Le acque di lusso, provenienti da sorgenti incontaminate e ghiacciai purissimi, rappresentano un mercato in crescita. Una selezione ben curata potrebbe valorizzare l’ampia varietà di acque minerali italiane nei ristoranti di alta fascia
di Andrea Grignaffini
Preziose ed esclusive, sgorgano da sorgenti incontaminate incastonate in luoghi inaccessibili o provengono da antichi, purissimi ghiacciai in via di estinzione, tesori liquidi delle qualità organolettiche uniche imbottigliati in contenitori raffinati.
Quello delle acque di lusso è un mercato internazionale in costante ascesa che da anni gode di ottima salute sostentato da potenti strategie di marketing, che scopriremo poi non così tecnicamente approfondite. L’offerta è ricchissima e diversificata anche in termini di costo, dalle etichette ancora “accessibili” sino ai simboli del lusso più sfrenato – ricordiamo che al ristorante galiziano O Lar do Leiton, famoso proprio per la sua curatissima carta delle acque, è possibile dissetarsi con la Fillico, l’acqua-gioiello giapponese che costa tra i 500 (circa un bicchiere) e i 17.500 euro per la bottiglia. Considerata la rilevanza del fenomeno, giova riflettere su un punto: quante volte, nei grandi ristoranti, si ha il piacere di scegliere tipo, marca e nazionalità dell’immancabile compagna di ogni pasto? La carta delle acque è ancora una rarità nei ristoranti italiani di alta fascia dove, salvo poche eccezioni, perdura l’anacronistica dicotomia “liscia” o “gassata” nei limiti dell’omologazione imposta dalle solite due o tre marche di acque premium che, ampiamente ricaricate dal ristoratore, detengono il monopolio sulle tavole più blasonate.
Inutile virtuosismo, il menù dell’acqua? No, affatto. Mineralizzazione, vari livelli di pH e carbonatazione, influenzano incredibilmente la percezione al palato e così il giusto abbinamento modula il livello di piacevolezza del piatto; semplificando, sapori delicati reclamano un’acqua oligominerale che non sovrasti il gusto del cibo e viceversa, pietanze ricche di condimenti e grassi abbisognano di un liquido che netti la bocca come solo l’acqua effervescente o gassata può fare. Non sembra assurdo concludere che agli astemi (e non solo) andrebbe dedicato un pairing scandito dalle varie portate, esattamente come accade per il vino, e risulta quantomeno paradossale servire la stessa bottiglia lungo tutto l’arco del pasto – parimenti trascurando, va da sé, la temperatura di servizio, altro dettaglio importante. Invece, talmente avvezzi all’automatismo del cameriere che rimpolpa lo stesso bicchiere dall’inizio alla fine del pasto, normalizziamo altresì che esso non venga sostituito in seguito a portate a base di pesce o uova per evitare, ovviamente, che qualsiasi sgradevole retrogusto permanga nel calice – a riprova di quanto il peso dell’acqua sia ancora reputato minimo, a differenza del suo prezzo sul menù. Assistiamo allora al consueto refrain che se chiediamo l’acqua fredda, anche in molti ristoranti di altissima gamma, questa arriva sì fredda ma per poi lasciarla scaldare fuori dalla glacette e questo nonostante ricarichi altissimi. E sempre per entrare nelle tasche del cliente in quanti casi viene sostituita la bottiglia senza chiedere il nulla osta del tavolo, come se questa fosse gratuita. Pensiamo quindi che, al netto delle esotiche rarità per collezionisti milionari, una carta dell’acqua ben fatta potrebbe portare nei templi dell’alta gastronomia la grande varietà d’acque minerali di cui vanta l’Italia e che merita di essere valorizzata, accanto alle marche nostrane ed internazionali più note e forse un po’ abusate.
Confidiamo che sempre più diffusamente venga osservato il pioneristico esempio della Pergola di Heinz Beck – che da oltre 20 anni offre ai suoi ospiti un’esperienza “idro-gustativa” a partire da una water list con circa 55 referenze – affinché operatori e consumatori siano educati all’affascinante mondo delle acque di qualità, parte integrante e moltiplicatore della bontà dell’esperienza gastronomica.
Andrea Grignaffini
Docente di enogastronomia, critico e gastronomo tra i più preparati del nostro tempo, da febbraio 2024 è il nuovo direttore editoriale di Vendemmie