di Nello Gatti
Un suggestivo itinerario in un’atmosfera di cultura, famiglia, sapori, ma anche di natura e.. brigantaggio
Per navigare i suoi boschi che intrecciano i vigneti alla montagna, infatti, dobbiamo partire da qui, o meglio uscire al casello Avellino Ovest dove un ridicolo limite di 80km/h ci permette di osservarla a destra, per poi imboccare una curva a gomito che ci dirige verso la città di Summonte, un romantico segno di città paralizzata nel ricordo di vecchie strade, antiche insegne e locande gestite da marito, moglie e figli che precedono due capisaldi della viticoltura Irpina d’occidente, Guido Marsella e Ciro Picariello. Il primo ha un assetto da battaglia, circondato da castagni, noccioli ed ulivi che fanno respirare l’aria dura di chi lavora la terra ogni santo giorno, mentre il secondo è agli ultimi metri di staffetta, dove il testimone sta passando al figlio e la Cantina si sta trasformando in un Wine Resort. Entrambi respirano fresca aria di montagna, dagli 800 metri di altitudine che nei lunghi inverni ghiacciati quasi ci fanno dubitare ci si trovi nella stessa regione musicale famosa per “o’ sole e o’ mare”, tanto diverso è anche il carattere, notoriamente irpino, poco espansivo e pragmatico.

Queste ultime, due virtù più che degnamente espresse nel loro vino di territorio, il Fiano d’Avellino, ma l’approccio di entrambi è stato decisamente singolare e quindi meritano approfondimento: La Cantina di Guido Marsella si trova a 800 metri sul livello del mare tra un vortice di curve che riporta a un complesso di locali, tra cui la sua abitazione. Da una parte c’è la cantina, dall’altra il locale magazzino e da un’altra ancora una sala dove possiamo degustare i suoi vini. Ci siamo fiondati lì senza appuntamento, ma con grande piacevolezza ha interrotto le sue attività per accoglierci e fornire la sua idea di pedigree di questo vitigno che potrebbe derivare dalle api o chissà quale altro termine latino. Fatto sta che lui se l’è ritrovato quando ci è nato e quindi immaginate cosa gli possa venire naturale? Produrlo così com’è!
Ciro Picariello è invece come Pino e Angelina Mango, con il primo che si è ritagliato un grande successo per la sua opera e il figlio che, a conferma del fatto che non basta solo il nome, sta facendo anche meglio, grazie alle nuove influenze e aperture. Così la cantina si presenta come un cantiere, ma di quelli belli, che prevedono stanze e locali accoglienti, spazio per le degustazioni e ampi soffitti per i serbatoi. Un giro in quad per le vigne e poi di corsa a casa sua, lì vicino, per confrontarci tra lui e gli altri “pezzi da 90” della compagine bianca irpina.
Si assaggia Falanghina, Fiano, Greco, ancora Fiano e un Fiano spumante… Ma era in quel Greco di Tufo che vogliamo passare dalle parole ai fatti e quindi ci si rimette in auto, si segue la provinciale che taglia in due la città di Avellino e si prosegue in direzione Tufo. Buffo, si pensa durante il viaggio, un’area così verde e con questo radicato legame con l’agricoltura, vede nelle promesse del Sindaco di “Dino Park”, il parco divertimenti a tema dinosauri, e negli stabilimenti Fiat il seguito di carovane di elettori e lavoratori, lasciandoci capire perché quaggiù il fenomeno dell’emigrazione non sarà mai emarginato.

Raggiungiamo Tufo con qualche abbaglio di vigna con l’insegna di Mastroberardino, mentre a dare il benvenuto al Comune c’è l’Azienda Torricino, l’ex presidente del Consorzio di Tutela, ma è nel castello che risiedono le storie secolari di questo borgo arroccato tra il fiume sabato e le mura tufacee. Come un vero re nel suo regno ormai malandato, è Ferrante Di Somma il lord di casa Di Marzo, la storica discendenza che ha guidato questo popolo in vittorie e difese, riscosse e riconquiste, fino a sbarcare in tempi moderni in cui il nostro “cuor di leone” rientra dalla terra inglese e affidandosi alla consulenza di Vincenzo Mercurio avvia un percorso di bonifica pressoché totale, vini compresi. Da qui passano le storie più inaspettate, da un Greco che non viene dalla Grecia a un polo industriale pre-unitario che aveva visto addirittura un fenomeno migratorio da altre regioni per arrivare in queste zone.
I vini sono freschi, studiati e trasudano piacevolezza nel colloquio con Sir Ferrante, un caso unico di intelligenza che deve portare anche a tanta solitudine, dato che Tufo oggi si ritrova con una stazione dismessa, una miniera abbandonata e cantieri che non vedranno mai la luce. Il mio sogno è quello di percorrerla via fiume, toccando le sue produzioni di pregio a bordo di un battello che la faccia rivivere gioiosa e piena di fiori come in un quadro di Monet, ma l’unica via percorribile è quella della strada e ci rimettiamo in pista per l’ultimo checkpoint nella capitale rossa: Taurasi.
Un castello, la cantina-museo di Caggiano e qualche insegna a ricordare quelle targhette vintage che ormai trovi solo nei mercatini dell’antiquariato. Ci si perde diverse volte per poi arrivare a destinazione poco più avanti, in quella Contrada Trinità che ci porta a fare il segno della croce davanti al Messia del suo Taurasi: Luigi Tecce. È una casa di campagna ancor meno accogliente di quella rappresentata da Pozzetto nel suo famoso film, ma al suo interno (saranno le tenebre irpine o il canto del vigneron che scalda come un camino) vive e rivive quel malinconico segnale d’immortalità su 15 gradi di rosso. L’amicizia con Capossela, la lettura dei grandi classici, le storie di brigantaggio e la quotidianità da pastore illuminato: ecco perché Luigi Tecce è riuscito – nonostante il suo rifiuto nei confronti di chimica e social – a ritagliarsi un posto nell’olimpo dell’universo Taurasi, una dimensione così astratta da costringerlo in tempi recenti a ritrattare per uscire dalla denominazione, per poter continuare a modo suo nella definizione del classico assoluto, dove Taurasi significa rabbia e ragionamento, fenomeni naturali e mani pensanti. Intorno a sé ci sono solo ciarle di paese o chiacchiere e distintivo, ma lui con i suoi Borsalino non finirà come Al Capone rinchiuso per evasione fiscale, bensì rischiamo di rinchiuderci nelle nostre gabbie mentali se pensiamo ancora di poter definire il suo un “vino naturale”.

Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all'estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.