A Rende, in provincia di Cosenza, nel 2018 Antonio e Catia Pantalena creano il primo Wine Bar della zona e iniziano un racconto del vino che parla del loro gusto e di questa passione scoperta per caso e che ha cambiato le sorti del loro percorso.
di Irene Forni
Disotto Wine Bar è un locale che nasce da un cambio di rotta e dall’incrociarsi di due vite. É il risultato dell’interruzione di progetti passati, che hanno saputo con coraggio cambiare forma e direzione. Una storia semplice, che ha dato vita però ad uno dei luoghi del bere bene della Calabria.
Antonio e Catia sono marito e moglie. Si conoscono in Toscana nel 2002, lui operatore di borsa, lei avvocato. Il lavoro li porta ad un trasferimento a Milano, città che in poco tempo lascia un segno nella loro vita. Le tante realtà ristorative e del buon bere della città, fanno nascere in loro una grande curiosità per il vino che diventa in poco tempo una forte una passione, capace di cambiare totalmente la loro vita.
Così dalla grande città di Milano, Antonio e Catia decidono di tornare a casa, nel sud Italia, precisamente a Rende, nella provincia di Cosenza. Lì, costruiscono un locale che parla del loro gusto e di questa passione così forte per il mondo del vino. Un luogo capace di raccontare tutte quelle connessioni e storie che il vino porta con sé: il Disotto Wine Bar.
Nel bel mezzo di questo cambio di vita, spinti dal nuovo interesse, anche la formazione acquisisce un importante ruolo. Antonio consegue infatti il WSET Certificate di terzo livello e studia per tre mesi cucina all’interno dei corsi Alma in una sede distaccata in Puglia. La conoscenza con un ristoratore italiano proprietario di un ristorante a Ramatuelle, in Costa Azzurra, dà a Antonio una nuova opportunità per imparare. Per un’intera stagione affianca la proprietà contribuendo anche alla crescita del locale, occasione che gli permette anche di lasciarsi ispirare e imparare i fondamentali del mestiere.
Da lì ad oggi, il Disotto Wine Bar è cresciuto affermandosi sempre più sul territorio e non solo. Infatti, la loro selezione è stata ben notata nelle due edizioni del Premio Carta Vini Italia indetto dalla Milano Wine Week, riconoscendolo la loro carta vini fra le migliori per la categoria Wine Bar. Un cambio di rotta che ha certamente dato i suoi frutti e che ha visto premiato il coraggio di questi due amanti del vino che ci raccontano i contorni e le curiosità del loro locale.
Come nasce l’idea del Disotto Wine Bar e quali sono i tratti distintivi del vostro locale?
Sotto la nostra casa, a Rende, avevamo un magazzino di famiglia sfitto e abbandonato. Nella nostra idea c’era la voglia di creare un locale che parlasse di vino e presentasse anche una cucina semplice ma che potesse essere capace di abbinare e accompagnare ogni calice, così decidemmo di ristrutturarlo e di provare a fare qualcosa che in pochi fanno nella nostra zona e che, soprattutto, non era presente: un Wine Bar con cucina. La sua posizione ha fatto poi nascere spontanea l’idea del nome, perché come detto il locale è sotto la nostra casa, così decidemmo di chiamarlo Disotto. I tratti distintivi del nostro Wine Bar sono certamente la sua unicità nella zona e il fatto che il nostro lavoro è molto concentrato sul servizio al calice. Questo tipo di approccio, aiutato molto dall’uso del Coravin, ci permette di far conoscere il vino e le sue diverse interpretazioni e sbicchierare molto ci permette di provare a scardinare le resistenze e le abitudini di beva dei nostri clienti. Inoltre, abbiamo aggiunto dopo il nome il “con cucina”, perché al sud non è possibile pensare al bere senza mangiare. Non siamo un ristorante, cosa che facciamo fatica a far comprendere, ma siamo stati i primi a essere affascinati da questo stile di servizio, dove il vino è protagonista, ed è per questo che ci crediamo molto. La cucina che abbiamo proposto inizialmente era strettamente legata al concetto di tapas. Poi, andando avanti ci siamo resi conto che era più strategico creare piatti piccoli ma pensati con attenzione, non improvvisati.
