Luca Bellani: “Il mondo del vino non permette mai di restare fermi. La sfida più bella? Innovare senza stravolgere”

Tempo di lettura: 5 minuti

Il titolare della cantina Cà di Frara racconta un mestiere che evolve con il territorio tra intuizioni e legami profondi: “Persone, passaggi generazionali, aspettative, dietro ogni bottiglia c’è un racconto”

di Sofia Russo

Fino a dieci mesi fa il vino per me era poco più che una parola. Poi, una serie di coincidenze fortunate mi ci ha immersa completamente. Quest’anno, infatti, ho svolto il mio stage formativo proprio presso questa rivista — dove il vino è di casa — e, contemporaneamente, a scuola ho partecipato a un progetto in collaborazione con la cantina Cà di Frara, lavorando con i miei compagni alla creazione di nuove etichette.

Un doppio binario – redazione e aula – che mi ha fatto scoprire quanto il mondo del vino sia ricco di storie, tecnica e creatività. E come se non bastasse, chiudiamo l’anno con una visita proprio a quella cantina. Da qui l’idea di proporre un’intervista al proprietario, Luca Bellani: un modo per raccontare la loro realtà ma anche per mettermi alla prova con un lavoro che ho osservato ogni giorno in redazione, quello di giornalista.

Buongiorno Luca, come e quando è nata la vostra cantina?

La cantina affonda le sue radici nel 1905, una data che segna l’inizio di una storia che, seppur nata forse in modo quasi casuale, ha saputo trasformarsi negli anni in un progetto solido e duraturo.

Insomma una storia ormai più lunga di un secolo, come è cambiata la cantina nel tempo?

Il cambiamento è stato continuo, dal passaggio di ben quattro generazioni, ognuna con una propria visione, un proprio approccio. Quattro teste diverse.

Quella che sta per andare a vivere sarà la sua trentatreesima vendemmia, un traguardo che non solo segna il tempo trascorso, ma rappresenta anche l’evoluzione del lavoro.

È cambiato tutto quello che c’era intorno, non solo al paesaggio, ma soprattutto alle persone, al modo in cui oggi si interpreta e si vive la terra. Se mio padre seguiva metodi e tradizioni consolidate, io, da oltre trent’anni, ho intrapreso un percorso diverso, più personale, in sintonia con i tempi ma senza rinnegare le origini.

Quali sono i vostri vini di punta e cosa li rende unici?

Quando si parla dei vini di punta della cantina, per me sono tutti uguali. L’obiettivo è che ogni vino, indipendentemente dal vitigno o dalla fascia di mercato, raggiunga il massimo della sua espressione qualitativa. Cercando di portarli tutti al loro livello più alto.

Naturalmente, riconoscendo che alcuni vitigni possiedono caratteristiche superiori ad altri. Per genetica e per storia, ci sono varietà che esprimono una maggiore ricchezza, una struttura più complessa o un profilo aromatico più interessante. il concetto di bontà resta profondamente soggettivo: ciò che conquista un palato può lasciare indifferente un altro.

A rendere davvero speciali alcuni vini, però, è l’unicità del territorio. Ci sono due o tre vini qui che sono unici, e lo sono proprio grazie al luogo in cui nascono. È la combinazione irripetibile di suolo, esposizione, microclima e tradizione a conferire a quei prodotti un carattere inimitabile, capace di raccontare l’anima più autentica della zona.

Siete una cantina con un’ampia selezione di vini dal metodo classico ai rossi fino ai bianchi, passando per il rosé quali di questi negli anni vi hanno dato maggiore soddisfazione?

Ripensando al percorso fatto negli anni, ad oggi il vino più gratificato: è il metodo classico.

Siete stati tra i primi nella zona a impiantare vigneti di pino grigio nero e bianco terreni gestosi e calcarei della zona: innovare si rivela sempre una scelta vincente?

