Magazzini pieni, consumi in discesa nei mercati chiave e dazi americani al 30%: nel nostro Paese il settore rischia di saltare
di Mattia Marzola
C’è una parola che aleggia sempre più spesso tra i filari d’Italia: sovrapproduzione. E non è una parola amica. Secondo l’Unione Italiana Vini (UIV), il settore vinicolo è sull’orlo di un vero e proprio squilibrio sistemico: da un lato l’offerta che continua a crescere, dall’altro una domanda globale che arretra. Un mix potenzialmente letale, capace di far crollare i prezzi e travolgere anche le aziende più strutturate.
Le giacenze nei magazzini italiani sono già oggi abbondanti, ma con la prossima vendemmia si rischia di sfiorare i 90 milioni di ettolitri: l’equivalente di quasi due raccolti. Una situazione insostenibile, che potrebbe portare – secondo le stime UIV – a una perdita di valore del 5,3% rispetto al 2024, con un prezzo medio in picchiata. E questa volta non basterà sperare nella siccità per salvare i conti, avverte il presidente Lamberto Frescobaldi: “Serve un bagno di umiltà, dobbiamo produrre 7-8 milioni di ettolitri in meno”.
Il contesto, del resto, è complesso. Nei primi cinque mesi del 2025, il calo dei consumi è stato generalizzato: -1,8% in Italia, -4,7% negli Stati Uniti, -3% nel Regno Unito, -9,6% in Germania. In totale, questi mercati rappresentano oltre il 70% del fatturato estero del vino italiano. Le vendite nel retail segnano un rosso del 3,4%, che sale al 5,3% per i vini fermi e frizzanti, mentre tengono (per ora) solo gli spumanti.
E poi ci sono i dazi. Gli Stati Uniti, primo mercato extra-UE per il vino italiano, hanno già introdotto una tariffa del 20% ad aprile (poi scesa al 10%), ma la situazione è destinata a peggiorare: dal 1° agosto entreranno in vigore dazi al 30% su numerose importazioni europee, vino incluso. È una stangata annunciata. Nel solo 2023, l’export vinicolo italiano verso gli USA ha superato 1,9 miliardi di euro, e nel 2024 ha toccato il record storico di 8,1 miliardi: un mercato strategico, costruito nel tempo da centinaia di cantine, soprattutto piccole e medie, che oggi rischiano di veder vanificati anni di investimenti e relazioni commerciali.
Secondo UIV, l’impatto dei dazi potrebbe rivelarsi devastante, soprattutto per le fasce di prezzo “popular” che costituiscono l’80% del vino italiano venduto in America, con un prezzo medio di poco superiore a 4 euro al litro. I rincari al consumo potrebbero spingere i buyer statunitensi a rivolgersi a produttori non colpiti dalle misure – come Cile, Argentina o Australia – lasciando le nostre bottiglie sugli scaffali. Il rischio è quello di una perdita secca di competitività, che coinvolge non solo l’export, ma l’intero equilibrio economico di molte aree vitivinicole italiane.
UIV, Confindustria e molte associazioni del comparto hanno già lanciato l’allarme: servono negoziati rapidi, una strategia politica chiara, e – nel frattempo – un forte sostegno alle imprese per non lasciare il mercato statunitense nelle mani di altri.
Il rischio, oggi, non è solo americano. Senza il traino degli USA, i mercati extra-UE segnerebbero un -15% a volume. L’Asia è in netto calo (Giappone e Cina arretrano, solo la Corea del Sud regge), la Russia affonda con un -65%. E anche il Regno Unito, terzo mercato mondiale, perde colpi.
Ma il paradosso è che solo l’Italia continua ad aumentare il proprio potenziale vitivinicolo, mentre gli altri grandi produttori (Francia, Spagna) iniziano a frenare. Così il settore si trova a rincorrere se stesso, mentre i margini si assottigliano: l’Ebit margin medio nel 2023 è stato appena del 6,2%, con un ROI fermo al 5,4%, ben lontano da quello di altri settori agroalimentari.
Per questo l’UIV lancia un appello chiaro: serve una revisione profonda del Testo unico del vino, entro il 2026. Le denominazioni, i meccanismi di produzione e promozione, le politiche di sostegno devono essere ripensate in funzione dei nuovi scenari di mercato. “Non possiamo più permetterci di navigare a vista – conclude Frescobaldi – serve un piano strutturato, realistico, condiviso”.
Anche perché il vino italiano resta un pilastro dell’economia nazionale. Ma come ogni pilastro, ha bisogno di fondamenta solide. E di una visione capace di andare oltre la prossima vendemmia.

Mattia Marzola
Giocoliere di parole, voracissimo lettore, buona forchetta (e buon bicchiere) ha deciso di unire le sue inclinazioni, diventando così appassionato docente di lettere ed entusiasta giornalista enogastronomico, anche se poi scrive di tutto.