Questo ci ha portato ad avere oggi un concetto ristorativo molto più legato al bistrot e di questa nostra evoluzione saremo sempre debitori nei confronti dello chef Antonio Biafora – oggi, meritatamente, una stella Michelin – che ci ha supportato in fase di apertura con l’organizzazione della cucina e del menù.
Quali sono i trend di beva e in che modo?
Il bevitore occasionale cerca sostanzialmente i due vitigni locali: Magliocco e Gaglioppo. Se invece cerca di uscire dal territorio, punta principalmente su alcune denominazioni più note in Italia: Bolgheri, Valpolicella e Chianti Classico. Se invece parliamo di bollicine, sicuramente il Prosecco o in alternativa le grandi case spumantistiche italiane. Ci sono poi i clienti più curiosi che invece bevono quello che abbiamo di nuovo e questa novità e bisogno di nuove scoperte ha una cadenza frequente, anche a livello settimanale. Questo ci porta a dare un’alta rotazione e variabilità alla carta , quantomeno nella scelta delle etichette. Ad ogni modo il nostro cliente “tipo” è donna, tra i 30 e i 50 anni: sono molto curiose ed hanno anche un ottimo palato.
Abbiamo parlato di Magliocco e Gaglioppo. Quanto il vitigno autoctono definisce la vostra carta?
A livello regionale possiamo dire che gli autoctoni ricoprono una buona parte della selezione vinicola della ristorazione. Per quanto riguarda la nostra carta vini, ci concentriamo molto sulle aziende più piccole e meno note a livello locale, perché paradossalmente, ci sono molte aziende calabresi note fuori regione e che invece sul territorio sono poco conosciute e che hanno uno stile più moderno, meno ossessionate dalla ricerca del corpo, dello zucchero e dell’opulenza.
Gusto personale e ricerca. Come create la carta vini del vostro Wine Bar?
Quando ci chiedono se un vino che hanno scelto dalla nostra carta è buono rispondiamo che tutti sono buoni, perché quello che mettiamo in carta sono solo vini che ci piacciono. Certo, cerchiamo di coprire vari stili e tipologie, ma mai compriamo un vino perché si vende. Ci deve innanzitutto piacere. Lo sforzo fatto nel tentativo di mantenere la carta equilibrata non è mai sufficiente perché le predilezioni emergono.
Assaggiamo tanto, compriamo vini per provarli, partecipiamo a fiere, viaggiamo il più possibile. Ci capita di organizzare piccoli viaggi anche solo per visitare un ristorante con la carta vini interessante a Milano piuttosto che a Roma o in un agriturismo impossibile da raggiungere. Qui siamo un po’ lontani dai centri più “caldi” sul tema vino ma facciamo di tutto per frequentare i luoghi del buon bere per confrontarci con produttori, colleghi e consumatori. Ad esempio, dal mese scorso fino al mese prossimo non c’è stato e non ci sarà giorno di chiusura che non l’abbiamo passato ad una fiera, ad un evento, ad una degustazione o ad una visita, questo ci stimola e arricchisce e conseguentemente questo accade nella nostra carta.
La comunicazione nel mondo del vino è sempre più forte e cambia costantemente. Quale pensate che sia la strategia migliore per comunicare al cliente e creare nuovi stili di beva?
Crediamo che le strade siano due, apparentemente in contraddizione l’una con l’altra ma che in realtà possono sviluppare una potente sinergia. La prima è che la comunicazione deve riportare al centro l’esperienza del bere, non bisogna comunicare il vino come status ma come esperienza piacevole da vivere, il vino va bevuto! La seconda è che dobbiamo assolutamente de-istituzionalizzare il bere bene. Spesso mi sento dire dai clienti “non ho fatto corsi non posso giudicare”. Il mondo delle associazioni ha fatto passare il messaggio che chi non ha fatto il corso non può bere, mentre il vino è nato per il piacere di essere bevuto e questo, per quanto poi si possa approfondire l’argomento, non va dimenticato. Faccio sempre l’esempio del cinema: esistono gli esperti, ma i film li vedono tutti, perché sono innanzitutto intrattenimento nel senso ampio della parola.