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castello di poppiano- conte guicciardini

Senza Chimica Aggiunta: tecnologia, viticoltori e università insieme per un vino più salutare

Tempo di lettura: 3 minuti

Dalla Toscana arriva un nuovo disciplinare sottoposto a certificazione volontaria per la valorizzazione di vini IGT senza solfiti aggiunti.

di Francesca Lorenzoni

Si è tenuta lo scorso 4 maggio al Castello di Poppiano (Firenze) la presentazione dei primi risultati dei “Pif – vino: qualità verso il mercato”, vini senza solfiti aggiunti. Il progetto vede la partecipazione di Regione Toscana – che sostiene e finanzia il progetto nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale, progetto di “Innovazione organizzativa filiera vino” – a fianco dell’Università di Pisa e di sei cantine toscane, con l’obiettivo comune di valorizzare i vini IGT attraverso prodotti più sani e salutari.

La nascita del progetto: dall’Università alla cantina

Avere vini di qualità senza additivi e solfiti è tra i temi più sentiti dai consumatori negli ultimi anni. Questa necessità produttiva ha portato alla creazione di un nuovo brevetto da parte del Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa coordinato dalla Professoressa Angela Zinnai.

Si tratta di una procedura per ottenere vino senza additivi – spiega la professoressa Angela Zinnai – consumabile anche da chi ha allergie o intolleranze. Il nostro metodo non altera le caratteristiche del vino, anzi ne esalta le qualità e salvaguarda molti aromi che oggi sono coperti, alterati o ridotti dalla presenza dell’anidride solforosa e da altre sostanze aggiunte. Questo senza contare l’effetto di salubrità dovuto all’assenza totale di additivi chimici, così come la migliore digeribilità delle molte sostanze positive per la salute umana contenute nel vino”.

La ricerca, che ha mosso i primissimi passi nella cantina sperimentale dell’Ateneo pisano ha poi trovato nella Fattoria dei Barbi, nella persona di Stefano Cinelli Colombini, un fondamentale partner

Grazie infatti alla fattiva collaborazione di Stefano Cinelli Colombini sono stati elaborati due vini, un Viognier nel 2013 e un Sangiovese nel 2014. Il passo successivo è stato quello di allargare l’esperimento ad altri produttori perché “non avrebbe avuto senso portarlo avanti da solo, poteva diventare interessante solo se si trasformava in un movimento” sottolinea Stefano Cinelli Colombini “la Toscana è da sempre terra di grandi innovazioni ed invenzioni e noi insieme stiamo presentando qualcosa di nuovo nel mondo del vino, pur restando nel solco della grande tradizione. Perché non ci dobbiamo scordare che l’enologia è scienza antichissima che si è evoluta con l’uomo. E noi oggi abbiamo il supporto della tecnologia per tornare a fare prodotti più naturali e più salubri”.

Si sono unite così al progetto oltre alla già citata Fattoria dei Barbi altre aziende: Casa di Monte, Castello di Oliveto, Conte Guicciardini, Fattoria San Michele a Torri, Fattorie Giannozzi, tutte mosse dall’interesse per una ricerca comune ma ognuna apportando il proprio stile produttivo e le differenti caratteristiche pedoclimatiche dei propri suoli.

Nuove sfumature di Sangiovese

I vini che abbiamo avuto occasione di assaggiare sono dunque prodotti senza aggiunta di solfiti. La percentuale di anidride solforosa al loro interno è circa tre volte inferiore al minimo di legge consentito ed è derivante interamente dal naturale processo di fermentazione.

La parte critica di tutto il processo è il fatto che senza aggiunta di solforosa non ci si può permettere che il mosto entri in contatto con l’ossigeno. La difficoltà è ovviata grazie anche ad un altro brevetto italiano, il fermentatore Ganimede che sfrutta l’anidride carbonica prodotta durante la fermentazione per effettuare il rimescolamento delle vinacce, impedendo al mosto di ossidarsi e contribuendo a diminuire le emissioni di CO2 nell’ambiente.

Il vitigno protagonista di tutti gli assaggi è stato il Sangiovese, spesso in purezza, talvolta con piccoli tagli di altri vitigni. La scelta della classificazione IGT non è affatto casuale, ma rientra nell’ottica di valorizzazione di una nicchia della produzione toscana attraverso una nuova identità che si vuole esprimere sia a livello tecnologico che attraverso nuove e diverse sfumature aromatiche e sensoriali del Sangiovese.

Il vitigno principe della viticoltura toscana prodotto secondo questa metodologia si presenta infatti con colori particolarmente brillanti e vividi tendenti – soprattutto nelle versioni più giovani – al violaceo.

Inusuale anche il risultato al naso dove si rinuncia agli aromi terziari per evidenziare tutti i primari: sentori estremamente fruttati e floreali, con profumi che ricordano quelli del mosto in fermentazione.

In bocca sono vini estremamente freschi con risultati molto interessanti dal punto di vista della bevibilità: un sangiovese, questo, che cavalca il trend di mercato di vini più freschi, beverini e meno impegnati senza per questo rinunciare alla qualità.

Il futuro: la prova del tempo

I prossimi passi saranno dedicati all’incremento della shelf life di questi prodotti, allo studio di come prolungare la vita di questi vini nel tempo, questione cardine quando si parla di vini senza solfiti. Un ruolo importante lo giocherà anche lo studio e la ricerca sui tappi che meglio possano garantire la conservazione – non si esclude a riguardo il ritorno alla tappatura a ceralacca.

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