Assolutamente sì. La mia esperienza è iniziata oltre trent’anni fa in un altro territorio, dove questi vitigni erano già ben conosciuti e coltivati. Questo mi ha permesso di osservarli da vicino e di coglierne il potenziale. Quando sono tornato in quella zona, ho deciso di portare con me tutto ciò che avevo imparato altrove.
Non si è trattato di rompere con la tradizione, che lì è molto forte e radicata, ma piuttosto di reinterpretarla. Ho introdotto delle novità, certo, ma sempre con grande rispetto per ciò che c’era prima. In questo modo sono riuscito a valorizzare sia l’innovazione che l’identità del territorio.

Cosa vi emoziona ancora oggi nel vostro lavoro, dopo tanti anni di attività?

Quelle giornate in cui il vino non è solo prodotto, ma vissuto, spiegato, fatto conoscere. Giornate che alimentano ancora, dopo anni, l’entusiasmo per un mestiere antico e fortemente connesso al territorio.

Qual è il rapporto tra tradizione e innovazione nel vostro approccio?

Il rapporto tra tradizione e innovazione è, da sempre, estremo. In cantina si coltiva un forte spirito innovativo, con la consapevolezza che il mondo del vino è in continua evoluzione e non ci si può mai permettere di restare fermi. L’obiettivo è quello di guardare avanti, sperimentare, cercare soluzioni nuove, senza però perdere di vista le radici. La tradizione rappresenta la base solida su cui costruire, ma è attraverso l’innovazione che si dà forma al futuro. È un equilibrio delicato, in cui ogni scelta tecnologica o agronomica viene valutata alla luce dell’esperienza e del rispetto per il territorio. Innovare, quindi, non significa stravolgere, ma progredire con consapevolezza.

Come nasce un vostro vino nuovo?

Ogni nuovo vino prende forma, prima di tutto, da un’intuizione personale, da un gusto che nasce dall’esperienza e dal desiderio di esprimere qualcosa di autentico. Può anche succedere che l’idea nasca anche da un’esigenza concreta, però facendo anche notare cosa il territorio può realmente. Non tutto è replicabile ovunque: è fondamentale rispettare i limiti e le potenzialità del luogo. Alla base, però, c’è sempre la passione, la volontà di sperimentare e di dimostrare – prima a sé stessi e poi agli altri – che questo territorio è capace di esprimere vini di altissimo livello, in tutte le sue sfumature.

Quanto è importante per voi il legame con il territorio?

Il legame con il territorio è sempre stato un pilastro fondamentale del lavoro della cantina. Tuttavia, negli ultimi tempi, questo rapporto si è fatto più complesso. Dopo oltre trent’anni trascorsi a valorizzare un’area che, pur essendo molto ricca di potenziale, è cambiata ben poco, è nata l’esigenza di uscire dalla propria zona ed esplorare nuovi territori. L’obiettivo era capire se tutte le competenze e le esperienze acquisite nel corso degli anni fossero davvero solide, e mettersi alla prova in contesti diversi, per vedere se si è ancora in grado di uscire dalla propria comfort zone. Questo slancio verso l’esterno non rappresenta un rifiuto delle origini, ma una naturale evoluzione di un percorso che continua a cercare stimoli, confronto e crescita.

A⁠ questo punto ci puoi togliere una curiosità in chiusura: quanto sono state apprezzate le nostre etichette, sia da voi che dal pubblico?

Dal punto di vista della cantina, le etichette sono state più che apprezzate: sono state scelte per rappresentare il vino più importante della produzione, un vino che racchiude la storia stessa dell’azienda. Dietro ogni bottiglia non c’è solamente un prodotto, ma un racconto: di territorio, di persone, di passaggi tra generazioni. E l’etichetta, molto spesso, è il primo elemento attraverso cui quel racconto prende forma agli occhi altrui. Quindi grazie ragazzi.

Immagine di Sofia Russo

Sofia Russo

Studentessa di grafica della scuola Immaginazione e Lavoro, ha svolto uno stage formativo durante il suo secondo anno presso Vendemmie. Entusiasta ed energica, ama apprendere cose nuove, la musica, i concerti e il buon cibo… soprattutto il buon cibo!

Facebook
Twitter
LinkedIn
TS Poll - Loading poll ...