Il vino sta affrontando ancora una volta una serie di importanti sfide, forse ben più grandi rispetto all’impatto del Covid nel 2020 e nel 2021.
di Giovanna Romeo
Secondo IWRS, nei venti principali mercati mondiali vinicoli, il volume di vino venduto è diminuito del -9,2% durante i primi 6 mesi del 2020 e comparato al primo semestre del 2019. Se i primi 6 mesi del 2021 hanno visto un rimbalzo positivo, il volume di vino venduto (in tutti i mercati chiave) è sceso del 4,9% rispetto ai livelli pre-pandemia nel 2019. Un calo determinato principalmente dai vincoli dei consumatori, con restrizioni sia obbligatorie che volontarie per mancanza di occasioni di socialità, di accesso ai luoghi di lavoro, di viaggio e svago.
Tuttavia, dinanzi a due anni davvero difficili, il 2022 si sta rivelando forse quello più duro per le aziende, vissuto in un clima di maggiore incertezza, di minacce e forse anche di qualche opportunità. La “tempesta perfetta” dell’inflazione (in particolare dell’energia, dei fattori di produzione agricoli e dei costi di imballaggio), l’accesso ridotto ai beni in entrata, la carenza di manodopera, la volatilità delle valute e le interruzioni della catena di approvvigionamento stanno velocemente prendendo piede, insieme all’instabilità politica e le guerre tariffarie.
Il mercato mondiale degli ultimi trent’anni è stato al contrario piuttosto stabile consentendo all’industria vinicola di crescere a livello globale, raggiungendo tutti i consumatori attraverso un’ampia gamma di canali. Le preferenze e le tendenze del consumatore si sono evolute lentamente, permettendo alle aziende un certo livello di prevedibilità, essenziale dato il tipico ciclo minimo di 5 anni per l’uva, dalla semina alla vendemmia.
In contrasto con questa espansione globale, gli anni 2020 e 2021 sono stati contrassegnati da un significativo e accelerato spostamento verso le produzioni “locali”. Le aziende vinicole di successo oggi saranno quelle che in questa crisi mondiale svilupperanno un approccio pragmatico verso le catene di approvvigionamento, i portafogli di prodotti e l’orientamento al mercato. Le imprese con numerosi mercati di esportazione, potranno invece beneficiare di un effetto portafoglio tale da coprire la loro esposizione nel caso di dazi, crisi economiche o guerre.
Il consumatore invece tenderà sempre di più verso brand conosciuti. Più il marchio è noto e affidabile, più è probabile che continui ad essere acquistato, poiché l’inflazione aumentando i prezzi costringe i consumatori a cercare più valore.