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Il dominio dei rossi italiani: ecco perché i bianchi restano in ombra

Tempo di lettura: 5 minuti

Nonostante l’eccellenza del prosecco, faticano a ottenere lo stesso riconoscimento. Abbiamo provato a capirne i motivi

di Camilla Rocca

Nelle classifiche sui migliori vini italiani sono spesso i rossi a essere tra i più premiati e omaggiati. Nell’ultima classifica annuale di Gentleman troviamo nella top ten Sassicaia, Montiano, Solaia, I Sodi di S. Niccolò, Tignanello e Masseto. Le posizioni più rilevanti sono sostanzialmente occupate da poche denominazioni: Brunello di Moltancino, Bolgheri e Barolo. Molti più rossi in degustazione per l’ultima edizione di Opera Wine, il grande evento che apre il Vinitaly realizzato unitamente dalla rivista americana Wine Spectator e  Veronafiere. Secondo le classifiche il vino più amato dagli americani è il Brunello di Montalcino, conosciuto negli anni anche grazie all’edizione a stelle e strisce a cura del Consorzio. Subito seguito come importanza di volumi e brand reputation dal Barolo, dal Chianti, dall’Amarone e infine dal Prosecco. E infatti a questa edizione di Opera Wine la famiglia del vino più rappresentata è quella di Antinori, che contava ben quattro stand. All’evento anche la distribuzione geografica registrava questo trend: 33 cantine presenti per la Toscana, 19 per il Piemonte, 18 dal Veneto e 16 dalla Sicilia, solo per citare i territori più rappresentati. Ma negli Stati Uniti, principale mercato di riferimento dell’esportazione dei vini italiani, che conta un terzo del mercato delle esportazioni italiane, le vendite sono aumentate del 148% per un valore attuale di 1,76 miliardi di euro negli ultimi vent’anni secondo l’ultimo rapporto Coldiretti. Un mercato che fa riferimento a sé ma, per essere visionari, bisogna pensare anche al consumo dei mercati emergenti, in particolare quelli asiatici, come Thailandia, Malesia e Vietnam. Dove pure però, il consumo è incentrato sui rossi più importanti. E forse che, anche a causa dell’incidenza del trasporto, ha senso importare. 

Nell’ultimo rating di James Suckling ancora denominazioni conosciutissime: Casanova di Neri 2019, Brunello di Montalcino, Damilano Barolo Cannubi Riserva 1752 2016. Nei top 100 di Wine Enthusiast al secondo posto troviamo un’altra denominazione blasonata: Ratti 2019 Barolo Serradenari.

Invece la classifica del New York Times per il 2023, grazie alla penna di Eric Asimov, si gioca in modo equilibrato: un rosso e un bianco, ovvero il Valdobbiadene Mariarosa Frizzante di Cà dei Zago (un prosecco “con il fondo” come lo ha definito) e un Trebbiano d’Abruzzo Fonte Canale 2017 Tiberio, decisamente un rosso non così conosciuto all’estero. Ed è equilibrato anche nella classifica dei “migliori vini sotto i 20 euro” con Odoardi Calabria  Vino Rosso 1480 L’inizio 2015; Feudo Montoni Sicilia Catarratto Masso 2018; Fattoria San Lorenzo Marche Bianco di Gino 2019; Grosjean Vallée d’Aoste Torrette 2019 – 18,50 euro rosso e Cascina Fontana Dolcetto d’Alba 2019. 

Inversione di rotta 

Nell’ultimo rapporto presentato a Vinitaly in tema, lo scorso anno, l’export mondiale sembra avere un’inversione di rotta rispetto ai dieci anni precedenti: nel 2013 le quote dei rossi e dei bianchi registrate sono pressoché equivalenti, invece a metà dello scorso anno viene prevista un’ inversione di tendenza con l’aumento dei bianchi (compreso una grande quota dedicato al Prosecco) fino al 62%, a fronte del 35,52% dei rossi e del 2,8% dei rosé. Impressionante quindi la crescita degli spumanti in 10 anni, sia dal punto di vista produttivo che della domanda sia interna che estera. Anche perché il Prosecco da solo copre il 23% del valore e il 27% del volume e questo ben descrive lo spostamento sui bianchi. 

Secondo l’ultimo studio presentato a “Wine Paris & Vinexpo Paris”, il Prosecco, ha incrementato, invece, la quota di importazioni, mentre al contrario dei cugini francesi, che tengono ferme le quote di champagne “bianco”, aggredendo quote importanti di mercato nei rosati. Insomma, lo Champagne rosè spopola nell’ultimo periodo.

