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I portici

Annunziata e Ricci, sinfonia di sapori ai Portici di Bologna

Tempo di lettura: 4 minuti

Lo chef Nicola e il sommelier Riccardo conducono un originale viaggio enogastronomico, esplorando le eccellenze del territorio nell’unico ristorante stellato Michelin nel cuore della città, in un connubio di alta cucina e vini

di Alessandra Meldolesi

“Al ristorante come a teatro”, si intitola il libro recentemente pubblicato da Fausto Arrighi. Non è mai vero come ai Portici di Bologna, ristorante che ha sede in quello che era un animato café chantant della Belle Époque, fortunosamente scoperto e riportato agli antichi splendori dalla proprietà dell’albergo. Oggi c’è di nuovo un palco con il pianoforte, circondato da sinuosi affreschi liberty, laddove le nonnine bolognesi ricordano di aver pagato le bollette dell’elettricità. Ma pochi metri dietro c’era da scavare una ghiacciaia medievale, circondata da una ragnatela di cunicoli, dove oggi riposano al fresco i vini e si tengono serate d’atmosfera.

Una location francamente eccezionale, per quella che è l’unica stella Michelin del centro di Bologna, caso (negativo) di rilevanza nazionale. Per lo chef Nicola Annunziata, nato a Sarno e formato da Anthony Genovese, e il sommelier Riccardo Ricci, originario di Camugnano e passato alla Francescana, alla Locanda Margon, da Guido a Rimini e al Marconi dei Mazzucchelli, è una responsabilità supplementare: sta a loro interpretare in chiave fine dining la Bologna grassa e dotta per il pubblico internazionale del cinque stelle, e non solo. Proprio dal territorio sono partiti per mettere a fuoco la loro proposta, fondata su un’interlocuzione vivace e costante, dove spetta a Ricci il ruolo della guida.

Ricci: “Sono entrato ai Portici nel 2021, prima di Nicola, quando chef era Renzi. E ho trovato una carta ristretta, che contava 340 etichette, con un po’ di confusione. Nicola Cuccato aveva fatto tanto nell’arco di sette anni, ma nel tempo il suo lavoro si era un po’ perso. Ora grazie alla proprietà siamo arrivati a 1400 etichette, che cominciano a essere divertenti. C’è stato un grosso investimento sulla cantina e sulla ricerca, cosicché con lo chef ci divertiamo ad andare a spasso, per conoscere un po’ di produttori, ogniqualvolta è possibile.  A questo livello secondo me è importante avere in carta tanta offerta di alto rango, con i soliti nomi blasonati; ma vedendo sempre più che il nostro cliente tipo viaggia attraverso il paese, la mia idea è che quando passa di qua, debba poter assaggiare il territorio. Nel wine pairing mi piace far conoscere quello che siamo andati a spulciare in giro, con l’eccezione di un omaggio alle origini dello chef. Perché da quando è arrivato, in ogni percorso ho sempre inserito un vino campano sul piatto più rappresentativo. Poi se qualcuno desidera un grande Champagne, lo troverà e glielo servirò nel migliore dei modi”.

Annunziata: “Di fatto constatiamo la tendenza crescente dell’ospite a farsi guidare, sia nel menu che nel pairing. Senza per questo dover ripercorrere il vecchio paradigma della contaminazione fra Campania ed Emilia, che è qualcosa che non ci appartiene e che per me sarebbe molto limitante. Ho una mente mediterranea più che campana, sono una persona che ha viaggiato. Sotto questo aspetto c’è molta sintonia, perché comunque Riccardo fa un certo tipo di ricerca, noi in cucina lo stesso, anche sotto la sua guida. Le trote le ha scovate lui, grazie a un’indicazione di sua madre. Anche solo confrontandoci cinque minuti, capita che esca fuori qualche idea.  Cerchiamo sempre di trovare piccole aziende che producano tanta qualità, come fa lui con i vini. Non è banale, perché gli alimenti freschi sono più difficili da gestire e i quantitativi possono non bastare. Ora per esempio l’allevatore non riesce a starmi dietro con le anatre, e per non appoggiarci ai distributori, dovremo cambiare proteina. Ma la trota ce l’avremo dodici mesi l’anno”.

R: “Quando abbiamo meno cose da fare durante la giornata, a volte riusciamo a fare una scappata. Oppure ci riserviamo il lunedì. Abbiamo una lista di posti da visitare, tramite cataloghi, enoteche, fiere, passaparola; pianifichiamo e ci spostiamo, ma sempre nelle vicinanze. Perché in un paio d’ore può scapparci un banchetto. In cantina copriamo tutta l’Emilia Romagna, da Rivergaro con La Stoppa fin quasi al mare. In tutto sono una sessantina di produttori. È una regione secondo me sottovalutata, che fuori dai suoi confini non viene mai proposta. Invece ci sono artigiani del vino che lavorano benissimo, sul sangiovese ma anche sull’albana. Penso a Paolo Francesconi che fa un lavoro straordinario, non la surmatura, la rende tesa, verticale, quasi salina. Oppure il lambrusco fermo, che un tempo se non rifermentava, si beveva in casa: è il Franzes di Podere sotto il Noce, un richiamo al passato che per noi è piacevolissimo. Gli americani e i cinesi conoscono il lambrusco della grande distribuzione e cercano sempre qualcosa di diverso. Con i francesi, invece, mi piace servirlo alla cieca per vedere l’effetto che fa”.

A:“A proposito di Franzes, Riccardo mi consiglia anche sui vini nei piatti. Adesso abbiamo in carta un risotto con il jus di rapa rossa e le creste di gallo brasate con quella tipologia di Lambrusco. Avevo bisogno di grande acidità e poca pesantezza, così ho chiesto a lui. Ed è lo stesso vino che viene servito in abbinamento. Poi c’è il momento degli assaggi: quando faccio un piatto o una salsa, il primo cui li sottopongo è lui, perché ha un palato molto predisposto”.

R:“Se ci riesce ci mettiamo in ghiacciaia, con un tavolo da 8-10 persone per tutta la brigata. Arrivano i piatti, sul tavolo carta e penna. Lo chef spiega. Io che magari ho già un’idea, avendo letto i nomi, metto sul tavolo tre o quattro bottiglie completamente diverse, le assaggiamo, ascoltiamo e parliamo. È tutto molto collegiale, anche con gli extra dei banchetti”.

A:“Si parte sempre da una storia, perché quella tipologia di materia, perché quel piatto e quella preparazione, poi andiamo sul bicchiere. Quando facciamo le nostre serate sul vino, invece, succede il contrario: proviamo le bottiglie e poi ci costruiamo sopra le ricette. Assaggiamo tutta la gamma, vediamo la posizione geografica, che ci porta verso certe materie, mettiamo a punto le idee con i ragazzi in cucina, poi facciamo un testing con i miei e con i suoi secondi. Uno tira fuori un’idea, l’altro dice la sua, infine ci sono io che traggo le conclusioni. Facendo così sperimentiamo di più e magari mettiamo in bolla qualche piatto per la stagione successiva. È stimolante per tutti”.

 

 

Scopri l'abbinamento

Chef e somelier del ristorante I portici di Bologna raccontano un piatto che esalta la connessione tra cucina e territorio.
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