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Professione Sommelier (tra verità, falsi miti e cliché)

Tempo di lettura: 5 minuti

Gli chef sono degli artisti perché elevano la materia a forma d’arte. Prendono gli ingredienti e li sublimano in emozione. E tutto questo viene loro giustamente riconosciuto. Non a caso, molti di loro sono diventati delle vere e proprie star. Ma c’è un’altra figura chiave della ristorazione, soprattutto a certi livelli, che secondo noi meriterebbe maggiore attenzione: il sommelier.

di Maddalena Peruzzi

Se ci pensi, ti sembra quasi di vederlo mentre si aggira per la sala, sorridente, elegante e sempre impeccabile, intento a consigliare, degustare e servire vini da sogno. Ma il servizio è solo la punta dell’iceberg. È solo quello che si vede. 

Quella del sommelier è una professione sfaccettata e complessa che richiede molte competenze diverse. È responsabile del vino, ma anche di tutte le altre bevande e la gestione del beverage comprende vari aspetti: la selezione, l’approvvigionamento, lo stoccaggio, la conservazione, l’abbinamento e ovviamente il servizio. C’è la gestione della cantina, ovviamente, ma anche la carta dei vini va studiata, realizzata e aggiornata di continuo. Poi ci sono le lingue, altra competenza necessaria, dato che la clientela può essere straniera. Non da ultime, bisogna considerare le capacità relazionali, perché il sommelier di un ristorante si interfaccia con i fornitori, con lo chef, con i colleghi e con i clienti, che sono sempre più esigenti e preparati. Deve riuscire a entrare in sintonia con l’altro, ma senza superare certi limiti, per non risultare invadente. Servono quindi educazione, (molta) pazienza, ma anche sensibilità, empatia ed è fondamentale sapersi adattare alle situazioni. Insomma, un bravo sommelier è un po’ camaleonte e un po’ psicologo. Capacità e attitudini, queste, che non si imparano sui libri, ma che contano almeno quanto la tecnica di servizio…e forse di più. 

Come in tutti i mestieri, ci sono vari livelli e certamente non tutti i sommelier sono uguali, ma è giusto riconoscere che anche in sala ci sono delle eccellenze assolute. Alcuni sommelier sono veri e propri Maestri. Tra questi c’è sicuramente Lukas Gerges, Sommelier IHK, diplomato WSET, Accademico del Vino e Sommelier Certificato della rinomata Court Of Master Sommeliers. Classe 1991, è stato a lungo Restaurant Manager & Wine Director del St. Hubertus, tre stelle Michelin, e sarà parte di un nuovo progetto di Norbert Niederkofler (ancora top secret). Con lui abbiamo già parlato della professione, di cosa voglia dire concretamente “fare il sommelier”, soprattutto a certi livelli, e sono emersi molti spunti interessanti.

“È un lavoro molto bello e stimolante – spiega Lukas – ma anche duro, da vari punti di vista: gli orari, la lontananza da casa e poi lo studio: non si finisce mai di studiare. C’è questo mito dei sommelier che fanno la bella vita stappando bottiglie stupende, ma c’è anche il risvolto della medaglia. Quando andiamo in fiera degustiamo anche cento vini di prima mattina. Per noi assaggiare è un lavoro, facciamo migliaia di assaggi ogni anno per rimanere aggiornati sulle novità, per tenere in allenamento gusto e olfatto, per scegliere i vini migliori da inserire in carta e da abbinare ai piatti del menù. Questo comporta anche viaggi e trasferte in giro per il mondo tra fiere, eventi e cantine”. 

Quindi assaggi, viaggi e studio. Ma Lukas ci fa notare che c’è anche un altro aspetto da considerare: “Se vuoi fare il sommelier, all’inizio devi investire tanto su te stesso, anche in termini economici. Devi spendere tanti soldi per formarti, per viaggiare, per acquistare e assaggiare i vini. Poi, se sei bravo, con il tempo vieni ripagato di tutto, perché è un lavoro che regala anche grandi soddisfazioni.”

Rosa Alpina-36_HUB_Maître LUKAS GERGES©Alex Moling
Lukas Gerges

Anche la questione delle lingue è un aspetto fondamentale della professione, soprattutto in certe zone bilingui o anche semplicemente turistiche. “Secondo me è importantissimo che si parli al cliente nella sua lingua – ci dice a riguardo Lukas – prova a pensarci: se ti spiegano un piatto o un vino nella tua lingua è molto meglio, non c’è paragone. Per esempio, io sono austriaco e, anche se l’italiano lo parlo, cerco di non spiegare mai i piatti in italiano, preferisco che lo faccia un collega madrelingua. Ovviamente per la sala una gestione di questo tipo è molto complessa, ma la sicurezza, l’intimità, le sfumature della propria lingua per il cliente hanno un valore enorme, probabilmente maggiore di quanto lui stesso immagini. Quando poi esce dalla porta quello che conta è la percezione che gli rimane dell’esperienza vissuta e l’aspetto linguistico contribuisce sicuramente a renderla migliore”. 

Lukas Gerges è un sommelier di altissimo livello, ma quello che ci racconta, le sue idee e i suoi modi così gentili, aperti e diretti lo posizionano anni luce lontano dalla classica immagine del sommelier. Abbiamo tutti presente la scena caricaturale del sommelier impettito che fa roteare per un tempo infinito un vino nel calice e poi esclama compiaciuto: “È rosso!”. Sull’ironia di cui spesso è oggetto la figura del sommelier varrebbe la pena soffermarsi un attimo, perché probabilmente sono proprio gli atteggiamenti di una certa sommellerie che hanno contribuito negativamente al percepito dell’immagine dell’intera categoria. Ma è giusto dire anche che le cose stanno cambiando: le nuove generazioni di sommelier, stilisticamente più informali ed “easy going”, sembrano fare di tutto per scardinare questo cliché che la categoria si trascina dietro come una zavorra.  E questo è sicuramente un bene.  “Il servizio dev’essere certamente impeccabile, elegante e garbato – commenta Lukas – ma sempre allegro. L’esperienza deve essere divertente. A me piace molto anche giocare con i clienti, quando sento che posso farlo. Ti faccio un esempio. Immaginiamo che due tavoli scelgano il menù con l’abbinamento vini, ma un tavolo desideri bere locale e quello vicino internazionale. Io faccio assaggiare il vino dell’uno all’altro e viceversa. Oppure porto direttamente entrambi i vini alla cieca, così i clienti possono dirmi quale preferiscono. A volte scoprono di preferire quello degli altri e dopo quel calice ordinano altre due bottiglie! È un modo simpatico per incuriosire e coinvolgere le persone ed è molto divertente quando poi i tavoli iniziano a interagire tra loro. È bello quando in sala l’atmosfera è festosa!” 

L’ultimo aspetto che emerge parlando con Lukas del lavoro del sommelier…non è relativo al lavoro del sommelier! Un punto di vista sorprendente il suo, ma anche molto interessante: “Un bravo sommelier deve toccare con mano, anzi sporcarsi le mani. Io vado molto spesso a visitare cantine e quando riesco mi piace proprio andare a lavorare in cantina. Lo faccio gratis, qualche settimana, perché solo così si impara veramente come è fatto un vino.  Se fai il sommelier senza aver mai provato un’esperienza in cantina tante cose non le sai. Non sai quanta acqua serve per lavare le botti. Un’enormità. Ho anche lavorato in vigna, sono uno sportivo ma il giorno dopo ero distrutto. Schiena andata, mani talmente sporche da non riuscire a farle tornare bianche. È un lavoro pesante e se lo fai ne capisci il valore”. 

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