Quindi gli americani, che prediligono di gran lunga i rossi a bianchi e rosati secondo James Suckling e Wine Spector, non tengono conto del trend che, a livello mondiale, vede i vini bianchi in grande crescita come qualità e importanza mediatica, oltre che facilità nella beva. L’aumento dell’apprezzamento del vino bianco, sul mercato globale dei consumi, è impetuoso. E non si arresterà almeno per il prossimo decennio, come racconta il report “White Wine Market” firmato dalla società di analisi “Fact Market Research”: le previsioni sostengono che, da qui al 2031, il mercato mondiale del vino bianco è atteso ad una crescita media annua del 5%, fino a superare quota 60 miliardi di dollari a valore. 

Prosecco batte Champagne (ma solo nei bianchi)

La polarizzazione dei consumi sui vini di fascia bassa e alta di prezzo fa sì che pur a fronte di cali di volumi i prezzi dei vini rossi Dop tengano, ma tuttavia ogni denominazione fa storia a sé. “Il 2023 ha visto un calo del 20% delle vendite, ma un incremento del valore medio – ha spiegato Christian Marchesini, presidente del Consorzio Vini Valpolicella. 

Rosso: destinato ai mercati esteri?

E quindi mentre il mercato italiano si sposta sui vini bianchi, il rosso di alta qualità diventerà sempre più una nicchia richiesta all’estero. “Il forte aumento dei prezzi nel 2023 ha portato ad uno spostamento dei consumi verso vini con un buon rapporto qualità/prezzo: le referenze troppo costose non sono più alla portata di una classe di consumatori in questo momento in sofferenza, ovvero quella che va dai 30 ai 45 anni” raccontano i fondatori di Proposta Vini Gianpaolo Girardi e Gianluca Telloli, selezionatore wine dell’azienda trentina che offre un portfolio di quasi quattromila referenze selezionate a oltre 9.500 ristoranti in tutta Italia.

La parola dell’esperto 

“Quando ho progettato Vin de la Neu miravo ad un bianco che potesse rompere gli schemi, che sapesse evolvere bene e dimostrare che, anche i vini bianchi italiani, possono regalare grandi emozioni nel tempo” racconta Nicola Biasi, Cult Oenologist 2021 per il Merano Wine Festival (il più giovane ad aver mai ricevuto questo riconoscimento). “Quando si tratta del nostro Paese è da sempre luogo comune far riferimento a grandi vini rossi legati ad un preciso territorio, piuttosto che ad un particolare cru. Partendo da questo presupposto, il consumatore può permettersi di giocare stappando vecchie annate di rossi importanti, divertendosi tra evoluzioni e sentori ancora freschi ed eleganti. Perché con i bianchi italiani non è così? Spesso sull’etichetta di un bianco è riportato il vitigno, non il territorio, mi chiedo come mai si faccia ancora questa distinzione quando ad oggi, l’uomo, nel giusto territorio, con la giusta varietà, è in grado di produrre vini bianchi eccezionali, che addirittura possono migliorare se degustati dopo diversi anni. Dovremmo, anche con i vini bianchi, ragionare come per i nostri Barolo e Brunello: i grandi territori prima di tutto ed una viticoltura e un’enologia che ci conducano a vini con un importante potenziale evolutivo. Il vitigno deve diventare a questo punto solo un mezzo per esaltare territorio, qualità e longevità dei nostri vini. In Italia la tradizione dice che i vini bianchi vadano bevuti giovani e freschi. In realtà abbiamo territori e vitigni tra loro legati che nulla hanno da invidiare alla Borgogna e alle sue uve. Dobbiamo noi enologi e produttori cambiare il nostro approccio e iniziare ad esaltare i nostri terroir come già facciamo per i nostri vini rossi”.

Gli esclusi?

Poco considerati, in proporzione, nelle classifiche mondiali, i vini naturali, che stanno crescendo in qualità e senza difetti, e che al contrario, vengono apprezzati dai consumatori italiani. Sostanzialmente assenti anche i vini piwi, forse perché sanno poco del glorioso Made in Italy, e hanno meno appeal per l’estero. E, forse è ancora presto, ma mancano i vini dealcolati, tanto se ne parla, ma la qualità nel settore è ancora prematura. 

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Camilla Rocca

Una passione per il mondo del vino che parte dalle origini, si è allargata all’enoturismo e ai racconti delle persone, di quei volti, quelle mani, delle storie che sono dietro alla vigna

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