Simone e Stefano raccontano la loro esperienza al Locale di Firenze: “Con il nuovo codice della strada si beve diversamente, non di meno. Dal calice al pairing analcolico, l’importante è offrire scelte consapevoli”
di Alessandra Meldolesi
Secondo le classifiche internazionali, il Locale di Firenze è il secondo bar d’Italia e il trentaseiesimo al mondo. Merito di una location spettacolare, negli spazi augusti dell’antico Palazzo Concini, denso di memorie medicee, e del bartender Fabio Fanni, con la sua carta di tredici, imperdibili drink, spesso e volentieri di ispirazione territoriale, come suggerisce l’insegna. Da tempo, tuttavia, lo sforzo è quella di uscire dal cono d’ombra dello shaker per accreditarsi come ristorante a tutto tondo, dove la cucina e il vino giocano la loro parte nell’esperienza gastronomica. All’uopo sono stati reclutati giovani professionisti di sicuro talento: lo chef Simone Caponnetto, nato a Firenze e transitato presso stabilimenti leggendari quali il Waterside Inn di Alain Roux, Narisawa a Tokyo, la Pergola di Heinz Beck e il Mugaritz di Andoni Luis Aduriz; come il sommelier Stefano Rizzi, che vanta sei anni di Enoteca Pinchiorri, ma anche una lunga esperienza londinese, al Demoiselle Petit Bistro di Chris & Jeff Galvin e al Perrier-Jouët Champagne Terrace sul rooftop di Harrods. Ed è in effetti suggestiva l’infilata delle bottiglie lungo i cunicoli trecenteschi dei sotterranei, fra cui si aprono le salette pullulanti di antiche suppellettili toscane e il lab per la ricerca sui cocktail, simile all’antro di un alchimista.
“Il Locale in realtà è un posto complesso”, attacca Caponnetto. “Il bar ha preso molto piede, invece il ristorante durante e dopo il covid ha patito qualche intralcio ed è rimasto chiuso per quasi due anni. Io sono arrivato nel 2021 e a settembre celebreremo il decennale del Locale. La gente si stupisce ancora di trovare un ristorante fine dining e una carta dei vini importante, fra le principali della città, escluso Pinchiorri. Io poi sono un appassionato, ho frequentato due livelli AIS, anche se devo finire. Con Stefano la collaborazione è partita subito benissimo e capita perfino che io cucia il piatto sul vino, che mi ha fatto assaggiare. Siamo una grande famiglia che va avanti insieme”.

Rizzi: Io sono arrivato nel 2019, al rientro da Londra. La carta dei vini comprendeva circa 220 etichette, che ora sono diventate un migliaio: ho inserito quello che mi piace o che mi offre la possibilità di soddisfare i clienti, secondo le zone vitivinicole e in accordo con la cucina di Simone. Amo le bollicine, quindi abbiamo 130 Champagne dalle diverse zone e di ogni tipologia, dai produttori celebrati a quelli di nicchia, anche sconosciuti. Poi ci sono le bollicine, i bianchi e i rossi italiani. Resto legato alla Francia dagli anni trascorsi all’Enoteca Pinchiorri. Ci sono appellations che non possono mancare in una carta ambiziosa, senza trascurare i piccoli vigneron, oltre i blasoni.
Caponnetto: Stefano è sempre il primo che prova i piatti, dopo i ragazzi della cucina. Ha voce in capitolo e mi fido ciecamente del suo giudizio. È capitato che ne trovasse alcuni poco equilibrati, dall’interno del processo creativo è difficile rendersene conto. Ma io credo molto nella collaborazione, da tutti può uscire l’osservazione giusta, anche se l’ultima parola resta sempre la mia. Quindi al momento del cambio menu scegliamo un giorno e per 4 o 5 ore ci sediamo tutti insieme, bar compreso, per provare i pairing. È anche il momento per compiere gli ultimi aggiustamenti sulle ricette.
Rizzi: Il signature è un percorso che contiene sia cocktail che vini, ma è possibile abbinare anche tutti vini o tutti cocktail, secondo le preferenze. Né manca un pairing completamente analcolico a base di kombucha, estratti a freddo di tè o frutta, dealcolati di nostra produzione. Fortunatamente, lavorando con i grandi alberghi della città, siamo toccati relativamente dalla crisi. Abbiamo comunque un 30% di clientela locale, che è passato dalla bottiglia al calice e che accontentiamo con una trentina di opzioni al Coravin. Ogni sera ho il piacere di illustrarle personalmente.
Caponnetto: Anche sotto questo profilo il Mugaritz mi ha aperto la mente. Mi sono fermato per quasi due anni e insieme a una ragazza, che lavorava con me al dipartimento di ricerca e sviluppo, abbiamo ideato il primo pairing analcolico del ristorante. Ero molto emozionato di fare cose nuove ed è una missione che mi sono preso a cuore. Non c’è la mia firma, ma posso dirlo. Il mondo dei cocktail invece l’ho conosciuto qui, in uno dei bar migliori del mondo. È stato bello imparare a collaborare con Fabio, condividendo tanti ingredienti. Poi al Mugaritz ho bevuto cose incredibili, ricordo una scaletta di piselli lacrima all’emulsione di baccalà con diversi gusti, dalla mandorla ai ricci di mare, abbinata ad altrettante annate di Château d’Yquem.

Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.