Andrea Jure Duarte: “Il Cile non è un vino solo, è dove impari a prendere ciò che ogni valle ti dà”

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Con l’export in forte crescita, Mujer Andina racconta un paese che punta su identità, voci femminili e biodiversità, ben oltre l’idea di “nuovo mondo”

di Nello Gatti

In un recente evento di comunicazione internazionale, abbiamo avuto l’occasione di conoscere professionisti e cantine provenienti da varie parti del mondo, e ci siamo imbattuti in un qualcosa di sorprendente, dalle etichette alle persone, dai vini alla narrazione: la cantina cilena Mujer Andina. Ne abbiamo discusso con Pauly Sánchez, responsabile marketing dell’azienda, fra clima, varietà, filosofia produttiva e mercati, entrando a fondo di un progetto vitivinicolo giovane che chiede di raccontarsi non con slogan ma con impegno e sincerità.

Il Cile e il vino, da dove parte l’avventura vitivinicola nel vostro paese?

La viticoltura in Cile ha origini antiche: i missionari, nel XVI secolo, portarono le prime viti e nel corso del tempo la geografia, con la catena delle Ande alle spalle e l’Oceano Pacifico all’orizzonte, ha creato condizioni singolari per le uve europee. Fra queste, il Cabernet Sauvignon, il Merlot, il Carménère, sono varietà che nel corso del tempo sono diventate quasi sinonimo di vino cileno nel mondo.

Mujer Andina si innesta in questo panorama con una visione che collega la geografia variegata del Cile con l’identità agricola e culturale femminile. La fondatrice, Andrea Jure Duarte, non proviene originariamente da una tradizione vinicola familiare, ma ha imparato sul campo, esplorato valli diverse (Maipo, Cachapoal, Itata, Bío‑Bío, Cautín) e deciso che la diversità dei suoli, dei climi, delle generazioni, doveva diventare parte essenziale del racconto dei suoi vini.

Il terreno qui, specie in zone estreme del sud, come il “trumao” (terriccio vulcanico ricco di minerali) dà un carattere diverso da valle a valle, da estate a estate. Il clima, la latitudine, l’altitudine, l’influenza marittima permettono espressioni molto diverse: Pinot Noir che emerge nel sud più freddo, Syrah e Carménère che trovano maturazione piena in zone più calde o interne. Mujer Andina enfatizza questa varietà come parte integrante della sua filosofia.

Produzione e mercati, cosa si dice dall’altra parte del mondo?

Il portafoglio di Mujer Andina comprende spumanti e vini fermi, con una produzione che spazia da vini più giocosi e accessibili, ai più eleganti e complessi. Tra i prodotti più distintivi, vorremmo evidenziare la linea degli sparkling in cui sono presenti varie etichette, alcune molto leggere, altre con affinamenti molto lunghi, come l’innovativo Livianita de Sangre Brut Zero, primo spumante cileno senza zucchero aggiunto, pensato per un consumatore attento alla salute, con calorie ridotte e certificato vegan. Degno di nota anche il nostro Kelüna Rosé (Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc) che punta su delicatezza e momenti conviviali. Mentre El Infaltable è nato per essere il nostro piacere quotidiano.

Quanto al mercato, la strategia appare duplice: consolidarsi nel mercato interno cileno (vendita diretta, online, punti vendita, enoturismo) e conquistare spazi internazionali con vini che parlano non solo di “Cile generico”, ma di terroir, futuro, produzione sostenibile. Già oggi le esportazioni si estendono negli Stati Uniti, e ci sono collaborazioni con importatori specializzati.

E per quanto riguarda la comunicazione e l’enoturismo, che aria tira dalle vostre parti?

Per Mujer Andina, il vino non è solo prodotto, ma esperienza: il visitatore che ci raggiunge in vigna (nel giardino varietale di Champa, Valle del Maipo) può degustare i nostri vini ma anche fare tour guidati, visitare la bottaia e godersi momenti rilassati, come picnic, feste o esperienze sensoriali.

La comunicazione esterna segue questa coerenza: non solo fiere e negozi specializzati, ma storytelling, collaborazioni artistiche, valorizzazione del ruolo femminile nella viticoltura (progetto che rende visibile chi spesso resta dietro le quinte). Il marchio è associato a certificazioni e associazioni come Women Owned International, MoVi Chile, MUV, che testimoniano l’impegno anche sul piano etico e sociale.

Durante le tue visite in Europa quale è stata la percezione?

Il Cile gode oggi di una reputazione consolidata nei mercati europei per certe varietà come Cabernet Sauvignon e Carménère, specie il buon rapporto qualità/prezzo, per la pulizia e per l’innovazione. Tuttavia ci sono ancora degli ostacoli.

Saturazione e stereotipi: molti consumatori europei associano ancora il vino cileno a prodotti “nuovo mondo” generici, di quelli che abusano della barrique, troppo maturi o con poca differenziazione. Noi puntiamo sulla diversità dei terroir e su vini che non cercano solo potenza ma finezza, freschezza, delicatezza.

Logistica e regolamentazione: trasporto, certificazioni, dazi, ma anche esigenze di mercato che richiedono standard specifici (etichettatura, sostenibilità, marketing ambientale) sono ostacoli che danneggiano la giusta percezione e spesso ricadono sul consumatore.

Educazione del consumatore: far capire che “vino cileno” non è un marchio monolitico, ma include zone molto diverse, come il nord arido, la costa nebbiosa, le montagne, il sud umido, le valli più fredde. Occorre farci conoscere come Paese, sì, ma anche con le nostre sfumature e sfaccettature.

Opportunità forti invece sono date dalla crescente richiesta di “fine wines” che parlino anche di identità, etica, pratiche agricole responsabili, che consentano al consumatore di percepire ad ogni bottiglia un racconto: del luogo, delle persone, del momento.

 

Il futuro rosa di Mujer Andina?

Alla luce di quanto emerso, si delineano alcuni elementi chiave nel futuro per Mujer Andina e per chi vorrà portare bottiglie sudamericane sulle tavole europee. Continuare a lavorare su piccoli lotti, mantenendo l’attenzione al dettaglio, più che puntare al volume: questo permette sperimentazione, differenziazione, controllo qualità. Sperimentare con etichette, formati e uvaggi che rispondano alle nuove richieste: vini a basso contenuto zuccherino, formati più piccoli, packaging sostenibile, interventi minimi in cantina, purché con ottima base vinicola.

Rafforzare l’enoturismo come ponte: far vivere l’esperienza, permettere al consumatore europeo di vivere non solo la degustazione ma il contatto con storia, viaggi, cultura, paesaggio. Questo tipo di esperienza diventa racconto che poi si riflette anche nel percepito del vino quando arriva sugli scaffali all’estero. Educazione tramite storytelling autentico: non solo note di frutta, tannino, acidità, ma storie, la voce di chi coltiva, la voce delle donne, le sfide climatiche. Mujer Andina è l’esempio di come oggi un progetto vitivinicolo possa, e debba), essere più di “fare vino”: è un’occasione per creare legami fra persone, culture, territori. In un mondo dove la scelta di una bottiglia è anche scelta di valori, autenticità, sostenibilità, progetti come questo contribuiscono a elevare la percezione del vino cileno, non più come semplice “curiosità dal nuovo mondo”, ma come vino con un’anima, con identità territoriale, un lavoro da condividere.

Immagine di Nello Gatti

Nello Gatti

Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all'estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.

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