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Sabatelli a Putignano: padre e figlio, cantastorie pugliesi tra fuochi e sala

Tempo di lettura: 3 minuti

Angelo e Daniele raccontano la loro cucina che parte dall’Asia e arriva a casa

di Alessandra Meldolesi

Per dodici anni pastore errante dell’Asia, da Jakarta a Hong-Kong, passando per Shanghai, Angelo Sabatelli rientrando nella sua Puglia ha intessuto con naturalezza una cucina di similitudini, dove l’identità pugliese si rispecchia in tradizioni remote, ne mutua tecniche e motivi, per sbalzare ancora più a fuoco. Punto di riferimento non solo regionale, nel ristorante che porta il suo nome a Putignano ha affidato la cantina al figlio ventitreenne Daniele, cresciuto fra i suoi fuochi.

Daniele: Già da bambino mio padre mi teneva in cucina e mi faceva conoscere tutti i cuochi, che per me erano una seconda famiglia. Poi durante le vacanze, se svolgeva qualche consulenza, mi portava con sé. Al momento di scegliere le superiori, ho quindi optato per l’alberghiero con indirizzo cucina. Erano anni che davo una mano a pulire le verdure, mi fermavo qualche ora di pomeriggio o aiutavo con la piccola pasticceria, assumendo responsabilità crescenti. Per me era naturale posizionarmi in cucina, ma è successo che servisse qualcuno in sala e sono passato con mia madre Laura Giannuzzi. All’inizio avevo molta ansia per il contatto diretto con il pubblico, senza filtri. Poi ho acquisito padronanza e mi sono appassionato sempre più. Sono stato prima commis di sala, poi chef de rang, poi secondo maître. Il sommelier ha lasciato senza preavviso e ho iniziato a studiare come un matto. Per me questo lavoro è bellissimo, per quanto spesso sia interpretato in modo errato. Non vedo l’uomo di sala come una figura austera e onnisciente, ma come un cantastorie della nostra terra e della visione dello chef.

Angelo: Daniele ha respirato questo lavoro da quando è nato ed è sempre stato un ragazzo che apprendeva velocemente, con tanti interessi. Ha voluto frequentare i corsi AIS, ma in inglese, per interfacciarsi con qualsiasi tipologia di cliente. E oggi è benvoluto da tutti per come si propone, riesce a leggere nei desideri e adeguare gli abbinamenti.

Daniele: Ormai sono in sala da tempo, ma ho preso in mano la cantina 3 anni fa. Ero giovanissimo, quindi avevo bevuto solo qualche goccio a casa o per le feste, anche se mi stavo già avvicinando a questo mondo. Di punto in bianco mi sono trovato in mano una carta dei vini chilometrica, di respiro internazionale. All’inizio è stata un’esperienza quasi traumatica, che però mi ha spronato a dare il meglio di me. C’era tanto lavoro da fare in poco tempo e mi sono subito messo sotto. Studiavo prima del servizio e nella pausa, sui miei libri e su quelli dei corsi, in modo da poter rispondere alle domande degli ospiti. Poi mi sono addentrato nella conoscenza dei singoli produttori e del loro modo di lavorare. Oggi abbiamo 2000 referenze. Sia io che mio padre amiamo lo Champagne, in particolare il meunier, che abbiamo voluto approfondire. Personalmente prediligo i vini d’annata e cerco di andare in verticale. Proprio ieri è arrivato un Vouvray di fine anni ’60. Ci siamo inoltre focalizzati su alcune cantine del territorio in forte crescita, soprattutto bianchi, perché i rossi pugliesi si vendono da soli, e rosati, considerati da sempre in serie B. Un percorso infinito.

Angelo: A me sono sempre piaciute le bottiglie buone e ne ho sempre avute, ma mi sono appassionato veramente solo nel 2007 rientrando dall’estero, dove non si trova tantissimo. Ricordo di aver letto un articolo che parlava di Gianfranco Fino e di aver comprato tutte le sue annate. Da lì ho iniziato a bere sempre più, a girare, a cercare di affinare il palato e capire cosa mi piacesse. È diventata una malattia.

Daniele: Il nostro pairing cambia regolarmente, per offrire all’ospite che ritorna una nuova esperienza e perché ripetere le stesse referenze ogni sera come l’Ave Maria mi stancherebbe. In base alle preferenze individuali creo percorsi ad hoc, più che mai oggi che ciascuno può assemblare il suo menu pescando dalla carta. E in questo modo ci divertiamo molto. In genere parto dalle materie prime principali, a volte non occorre neppure assaggiare perché è una questione di matematica. Al calice si arriva per logica, poi l’assaggio funge da conferma, che si tratti di riprendere una vena amara o di regolare l’acidità.

Angelo: Sono abbinamenti che provo quando escono i nuovi menu o gli extra del mercato, poi ne assaggio altri ogni sera, anche per capire se è possibile offrire dell’altro, per esempio un cocktail o un infuso.

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Alessandra Meldolesi

Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.

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Incrapiata abbrustolita, ostrica tiepida, olio di cicoria, olive, katsuobushi
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