magari, che ospitano, tuttavia, tendenzialmente uve Piwi.
Come si legge nell’articolo a firma di Clarissa Wei, la Svezia è entrata nel panorama vitivinicolo nel 1999, ma solo nel 2010 ha potuto mostrare qualche risultato concreto, soprattutto grazie agli impianti di uve Solaris, provenienti dalla Germania. Nell’azienda più grande del paese scandinavo, la tenuta Arilds Vingård, l’enologo Joe Roman stima che il 90% delle loro uve provenga dalla varietà Solaris, che può essere trasformata in vini bianchi brillanti o in spumanti dal buon livello di acidità. Anche Roman, cresciuto in California e con studi in Oregon, ha scelto di lavorare nell’industria vinicola svedese per la sua predilezione per i Piwi. “È molto meglio per il pianeta. Inquini molto meno” sostiene l’enologo. Cresce, tra i vantaggi di questa nuova scommessa sotto il Circolo Polare Artico, anche l’enoturismomade in Sweden, con cantine che si dotano di ristoranti, glampig hotel e, ovviamente, di saune. Succede così da Ästad Vingård, un’azienda viticola che può vantare anche un ristorante stellato Michelin.
Scene simili si vedono anche in Danimarca, secondo BBC.com, dove a far crescere la popolarità di certe etichette ci pensa la ristorazione più cool del momento, con Rene Redzepi in testa da diversi anni. Non è raro infatti trovare nelle carte-vini di tanti locali diverse referenze scandinave. Eppure, nonostante l’ottimismo, il mercato del vino di produzione locale rimane piuttosto limitato. “Non siamo ancora competitivi su un mercato internazionale“, ha affermato Nina Højgaard Jensen, una famosa sommelier danese, che sottolinea quanto i vini scandinavi siano penalizzati dall’ eccessiva giovinezza e dall’assenza di storia. Inoltre gioca a sfavore il fattore prezzo, ancora molto alto – quasi mai meno di 30 euro a etichetta.
I produttori situati più vicino ai poli hanno un chiaro vantaggio quando si tratta di produrre vini bianchi e spumanti. “Si può dire che la Nuova Scozia è una copia carbone dello Champagne 25 anni fa“, ha affermato Jean-Benoit Deslauriers, enologo capo della canadese Benjamin Bridge. Tuttavia la viticoltura nordica sa che è presto per cantare vittoria, perché mentre i produttori nei climi più freddi sono risparmiati da intense ondate di caldo, devono affrontare una serie di sfide come gelate precoci, muffa e marciume. Un clima che cambia non fa sconti a nessuno: “L’impatto generale per la società è estremamente negativo“, ha affermato Kimberly Nicholas, professoressa di Scienze della sostenibilità presso l’Università di Lund in Svezia. “Se dovessimo sperimentare 4°C di riscaldamento globale, la Svezia sarebbe l’epicentro del Pinot Nero. Ma se arrivassimo a un mondo con quattro gradi in più, non avremo un pianeta che funziona”.